Premier League, come è andata l'11^ giornata

Premier League

Daniele V. Morrone e Federico Principi (in collaborazione con "l'Ultimo Uomo")

La vittoria del Chelsea di Conte sullo United di Mourinho, il Manchester City schiacciasassi (anche contro l'Arsenal, la velocità dell'attacco del Liverpool di Klopp e altre cose importanti successe nell'ultima giornata del campionato inglese

 

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1. L'incredibile strapotere del Manchester City

Il Manchester City, oltre alla qualità del gioco, ha aggiunto una continuità e una sicurezza che la rendono al momento la migliore squadra in Europa. C’era curiosità su come Wenger avrebbe provato a fermare Guardiola, ma come sempre è stato il catalano il primo a sorprendere il proprio avversario. Forse per evitare che il 3-4-2-1 con cui ormai gioca l'Arsenal creasse degli accoppiamenti naturali sull’impostazione del Manchester City con tre difensori e due mediani (con Delph che si affianca a Fernandinho muovendosi dalla posizione di terzino), Guardiola ha impostato una costruzione bassa “classica” per il suo 4-3-3, con soltanto Fernandinho davanti ai due centrali e i terzini che offrivano uno sfogo laterale.

 

La vittoria del City (3-1) nasce anche da questa piccola misura di Guardiola (più “furbo” di quanto non si dica) che ha impedito in questo modo all'Arsenal di pressarlo, spingendo la squadra di Wenger a difendere con un 5-4-1 piuttosto basso. L’idea dei “Gunners” era quella di coprire il centro con i quattro centrocampisti, per controllare i movimenti di David Silva e Kevin De Bruyne, ma è un sistema che ha retto ben poco, fino a quando una prodezza proprio di De Bruyne, dopo neanche 20 minuti del primo tempo, ha sovrastato qualsiasi tatticismo.

Prima della partita, Aguero è stato premiato per aver rotto il record di gol segnati da un giocatore con la maglia del Man City. Erano 178, dopo il gol con il Napoli di mercoledì, ora 179. La signora che lo ha premiato è la nipote di Eric Brook, che ne aveva segnati 177 la bellezza di 78 anni fa.

In fase di possesso, forse per evitare la perdita del pallone in zone centrali, l'Arsenal disegnava catene laterali nelle quali si andava a inserire perfino Koscielny come difensore centrale di destra, mentre il suo omologo dalla parte opposta, Nacho Monreal (terzino naturale), si trovava sicuramente più a proprio agio nelle sovrapposizioni: il 45% delle azioni dell'Arsenal è nato sulla fascia sinistra. L’Arsenal, insomma, ha cercato la superiorità sulle fasce, provando a sfruttare le minori doti di Sterling e Sané in fase difensiva, anche con cambi di gioco rapidi.

La creazione più frequente della catena sinistra doveva lasciare più libero Mesut Özil (trequartista sul centro-destra) di cercare una posizione centrale. Il tedesco, nonostante sia stato il secondo giocatore dei Gunners ad aver effettuato più tocchi (64) dopo Kolasinac, non è riuscito a completare neanche un passaggio-chiave: la sua percentuale di passaggi riusciti è stata bassa (80,9%) e inferiore a quella del suo omologo Iwobi (84,4%). Alla fine i maggiori pericoli per il City sono arrivati da alcune seconde palle generate dall'ottima forma di Alexis Sanchez nei duelli aerei, usato spesso come target per una palla lunga, saltando quasi sempre la fase della costruzione bassa.

L'Arsenal ha incassato il secondo gol su un calcio di rigore, trasformato da Aguero, scaturito da un taglio in profondità di Sterling alle spalle della difesa. Dopo il disperato cambio di sistema di Wenger verso il 4-2-3-1, il gol del 2-1 di Lacazette è stato semplicemente un lampo in una partita comunque dominata e chiusa sul 3-1 dal City, grazie all'azione finalizzata dal subentrato Gabriel Jesus. La sensazione che lascia questo match, insieme alle sfide di Champions contro il Napoli, è che contro i “Citizens”, al momento, qualsiasi strategia rappresenti la classica allegoria della coperta troppo corta. Otto punti di vantaggio sullo United secondo, 38 gol fatti (più di 3 a partita), solo 7 subiti. Se la squadra di Guardiola non avrà un calo, anche se al ritmo con cui si gioca dovrebbe essere fisiologico, rischia di essere una stagione storica per il calcio inglese.

