Sono passati da sei anni da quando Barkley si è rivelato come un talento speciale, da quel momento però sembra essersi fermato. Toccherà al Chelsea e ad Antonio Conte permettergli il salto di qualità
Sono passati sei anni da quando Ross Barkley si era rivelato al calcio mondiale come un talento speciale. Era dai tempi di Wayne Rooney che non si vedeva un giocatore inglese calciare la palla con quella naturalezza. In più con la maglia dell’Everton, anche lui con la faccia schiacciata da “scouser”. Dopo aver visto Barkley giocare una delle prime partite, Paul Scholes ha confessato di essersi confuso per un momento: «Nel primo tempo Barkley ha fatto uno scatto e io ho pensato: ‘Porca miseria, quello è Rooney?’. Barkley mi ha riportato al Rooney di Euro 2004. Ho avuto bisogno di una seconda occhiata perché credevo fosse Wayne». Quando arrivano certi giocatori, in Inghilterra vengono salutati come doni del cielo. Parlando di Barkley, David Moyes aveva assicurato che «diventerà un giocatore eccezionale»; Tim Cahill ne parlava come del «giovane più talentoso con cui io abbia mai giocato».
Già a 17 anni, quando ha esordito, Ross Barkley aveva le spalle da corazziere e le gambe lunghe e grosse: l’aria del centrocampista pronto per la guerra delle palle sporche della Premier League. Avrebbe dovuto esordire addirittura l’anno prima di quanto ha fatto, a 16 ani come altri due grandi talenti naturali con l’attitudine per la guerra come Rooney e Milner, se non si fosse rotto una gamba con la Nazionale giovanile, passando quasi due anni senza giocare a calcio, cosa che secondo Moyes gli aveva dato un’aria «un po’ grezza e naif» ma allo stesso tempo vitale: «è bello vedere un giovane con un tale entusiasmo per la vita».
Ha esordito poi il 20 agosto del 2011, in una partita casalinga contro il Queens Park Rangers che l’Everton ha perso 1 a 0. Nonostante questo, Barkley aveva impressionato per la semplicità con cui aveva vissuto l’esordio in Premier League, passando fra i corridoi avversari come un rinoceronte lanciato all’assalto. Nella sconfitta, Barkley viene eletto migliore in campo, Moyes racconto il post-partita: «Ho detto ai giocatori che non sono per niente contento di nessuno di loro, tranne che di Ross». Martin Keown, commentando la partita, ci è andato leggero: «Diventerà uno dei giocatori più forti che abbiamo mai visto nel nostro paese».
Sono passati sei anni e la situazione non è cambiata di molto. Barkley, che ora è un maturo ventiquattrenne, non è ancora diventato uno dei più grandi giocatori inglesi di sempre e l’Everton continua a perdere partite che non dovrebbe perdere. Barkley finora ha messo insieme solo una ventina di presenze con la Nazionale inglese e anche se non si può dire che non abbia messo in mostra il suo talento, come è capitato ad altri calciatori nati nel 1993 - Draxler, Lukaku - lo ha fatto in modo discontinuo e senza mai lasciar capire quale fosse il suo reale potenziale.
Ross Barkley ha avuto grandi momenti - la stagione 2015/16, con 48 presenze e 12 gol, con 8 assist - ma in fondo non è un giocatore migliore di quando ha esordito, anche per via del contesto attorno a lui che è rimasto sempre uguale a sé stesso, nel bene e soprattutto nel male. E forse proprio per questo in estate Barkley si è impuntato con la società dove è nato e di cui è tifoso per andare via. La trattativa è stata stranissima: Everton e Chelsea avevano trovato un accordo sulla base di 35 milioni, sembrava tutto fatto finché Barkley non ha cambiato idea; si diceva che il giocatore preferisse andare al Tottenham, dove avrebbe trovato l’ambiente ideale per crescere, dopo essere guarito dall’infortunio alla coscia che lo ha tenuto fuori fino a pochi giorni fa. Ma Barkley in realtà aveva messo i suoi problemi fisici davanti al resto: «Ho deciso che a causa del mio infortunio sarebbe stato meglio prendere una decisione sul mio futuro e valutare tutte le opzioni a gennaio, quando sarò al top».
In questi mesi Ross Barkley ha giocato neanche un minuto, bloccato da un problema muscolare e appena si è riaperto il calciomercato, però, il Chelsea ha versato 15 milioni all’Everton e Barkley è ora un giocatore agli ordini di Antonio Conte. Per 20 milioni in meno rispetto a quanto sarebbe stato venduto in estate, un giocatore che appena un anno fa era considerato un patrimonio praticamente inestimabile dei “Toffees”. Ce n’è abbastanza perché addirittura il sindaco di Liverpool, Joe Anderson, chieda formalmente delle spiegazioni: «Per me Barkley è indifendibile. Avrebbe potuto rinnovare il suo contratto e lasciare comunque il club».
Troppo perfetto per essere vero
Se il Chelsea ha provato a prenderlo in tutti i modi, tornando su di lui senza peccare d’orgoglio dopo il rifiuto estivo, è perché le doti di Ross Barkley rimangono eccezionali e uniche nel contesto europeo. Guardandolo giocare si ha la sensazione di avere davanti un giocatore creato in laboratorio per rispondere a tutti i dilemmi posti dal calcio contemporaneo: troppo perfetto per non essere artificiale. Ross Barkley è alto e grosso (un metro e 89, un fisico strutturato con cui avrebbe potuto vincere qualsiasi medaglia olimpica, o tentare una carriera in UFC), è veloce, esplosivo sui primi passi e tocca con dolcezza la palla con entrambi i piedi. Soprattutto: tira in modo eccezionale. Si tratta di quei giocatori così sfacciatamente contemporanei - per come combinano tecnica al velcro e corpo da pentatleti - che è difficile non guardarli e pensare che potrebbero dominare ogni partita, se solo lo volessero.
