Cosa c'entra "You’ll never walk alone" con la rivalità tra Liverpool e Man United

Liverpool contro Manchester United, il derby del Northwest, una delle più grandi rivalità nel mondo del calcio. Non sappiamo cosa accadrà durante la prossima sfida ad Anfield . Sappiamo di sicuro cosa accadrà prima della partita, tra l’ingresso in campo delle squadre e il fischio d’inizio. Un coro si alzerà dalle migliaia di tifosi che affollano la Kop, e riempirà lo stadio. Una gradinata che è un moto ondoso di teste, braccia e corpi, un oceano impetuoso. Tutti alzeranno le loro sciarpe e seguiranno le note di ‘You’ll Never Walk Alone’, con un canto all’unisono di travolgente bellezza, forza e potenza. Un canto di fede, esecuzione collettiva di un testo profano, eppure il coro più vicino alla spiritualità che si possa sentire in uno stadio. Proprio questa canzone, l’inno dei tifosi del Liverpool da oltre 60 anni ormai, è una parte della rivalità con lo United. L’hanno cantata prima loro. L’hanno cantata a Old Trafford. Su questo si litiga da anni tra tifosi, a volte con convinzione, spesso con realismo e rassegnazione da parte di chi prova a sostenere le ragioni di Manchester. ‘You’ll Never Walk Alone’ appartiene per sempre alla tradizione di Liverpool, al suo club in maglia rossa, all’orgoglio Scousers . Sopra gli Shankly Gates ad Anfield, la celebre cancellata, c’è la scritta in caratteri dorati YOU’LL NEVER WALK ALONE, sormontata dal Liverbird, l’uccello simbolo della città. Parole fuse e poi solidificate nell’anima di Liverpool. LA VERSIONE DEI TIFOSI DEI RED DEVILS L’ultima a rassegnarsi a Manchester è stata Jane Hardwick, la principale testimone di una prima volta che non ha fatto la storia. Come quelle canzoni che diventano famose solo dopo che qualcuno le ha rifatte in altro modo, con grande successo da quel preciso momento in poi. Tutti conoscono il grande successo, nessuno si ricorda la versione precedente. Senza memoria, senza essere più vista, raccontata e sentita, ogni cosa smette di esistere, perfino di essere mai esistita. Nel 1958 Jane era una giovane cantante d’opera, impegnata nelle prove del musical Carousel al New Mills Operatic Society, un teatro di New Mills, Derbyshire, 25 km circa da Manchester. Carousel era uno dei musical di maggior successo dell’epoca. Aveva debuttato a Broadway il 19 aprile del 1945, al Majestic Theatre di New York. Musiche di Richard Rodgers e libretto di Oscar Hammerstein, una coppia che era reduce dal trionfo del primo lavoro, Oklahoma!, del 1943. La storia è un amore tragico tra il giostraio Billy e l’operaia Julie, un amore che prova a resistere alla povertà e alla mancanza di lavoro, la complicata lotta per la sopravvivenza di chi vive ai margini. Potrebbe essere benissimo una storia ambientata a Liverpool o a Manchester negli anni del dopoguerra, qui siamo in America, nel Maine, a fine ‘800. Billy diventa violento, Julie rimane incinta, Billy tenta una rapina, non finisce bene e si uccide. L’idea originaria era una fine senza speranza, molto realistica, ma poco adatta a un musical. E allora la trama continua e va verso la redenzione. A Billy viene data una seconda possibilità: tornare sulla terra, aiutare la figlia Louise, perseguitata a causa di quel padre violento e ladro. Billy ci riesce, vede Louise diplomarsi e cercare la sua strada nel mondo, può tornare in cielo per un Paradiso che l’attende, dichiarando il suo amore eterno alla moglie Julie. Quando nel secondo atto Julie raccoglie gli ultimi sospiri di Billy morente e piange la sua morte e la sua disperazione, la cugina Nettie cerca di consolarla con parole di incoraggiamento. Sono le parole e il canto di ‘You’ll Never Walk Alone’. La canzone torna poi per il gran finale, cantata da tutto il cast. Applausi, commozione se volete. A Londra il musical era arrivato nel 1950, ed era diventato un successo consolidato. Nel 1956 era stata fatta una versione cinematografica. Molto di quel successo sta nella turbolenza emotiva creata da ‘You’ll Never Walk Alone’. Il celebre compositore Irving Berlin , diceva che gli faceva lo stesso effetto del Salmo 23 dell’Antico Testamento. Un’estasi mistica. Una cosa così, probabilmente, avrebbe voluto scriverla lui. Nel febbraio del 1958, Jane Hardwick e gli altri cantanti della compagnia stavano per mettere in scena Carousel, dunque. Erano giorni in cui la giovane Jane, tifosa dello United, era profondamente turbata, come tutta la comunità di Manchester, come tutto il mondo del calcio inglese. Il 6 febbraio, il volo 609 della British European Airways doveva riportare a casa i giocatori dello United, lo staff e alcuni giornalisti che avevano seguito la squadra a Belgrado, dove aveva conquistato la semifinale di Coppa Campioni eliminando la Stella Rossa. L’aereo era a Monaco per fare scalo in Baviera e in condizioni meteorologiche difficili tentò tre volte di ripartire. La terza fu quella del dramma. L’aereo non riuscì a prendere velocità sulla pista