 

2. Nelle grandi partite, allo United manca Pogba

Prima della partita di domenica, José Mourinho aveva giocato nove partite in trasferta di Premier League contro le “big 6” dal 2015: cinque di esse erano finite 0-0, più della metà. In quelle nove esperienze passate, la squadra di Mourinho aveva segnato solo una volta (contro il Tottenham la scorsa stagione). Questi dati raccontano la strategia estremamente conservativa di Mourinho nelle partite in trasferta che “pesano” di più, che gli aveva permesso il più delle volte di uscire imbattuta.

Questa stagione, anche prima della sconfitta di Stamford Bridge per 1-0, Mourinho è stato criticato per un gioco che sembra basarsi più sull’intensità fisica fuori la norma dei suoi giocatori tralasciando una strategia offensiva coerente. Mourinho si è difeso da solo dopo la sconfitta, sottolineando l’assenza di Pogba, e in effetti contro il Chelsea si è visto ancora una volta come il centrocampista francese manchi come il pane a Mourinho. Dall’altra parte, va dato merito ad Antonio Conte per aver vinto la partita a centrocampo.

Il ritorno di Kanté ha avuto l’effetto che Conte sperava, permettendogli di tornare al piano di inizio stagione, quel 5-3-2 con Kanté a muoversi alle spalle dei due interni Bakayoko e Fàbregas, liberi di muoversi in avanti. Il triangolo di centrocampo dello United, con Herrera e Matic al centro e Mkhitaryan qualche metro più avanti, non è mai riuscito a reggere il confronto diretto. L’armeno è stato annullato da Kanté e costretto a muoversi per il campo in zone innocue pur di ricevere palla, mentre i due centrali sono stati spinti lontano dalla propria linea per seguire le corse senza palla di Bakayoko o Fàbregas. La figura dell’interno che arriva in corsa in area di rigore è stata una costante della Juventus di Conte, con Bakayoko sembra aver trovato il profilo giusto per recuperarla anche a Londra.

Il Chelsea parte in transizione offensiva allargando la palla su Zappacosta. Bakayoko si fionda in avanti costringendo Herrera a seguirlo.

 

La presenza offensiva di Bakayoko ha avuto anche l’effetto di liberare Hazard, permettendogli ricezioni anche più arretrate e in generale, quindi, una partita più facile, più “sua”. La scelta tecnica di escludere David Luiz in favore di Christensen ha avuto un altro effetto benefico: con un centrale più attento nelle letture e freddo nelle decisioni, un marcatore più puro, contro la minaccia di Rushford e Lukaku, finiti a ricevere palla negli spazi di mezzo. La partita del centrale danese ha rasentato la perfezione dimostrando ancora una volta di come a 21 anni è il centrale più promettente della Premier League. Anche il gol di Morata non è arrivato per caso, ma da un cross di Azpilicueta che riceve totalmente libero a centrocampo dopo una pausa di Fàbregas per attirare su di se la pressione dello United. Il gol è l’ennesimo gol di testa di Morata, che ormai sembra chiaramente un maestro in questo fondamentale, ma va premiato anche il cross perfetto di Azpilicueta. Questo è stato il quinto assist per lui a Morata, nessuna coppia ha fatto tanto quest’anno in Premier League.

La vittoria, per Conte, è una vera boccata d’ossigeno dopo le delusioni europee. La sconfitta, invece, non preoccuperà molto Mourinho, che non aveva molte armi a disposizione per cambiare il contesto della gara: l’entrata di Fellaini all’ora di gioco ha dato molti più frutti di quanto potesse sembrare, ma ha anche mostrato come l’assenza di un giocatore fisico e creativo come Pogba stia pesando soprattutto nei big match.