Su di lui circolano gli aneddoti tipici dei predestinati: «Qualcuno un giorno mi ha detto che per capire se un giocatore è mancino o destrorso basta farlo calciare dagli undici metri. La prima volta che ho chiesto a Ross di tirare dei rigori ne ha calciati quattro, due con un piede, due con l’altro, e li ha segnati tutti» ha dichiarato un suo vecchio allenatore. L’ambidestria è un aspetto importante del suo gioco perché gli permette di minacciare con costanza il tiro o la rifinitura sui due lati. È un giocatore dal grande volume di produzione offensiva, che dribbla (3,1 x90 la scorsa stagione, quando ha comunque abbassato i suoi numeri) e tira (2,7 x90) e crossa molto.
E tira bene le punizioni.
Quando la sua squadra ha il pallone, Barkley non sta fermo un attimo, cercando compulsivamente la posizione in cui ricevere. È un attitudine che risponde a una certa inclinazione anarchica, che fa diventare la sua posizione in campo quasi solo nominale. Per assecondare questo suo istinto, Barkley è stato progressivamente avanzato durante la sua carriera: ha iniziato da mezzala sinistra, dove amava ricevere basso per poi partire in conduzione fra le linee avversarie come una nave fendighiaccio; col tempo però è stato avanzato da trequartista sinistro, centrale e infine a destra, dove ha principalmente giocato lo scorso anno, quando l’importante era mettere in connessione il suo piede destro con la testa di Romelu Lukaku. Barkley è tra quei pochi giocatori che riescono a trasformare in oro un’arma statisticamente inefficace come i cross.
La sua posizione però è stata avanzata non solo per esaltarne i pregi ma anche per nasconderne i difetti. Innanzitutto difensivi: Barkley ha una grande attitudine alla lotta e al contrasto, ma è un difensore più appariscente che efficace. Intercetta pochissimi palloni per partita non ha particolari inclinazioni a difendere in avanti, né tanto meno alle sue spalle, dove - quando schierato da mezzala - si lascia spesso sorprendere. In questo sembra davvero che il suo gioco non sia maturato per niente, che non abbia aumentato il proprio bagaglio di conoscenze tattiche rispetto a quando era solo un ragazzo pieno di talento. In più, Barkley non ha un primo controllo sempre eccellenti: sebbene usi discretamente il corpo per girarsi, è sempre meglio che riceva fronte alla porta. A centrocampo Barkley sembra un giocatore troppo impreciso e caotico, persino per un campionato disordinato come la Premier League.
Insomma, nonostante le sue doti più visibili - il modo in cui calcia, la progressione, il dribbling - siano da giocatore di primo livello, Barkley non riesce a metterci insieme tutti quei dettagli che gli permetterebbero di sfruttarli al meglio. In questo momento è ancora un giocatore incompleto e lacunoso.
Dove incanalerà il suo talento Antonio Conte
Ross Barkley è un giocatore offensivo, verticale, che ama giocare ad alte velocità: sono queste le doti da cui il Chelsea di Conte dovrà provare a massimizzare i frutti. D’altra parte i “Blues” hanno un disperato bisogno di giocatori che creino occasioni in avanti, magari portando palla e trascinandosi dietro, in scia, il resto della squadra. Dopo la cessione di Matic la coperta di Conte si è rivelata troppo corta: Fabregas è rimasto un giocatore essenziale per la qualità del suo gioco di passaggi, ma per compensare la sua mancanza di corsa si è spesso rinunciato a un altro trequartista in virtù di un maggior equilibrio, specie nelle partite più difficili. Bakayoko ha grande corsa e un buon istinto negli inserimenti in area, ma non ha la qualità necessaria per contribuire alla fase di possesso.
La posizione dove viene subito facile immaginare Barkley con la maglia blu del Chelsea è quella di trequartista di destra nel 3-4-2-1, dove potrà ricevere nel mezzo spazio ed entrare in connessione con la testa di Morata. Finora il centravanti spagnolo ha segnato 6 gol su assist di Azpilicueta: un dato troppo incredibile per credere che possa continuare a crescere all’infinito, e Morata avrà bisogna di qualcun altro che gli offra l’occasione di segnare. Barkley ha più spirito di sacrificio e forza fisica delle alternative che il Chelsea ha nel ruolo di trequartista di destra, ovvero Willian e Pedro; Ma Barkley potrebbe anche essere schierato in un ruolo più simile a quello di inizio carriera, cioè da mezzala sinistra nel 3-5-2, il ruolo che di solito ricopre Fabregas. Con le spalle coperte da due intenditori come Bakayoko e Kanté, Fabregas può muoversi a piacimento per il campo per cucire la manovra e portare il pallone verso Hazard, sul lato sinistro del campo. Qualcosa che Barkley farebbe certo con più frenesia e meno qualità associativa dello spagnolo, ma non è detto che al Chelsea non possa essere utile in certe partite.
Sei anni dopo il suo esordio Barkley non è ancora diventato davvero un giocatore; non si è evoluto dall’idea di un’atleta che corre e calcia a duecento all’ora forte la palla. Ora però al Chelsea troverà forse uno dei migliori allenatori nel modellare il talento grezzo e incanalarlo verso uno scopo. Sarà eccitante vedere come risponderà Barkley lontano da casa, dove stava diventando solo una bellissima idea di sé stesso.