The sound of football: Di Canio Premier special

Chi è assiduo di Sky Insider avrà letto, negli ultimi mesi, i bellissimi articoli di Danilo Freri sul tema dell’intreccio tra musica e sport . Due delle grandi passioni del nostro tempo, due modi di evadere dalla realtà, di attenuarla o arricchirla. Due mondi che si incrociano spesso, e hanno anzi cominciato a farlo fin dalla comparsa del calcio come fenomeno sportivo poi sociale, dispiegando poi questo connubio attraverso una vasta serie di canali e in modi diversi. È questo il tema della puntata di Natale del Di Canio Premier Special, dal titolo The Sound of Football. Ventisei minuti di movimenti, note, suoni, citazioni, aneddoti, con una deliziosa serie di interventi dal vivo, grazie alla collaborazione dell’Ottava, l’accademia musicale di Brescia. La difficoltà maggiore di ogni puntata è, normalmente, quella del selezionare cosa mettere in evidenza, nella moltitudine di spunti che ogni tema dà, e il compito questa volta è stato ancora più complicato per la ricchezza del materiale a disposizione e i potenziali punti di vista, per cui si è optato per un volo d’angelo a raccontare lo sviluppo del connubio, con l’indicazione dei suoi punti cardinali, delle direzioni principali prese. A partire dal primo esempio certificato, citato nel libro ‘Sports, Music, Identities’: il 10 aprile 1886 Marie Roza , soprano della Carl Rosa Opera Company, salì sul palco al Derby Theatre Royal per l’ultimo atto della ‘Fadette’, tratta dall’opera della scrittrice George Sand, indossando una coccarda del Blackburn Rovers, che proprio quel pomeriggio, a pochi chilometri di distanza, aveva vinto la Coppa d’Inghilterra battendo il West Bromwich Albion, dopo lo 0-0 della finale originale. Fu accolta con entusiasmo, nonostante il ridotto numero di tifosi biancoblù presenti a teatro, e a tutt’oggi quello è il primo esempio certo di esponenti del mondo dello spettacolo musicale che abbiano espresso, in quel caso solo per empatia e omaggio, preferenze per una squadra, un giocatore o in generale per il gioco del calcio. Che però l’interesse ci fosse è confermato da uno dei piccoli, grandi misteri di nicchia di fine Ottocento, ovvero l’esatta data di composizione, forse il 1880, del brano comico ‘The Dooley Fitba’ Club’, dove fitba’ è la scrittura/pronuncia scozzese di ‘football’, brano diventato popolarissimo in varie versioni col nome di ‘Football crazy’ o ‘Fitba’ crazy’ . L’autore, James Currin , irlandese della contea di Donegal trasferitosi a Glasgow, è certamente anche l’autore di ‘The Football Match’, di cui Di Canio parla nello speciale: umorismo alla base dei testi, con un curioso dettaglio nella copertina dello spartito, ovvero un’ambulanza - di quelle trainate da cavalli, come avveniva all’epoca - con la scritta ‘riservata all’arbitro’. Un segno dei tempi, in questo abbastanza oscuri, in cui alle partite non c’erano tifosi ospiti e dunque la rabbia di quelli di casa, quando le cose non andavano bene, si rivolgeva al direttore di gara. In un’Inghilterra sempre più influenzata dalla musica americana, tanto che con l’arrivo del genere ragtime, intorno al 1912, si arrivò nel giro di sette anni a scoprire che tre canzoni popolari su quattro erano di origine statunitense, il genere comico-calcistico tenne botta ma in modo tenue, anche perché nel frattempo si era verificata una trasformazione: era sorta la maggioranza degli stadi che, con qualche eccezione, sarebbe rimasta inalterata nelle strutture di base fino agli anni Novanta, e cominciavano ad arrivare folle interessanti dal punto di vista numerico. I cancelli venivano aperti presto e c’erano perlopiù posti in piedi, a cui si accedeva non con biglietto acquistabile in prevendita ma semplicemente versando al botteghino la somma