 

3. L’attacco Mad Max del Liverpool di Klopp

La vittoria di una settimana fa sull’Huddersfield aveva fatto mettere la testa fuori al Liverpool, proveniente da un periodo non semplice. La vittoria contro il West Ham di sabato, un netto 4-1, ha aiutato ad aggiustare la classifica: ora i reds sono di nuovo agganciati al treno di testa, ed è a 4 punti dallo United secondo. Al momento la dimensione sembra essere quella di una squadra di alto livello a cui però sembra mancare un po’ di consistenza per lottare per il titolo. Klopp sta comunque continuando il suo percorso verso un'identità di gioco consolidata, con cui compiere quel salto che le permetta di stare al passo delle migliori.

Come faceva notare questa analisi di Statsbomb, il Liverpool quest’anno sembra cercare con meno insistenza la riconquista alta del pallone, cucendo un gioco che esalti la capacità dei suoi attaccanti di giocare in transizione. Il West Ham ha dimostrato quanto sia pericoloso lasciare troppa profondità a un attacco formato da Firmino, Mané e Salah (autore di due reti). Nel gol dell’uno a zero, ad esempio, il West Ham ha perso palla e Mané è ripartito direttamente dalla propria metà campo, divorandosi 70 metri di campo in pochi secondi e servendo l’assist a Salah. Neanche in Premier League, dove gioca l’elite atletica del calcio contemporaneo, esistono difese in grado di reggere il loro impatto in transizione.

Anche quando attacca posizionalmente, il Liverpool è attento a non offrire punti di riferimento. I quattro giocatori offensivi si sono scambiati sempre la posizione, attivando combinazioni rapide ogni volta che entravano in possesso. Il Liverpool non cerca di aprire le difese schierate allargandole in ampiezza, né portando molti uomini nell'ultimo terzo di campo, piuttosto punta proprio sui veloci interscambi dei quattro attaccanti per liberarne almeno uno in velocità (Salah, se possibile). Proprio per questo sono molto frequenti le sponde di prima, persino di tacco, anche a costo di perdere il pallone.

Il 4-2-4 del Liverpool contro il 5-4-1 del West Ham: la difesa degli Hammers cercava sempre la superiorità numerica sui veloci e pericolosi uomini offensivi dei Reds.

 

Sul 2 a 0 per i Reds - che avevano raddoppiato con il gol di testa di Matip - il West Ham è riuscito a riaprire la partita grazie a un gol di Lanzini. Nell’occasione, un cross di Ayew da destra, l’argentino ha vinto il duello fisico col terzino ventenne Joe Gomez (i problemi difensivi del Liverpool sono sì strutturali, ma anche legati a lacune individuali). Un minuto dopo, però, il Liverpool ha chiuso la partita con un gol che è un’altra dimostrazione della capacità della squadra di Klopp di attaccare in modo estremamente diretto e verticale: Firmino riceve un lancio dalla difesa ed è spalle alla porta, con un primo controllo di suola evita il difensore che lo pressava da dietro e si apre un corridoio centrale che attacca a grande velocità, scaricando poi per la finalizzazione di Chamberlain.   

Il Liverpool vive ancora in un limbo. Il pressing alto scopre troppo la squadra in profondità, e  non ci sono difensori bravi difendere molto campo all’indietro. Per questo Klopp sta arretrando leggermente il proprio baricentro, per prendere meno rischi. Tuttavia il Liverpool subisce ancora troppi gol - pur essendo la seconda miglior squadra per tiri concessi a partita (7,8), è la sesta peggior difesa con 17 gol subiti - e la ricerca di un equilibrio migliore è essenziale per competere per la vittoria finale.

 

4. L'ottimo inizio di stagione dell'Huddersfield

Con 15 punti in 11 partite, l'Huddersfield è una delle sorprese dell'inizio di questa Premier League, dietro soltanto alle “grandi” (City, United, Chelsea, Tottenham, Arsenal, Liverpool) e al Burnley (l’altra grande sorpresa). Il suo allenatore, David Wagner, ha detto dopo la vittoria contro il WBA: «Sapendo dove siamo partiti due anni fa, tutto questo è incredibile, straordinario».

