Superlega? Niente rivoluzioni, siamo inglesi: il ruolo di Governo e opinione pubblica
l'analisiOpinione pubblica da un lato, Boris Johnson dall’altro: il progetto della Superlega è stato bloccato dall’Inghilterra. E’ la nazione dove il calcio è nato, ma non è un’opposizione conservatrice. L’esempio della Premier League, l’essenza della mentalità “british”: cambiamento senza rivoluzioni, fairplay nella competizione
Poco più di un anno fa Boris Johnson veniva dimesso dall’ospedale, dopo essere stato in terapia intensiva e dopo aver rischiato la vita a causa del Covid-19. Era descritto come un eccentrico e spregiudicato uomo politico, che aveva avuto un approccio fatalista e persino spregiudicato sulla pandemia. Era sull’orlo del baratro politico. Ha chiesto scusa, a modo suo, e ha cambiato: ha imposto un lockdown tra i più severi in Europa, pub chiusi per oltre un anno (in Inghilterra!). Ora, seppur con altrettanta spregiudicatezza per alcuni, sta vincendo anche la battaglia dei vaccini, con oltre la metà degli inglesi che hanno ricevuto la prima dose. Lo stesso Bo-Jo che al primo sentore della nascita di una Superlega si è schierato con una durezza insolita per un uomo delle istituzioni, senza guardare prima a sondaggi e gradimento.
Governo e opinione pubblica uniti
Non sappiamo quanto la “moral suasion” del governo britannico abbia inciso sulla decisione delle 6 inglesi di defilarsi dal progetto di Superlega, non sappiamo neanche quanto sia stata incisiva e minacciosa, ma certamente ha dato un supporto, fondamentale, in più, all’opinione pubblica, indignata nei confronti di un’idea lontana anni luce dalla mentalità inglese. Dalle parti di Londra non amano le rivoluzioni, ma amano molto il cambiamento: c’è una bella differenza. Ai proprietari dei 6 club inglesi (per la stragrande maggioranza non inglesi) sarebbe forse bastato leggere “Middle England” di Jonathan Coe, per capire che l’Inghilterra è un paese con un'anima molto particolare, irriducibile, che scorre silenziosa ma è sempre pronta a emergere.
Innovazione ma senza rivoluzioni
A Londra operava Marx, che agitava lo spettro del comunismo per l’Europa, ma gli inglesi preferirono la Fabian Society, dedicata a Quinto Fabio Massimo, detto il “temporeggiatore”, altro che rivoluzioni proletarie. Il Regno Unito è il luogo dove è nato il libero mercato, la competizione, dove l’unica rivoluzione è stata quella industriale. Ma sempre all’insegna del “fairplay”, una delle vere parole difficilmente traducibili in italiano: fairplay è decisamente più incisivo di “competizione leale”. E proprio per questo, amano gli underdog (altra parola difficilmente traducibile, guarda caso), o quantomeno lasciano che possano avere la loro chance.
L'esempio della Premier League
Un atto di conservazione da parte dei britannici? Può anche essere, non sta a noi giudicare. Ma se guardiamo alla storia degli ultimi 30 anni, quale campionato ha rimontato da penose e tragiche retrovie fino a diventare il più bello, spettacolare e, persino, più aperto alla competizione in Europa? La Premier League ha saputo innovare senza rinnegare, ha preso decisioni forti (al di là della narrazione, esagerata e storicamente eccepibile, sul ruolo della Tatcher), ha costantemente aggiunto cambiamento ma sempre tenendo aperta la porta alla partecipazione (vedi: come vengono redistribuiti i ricavi della Premier).
Le scuse ai tifosi
Trovate un altro campionato che può offrire così tanti big match alla settimana, o un altro paese che abbia nella Coppa nazionale un momento popolare nella sua essenza più profonda: nel mare di retorica che spesso accompagna il calcio si può difficilmente contestare la frase “il fascino e la magia della FA Cup". E quella parola così rara da sentire “Apologize”, chiediamo scusa, detta dall’Arsenal ai tifosi, ripetuta dal patron del Liverpool, assume un significato molto più forte della pura formalità. “A volte ti capita qualcosa di bello, altre volte qualcosa di brutto, e molto spesso qualcosa di veramente strano. E’ questa l’Inghilterra. Dobbiamo farcene una ragione” (J. Coe “Middle England”)