dovuta: e allora, per sistemarsi nei posti migliori, si arrivava anche due ore e mezzo prima della partita e uno dei modi per passare il tempo, oltre a leggere un quotidiano o il match programme , era cantare. E si cantava quel che si conosceva, quindi brani celebri, canzoncine della tradizione e così via, tanto che a un certo punto furono i club ad adottare melodie, come accadde al West Ham con la celebre ‘I’m forever blowing bubbles’ , a quanto pare eseguita, tramite il rudimentale sistema di altoparlanti dell’epoca, nel 1926 e derivante da un brano da musical, ritenuto ideale un po’ per il testo un po’ perché un giovane calciatore assomigliava al ragazzino di una pubblicità di un sapone. E però c’è chi ritiene che Bubbles fosse stato ‘rubato’ al manipolo di tifosi dello Swansea City che lo avevano cantato a Upton Park, riprendendo una tradizione casalinga. Era l’epoca dei canti diffusi dagli altoparlanti ma anche, a partire dalle finali di Coppa a Wembley, del cosiddetto communal chanting, ovvero una banda - o un direttore di orchestra su un palco, a volte unito proprio alla banda - che suonava brani popolari e il pubblico la accompagnava, a memoria o leggendo da testi che venivano pubblicati da quotidiani, prevalentemente il Daily Express. Repertorio vario, come vedete dalla foto che accompagna questo articolo, e ‘Abide with me’ , canto triste e malinconico, che tuttora viene eseguito prima della finale di FA Cup, anche se purtroppo cantato da un numero sempre minore di persone consapevoli della sua importanza e del suo peso tradizionale. Si andò avanti così per decenni: pochi i canti spontanei durante le partite, decorate perlopiù da brusii, esultanze o mugugni, e musica prima e magari all’intervallo, senza l’intensità sonora di oggi. In poche parole, si riusciva a parlare con il vicino di posto senza usare il linguaggio dei gesti. Poi, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, nacquero i movimenti giovanili ispirati a mode musicali, perlopiù americane, e poco alla volta l’atteggiamento di molti frequentatori degli stadi fu non più quello di farsi dire cosa si dovesse cantare, ma di deciderlo di propria volontà, e allora ecco qualche canto, in due diversi filoni: la visione di poche ma significative partite dei Mondiali 1962, con un sottofondo di cori ritmati di tifoserie sudamericane, diede origine a un moderato movimento di imitazione, ma soprattutto in alcuni stadi furono i tifosi a decidere, spontaneamente, di cantare successi delle classifiche di quel tempo. Celebre il ‘She loves you’ dei Beatles ripreso ad Anfield, Liverpool, dalle telecamere del programma ‘Panorama’ nel 1964, e un anno prima aveva fatto il suo primo ingresso ‘You’ll never walk alone’, vecchio brano da musical reinterpretato da Gerry & The Pacemakers , anche se è sempre il caso ricordare quanto detto da una cantante lirica di Manchester, ovvero che furono lei e alcuni colleghi di coro, qualche tempo prima, a eseguirlo spontaneamente, a… Old Trafford, quindi nella casa dei maggiori rivali del Liverpool, il Manchester United. Si andò dunque a un’altra fase, quella dei cori, e l’esecuzione letterale di brani noti si trasformò con il passare del tempo nella modifica dei testi, per inneggiare, ironizzare, insultare. Un periodo lunghissimo, che perdura: perché nel tempo saranno cambiate le canzoni, con l’aggiunta di melodie magari oscure ma perfette per le parole da inserire, e altre estremamente popolari come, ora, ‘Freed from desire’ , che in un modo o nell’altro è sulla breccia da quasi un decennio, ricordando l’esplosione degli Europei 2016 con ‘Will Grigg’s on fire’ dei tifosi dell’Irlanda del Nord. Sono veramente tanti, anche se non tantissimi - e infatti è tristemente facile sentire lo stesso tormentone, solo con parole