 

La nazionalità e il curriculum di Wagner sono la testimonianza che anche nella classe media di Premier League si sta muovendo qualcosa in termini di organizzazione tattica: Wagner, tedesco naturalizzato statunitense, è stato per anni un pupillo di Klopp, ha allenato la squadra B del Borussia Dortmund fino a novembre 2015, per approdare all'Huddersfield in Championship. L'ascesa è stata rapida: un diciannovesimo posto nel 2015-16 ha fatto da preludio al quinto del 2016-17, con la promozione conquistata ai playoff e la classifica attuale in Premier. Nella vittoria di sabato per 1-0 contro il West Bromwich Albion di Tony Pulis si è vista la differenza tra la mano di un allenatore più moderno e quella di un tecnico tipicamente britannico.

 

Innanzitutto, l'Huddersfield è un'eccellenza difensiva: nonostante sia la tredicesima squadra per possesso palla (47%), è incredibilmente la sesta miglior squadra per tiri concessi a partita (11), peggio solo di City, Liverpool, Tottenham, Arsenal e United, e meglio del Chelsea. Pur avendo uno stile di gioco improntato su una difesa bassa e posizionale (con il 4-1-4-1 o con il 4-4-1-1), l'Huddersfield non si schiaccia mai completamente: come visto qualche settimana fa contro il Manchester United, il sistema difensivo di Wagner si fonda sull'aggressività e la mobilità dei difensori centrali, soprattutto di Christopher Schindler, abbastanza veloci per coprire anche la profondità. Anche gli esterni difendono in avanti in maniera aggressiva, tentando l'anticipo. Per questo, l'Huddersfield è terzo per contrasti vinti (41%) e per palloni intercettati a partita (13.09).

Ma l'Huddersfield sa cosa fare anche in fase offensiva. Se si eccettua il mancino di Tom Ince, che spicca più degli altri per qualità tecnica, i giocatori dell'Huddersfield non possiedono doti tecniche fuori dal comune, ma sono comunque inseriti in un contesto organizzato che gli facilita le cose. Contro il WBA la squadra alternava la salida lavolpiana (contro le 2 punte del WBA) a una costruzione più classica (2+2) del 4-4-2, cercando poi di proseguire ad avanzare sfruttando le catene laterali. Ince, da seconda punta, oppure il mediano del lato palla, venivano incontro sulla fascia per creare superiorità numerica. L'Huddersfield ha vinto grazie a una prodezza dell’olandese van La Parra, ma a differenza di molte squadre britanniche ha le idee chiare su come gestire le diverse situazioni delle proprie partite. La classifica della squadra di Wagner, insomma, non è dovuta al caso e testimonia di come anche in Premier League il gap tecnico possa essere colmato con l’organizzazione di gioco.

 

5. Peter Crouch segna ancora

Il pareggio tra Stoke e Leicester è stranamente riuscita a racchiudere tutti eventi facilmente immaginabili: lo Stoke ha provato una manovra ragionata fallendo miseramente; il Leicester ha puntato sulle transizioni, riuscendoci; Iborra ha segnato su calcio d’angolo (0-1); Shaqiri invece ha trovato il gol con un bel tiro di sinistro (1-1); Mahrez ha fatto fare una figuraccia al marcatore rimasto fermo a guardare l’algerino rubargli il tempo con un tocco di esterno sinistro per aggiustarsi il tiro poi andato in gol (1-2). Quello più prevedibile, però, è il gol di Crouch entrato a pochi minuti dalla fine. Anche contro il Leicester, il veterano inglese è entrato per risolvere una partita che non sorrideva allo Stoke. Per la precisione, è entrato in campo al 70’ e al 73’ aveva già pareggiato (2-2).

Con i suoi 3 gol da subentrato, Peter Crouch quest’anno ha procurato 5 dei 12 punti totali che lo Stoke ha in classifica. Nonostante abbia 36 anni e un gioco che più statico non si può, ormai, Crouch al momento resta una sicurezza come piano B per lo Stoke, specie negli ultimi minuti, quando le difese sono più stanche e meno reattive le sue gambe da fenicottero lo fanno arrivare dove non può nessun altro.

La persistenza di Peter Crouch è una coperta di Linus per chi ha paura del mondo del calcio che sta cambiando troppo velocemente e l’allenatore Hughes a fine gara si è lasciato scappare che se continua così l’opzione di farlo partire dai titolari non deve essere scartata.

Intanto, ci sono quattro statistiche che rendono l’idea dell’assurdità della stagione di Crouch, e che vi spingeranno a volerlo vedere ancora in campo:

- Con 142 presenze dalla panchina, è il giocatore nella storia della Premier League ad essere entrato più volte a gara in corso insieme a Shola Ameobi.

- I suoi 15 gol in carriera da subentrato lo rendono il quinto marcatore più prolifico dalla panchina della storia della Premier League (8 gol dietro il recordman Defoe).

- Essendo nato nel Gennaio del 1981 è il giocatore più anziano ad aver segnato quest’anno in Premier League.

- Con 52 gol di testa è il recordman indiscusso in questo fondamentale della storia della Premier League.


6. Non si può più ignorare il Burnley di Sean Dyche

Sean Dyche si è messo in mostra con un inizio di campionato a dire poco eccezionale e con la vittoria di Southampton (1-0) il suo Burnley ha raggiunto Liverpool e Arsenal in quinta posizione, a 19 punti. Il Burnley di Dyche è una squadra dalle risorse tecniche ed economiche limitatissime, rispetto alla concorrenza di alto livello, e sta avendo successo proprio con le idee del suo allenatore. Che non è mistero stia puntando alla panchina vacante dell’Everton per fare il salto in una medio-grande dopo anni di scalata. Uscito di scena il Leicester di Ranieri, il Burnley rappresenta l’immortale stirpe del calcio britannico puro, quello del kick-and-rush, dei giocatori soprattutto fisici, dei cross continui e del 4-4-2 che corre sugli esterni con una punta di peso e una seconda punta di movimento.

Anche nello scontro di mezza classifica con il Southampton, il Burnley ha puntato a schermare il centro con tre linee equidistanti (con la seconda punta che in caso arretra per prendere il regista avversario) e a difendere l’ampiezza scivolando lungo il campo, come chiede il manuale del 4-4-2. Nel Burnley non c’è posto per un sofisticato meccanismo di pressing, meglio schermare le linee di passaggio, più prudente. La linea difensiva scappa velocemente una volta persa palla per posizionarsi al limite della propria area e proteggere la fascia centrale in attesa che il resto della squadra si sistemi per la difesa posizionale. Quando la palla viene riconquistata, non ci si pensa due volte prima di verticalizzare verso la punta, lanciando lungo per vincere il duello aereo e assestari sulla trequarti rivale.

Va detto che l’esecuzione della strategia del Burnley non ha avuto grande successo questo sabato, perché il Southampton con la sua tecnica superiore è riuscito a tenere il possesso anche nella trequarti offensiva, utilizzando le fasce per attaccare. Le due occasioni principali per il Southampton sono arrivate sempre da sinistra, dove il Burnley non è riuscito a scivolare con i tempi giusti. L’imprecisione degli avversari è stata però punita nel modo più classico, da una squadra che praticamente non ha tenuto palla mai, né attaccato per più di un minuto consecutivo. Il gol di Vokes che ha deciso la partita, è arrivato ovviamente con un cross dalla fascia, diretto verso il centro esatto dell’area di rigore, a meno di dieci minuti dal termine di una partita in cui il Burnley aveva tirato in porta solo 5 volte, e solo 1 nello specchio.

Dyche è un tecnico iperpragmatico e non sembra avere la ricetta giusta per una squadra ricca di trequartisti e povera di velocità di punta come l’Everton, intanto con il suo gioco semplice e tipicamente inglese sta portando il Burnley all’ennesima salvezza tranquilla.