diverse, in vari stadi - i brani che hanno resistito al tempo: ‘Oh, when the saints go marching in’, ‘Winter Wonderland’, ‘Mull of Kintyre’, ‘Lord of the dance’, ‘Loch Lomond’, ‘Que serà, serà’, ‘Rotterdam or anywhere’, ‘Sunshine on Leith’ e altri ancora, con l’inclusione di canzoncine popolari o nenie che magari i nonni insegnano ai nipoti: ‘London Bridge is falling down’ diventava, facilmente, ‘Stamford Bridge is falling down’ e così via, in un campionario illustrato da parecchi libri, alcuni davvero appartenenti al sottobosco editoriale - e lo si capisce anche dai titoli, ‘Dicks out!’ e ‘You’re not singing anymore’ - che hanno riportato circostanze in cui magari un brano è stato eseguito una volta, e una volta sola. Con la Premier League e la sua voglia di normalizzazione del tifo, volta a presentare un prodotto appetibile per il resto del mondo, si è tornati in modo prepotente alla scelta di inni da diffondere a tutto volume all’ingresso delle squadre in campo, creando tradizioni spacciate per pluridecennali, ma è ovvio che nessun impianto audio può essere messo in funzione a partita in corso ed è dunque lì che la creatività dei tifosi, anche quando sarcastica o offensiva, può tuttora sfogarsi come nei ruggenti, a volte anche troppo, anni Settanta e Ottanta. Ma in quel periodo il calcio era considerato, per parafrasare le celebri parole di un articolo del Times, “Uno sport di bruti giocato da bruti e seguito da bruti”, e allora maggior merito va dato ai primi esponenti di un movimento ora dilagante, quello cioè degli artisti appassionati di calcio: il merito di essere andati controcorrente - magari perché artisti, magari perché erano semplicemente appassionati - e aver cominciato a frequentare gli stadi. Tanti nomi storici, come Robert Plant , Steve Harris e Iron Maiden o Cockney Rejects , Ozzy Osbourne , Sting e Mark Knopfler e un quartetto curioso, citato con passione da Di Canio: Mick Jones, Paul Weller, Robert Smith e Glen Matlock, fondatori o comunque esponenti importanti di Clash, Style Council/Jam, The Cure e Sex Pistols, quattro tra i gruppi più importanti della storia della musica. E tutti tifosi del Queens Park Rangers, anche se ci sono discordanze su Weller, che ebbe una figurina dedicata, in cui indossava una maglia del Chelsea, aveva pensato di mettere uno dei grandi del club, Charlie Cooke, nell’interno della copertina di un album e volle un match programme del Chelsea nella copertina di ‘Our favourite shop’ degli Style Council. Licenze creative, forse: perché in realtà in ‘Stanley Road’ appare George Best, che a conferma della sua popolarità, tra anni Sessanta e Settanta al confine tra moda, calcio e musica , è anche in ‘George Best’ dei The Wedding Present , e in ‘Definitely, maybe’ degli Oasis, che rappresentano, specialmente nella figura di Noel Gallagher, la fusione più popolare e moderna di calcio e musica, con la passione per il Manchester City vera e genuina, nata quando il City era un club come altri - ma carico di storia, mai dimenticarlo - e giocava in uno stadio meravigliosamente unico, Maine Road, le cui luci Gallagher poteva vedere dalla sua cameretta. E che per lui erano meglio delle luci di casa, come accadeva a Elton John per quelle dello scomodo Vicarage Road di Watford, scomodo ma amatissimo. È questa l’anima più vera del rapporto tra musica e calcio: dal cabaret alle canzoni comiche, dalle bande ai brani da classifica, dai calciatori cantanti , dagli inni come il tormentone che dice ‘It’s coming home’, il flusso è costante e chissà cosa ci riserverà ancora. E se anche fosse niente, quel che abbiamo vissuto, ascoltato, cantato dalle parole in gergo di ‘The Dooley Fitba’ Club’ sarebbe già sufficiente.

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Roberto Gotta