innevata e a decollare, il tremendo impatto che seguì provocò la morte di 23 passeggeri, 21 i sopravvissuti. Tra le vittime 8 giocatori dello United. Tra i sopravvissuti anche una leggenda come Bobby Charlton . Sopravvissuti anche due giocatori che non giocarono mai più, Johnny Berry e Jackie Blanchflower. Una squadra dominante, soprannominata i “Busby Babes”, una squadra molto giovane e vincente guidata dall’allenatore Matt Busby. Due titoli nel 1956 e ‘57, una semifinale di Coppa Campioni nel ‘57. Una squadra che non c’era più. In qualche modo, si doveva andare avanti, nella vita e nel calcio. Lo United è tornato in campo 13 giorni dopo quel drammatico incidente, affrontando lo Sheffield in FA Cup, con ragazzini ancor più giovani e, incredibilmente, due giocatori sopravvissuti al disastro: Harry Gregg e Bill Foulkes, gli unici completamente illesi. In quel 19 febbraio, il Manchester United vinse 3 a 0. Tornò in campo ancora, tre giorni dopo, il 22 febbraio in una partita di campionato contro il Nottingham Forest. Finì 1 a 1, con oltre 66 mila anime presenti e afflitte, una manifestazione pubblica di cordoglio a Old Trafford. Tra di loro c’era Jane Hardwick. Aveva convinto i suoi amici e colleghi del New Mills Operatic Society a partecipare e a sostenere la sua idea. Iniziò a cantare ‘You’ll Never Walk Alone’, seguita dagli amici, piano piano da qualche altro spettatore, poi da sempre più persone. Un coro in lacrime stava dando il giusto omaggio alle vittime: Geoff Bent, Roger Byrne, Eddie Colman, Mark Jones, David Pegg, Tommy Taylor, Liam Whelan e Duncan Edwards, che aveva perso la vita solo il giorno prima della partita contro il Nottingham Forest per le terribili ferite riportate nell’incidente. Fin dai primi versi, quella canzone era un invito a non cedere alla disperazione, a trovare qualcosa che potesse portare sollievo. Lo poteva già fare quel momento di condivisione innescato dalla voce di Jane Hardwick: When you walk through a storm Hold your head up high And don't be afraid of the dark At the end of a storm There's a golden sky And the sweet silver song of a lark Walk on through the wind Walk on through the rain Though your dreams be tossed and blown Walk on, walk on With hope in your heart And you'll never walk alone You'll never walk alone Walk on, walk on With hope in your heart And you'll never walk alone You'll never walk alone Quando cammini nel bel mezzo di una tempesta Tieni la testa bene in alto E non aver paura del buio Alla fine della tempesta C'è un cielo dorato E la dolce canzone d'argento cantata dall'allodola Cammina nel vento Cammina nella pioggia Anche se i tuoi sogni saranno sconvolti e spazzati Va avanti, va avanti Con la speranza nel tuo cuore E non camminerai mai da solo Non camminerai mai da solo Va avanti, va avanti Con la speranza nel tuo cuore E non camminerai mai da solo Non camminerai mai da solo I tifosi United hanno ripetuto quel momento, magari non con continuità, ma alcuni sostengono che il canto si è risentito a Old Trafford negli anni successivi. Jane Hardwick ne ha fatto quasi una battaglia personale, non ha mai accettato che non fosse riconosciuta quella prima volta. Almeno quella prima volta, fu a Manchester. LIVERPOOL, DALLA CRISI ALLA RINASCITA GRAZIE ALLA MUSICA In ogni caso, arrivò il 1963 e cambiò tutto. Gli anni ‘60 erano una miscela di elementi organici in fermento. Una grave crisi economica aveva inciso sulla società inglese provocando un periodo di depressione, soprattutto nel nord del Paese, la parte più industriale. Il Merseyside era una delle zone più in sofferenza, il grande porto di Liverpool dove un tempo transitava il 40% di tutto il commercio mondiale, aveva perso il suo ruolo di crocevia tra il Vecchio e il Nuovo Mondo. I giovani delle classi più popolari avevano trovato qualcosa per esprimere la voglia di ribellione, di riscatto sociale, di una reazione, anche caotica, ma vitale. La musica. Il rock’n’roll. Quello che arrivava dall’America e che, soprattutto a Liverpool veniva imitato, adattato, reinventato. Alla fine degli anni ‘50 andava forte lo skiffle, un misto di folk, blues, jazz, bluegrass e musica popolare, spesso con strumenti improvvisati come assi per lavare i panni, cucchiai, manici di scopa e casse per trasportare il tè. Fu una contaminazione continua in tutta l’Inghilterra, definita a volte, in modo denigratorio, una terra senza musica, nonostante il folk e la tradizione popolare. Non c’era la ricchezza musicale della parte opposta dell’oceano. Proprio per questo c’era più sete di suoni nuovi, e più voglia di riempirci la vita con quei suoni. Sono nate in quel periodo circa 50 mila band, un numero che tende all’impossibile. C’erano i Quarrymen , ad esempio, o i Rattlesnakes . Dallo skiffle e dal rock’n’roll è nata la British Invasion che colonizzerà il mondo. Negli anni ‘60, le canzoni erano arrivate anche negli stadi. Il merito fu della musica, del rock’n’roll che diventa pop, e… dei tifosi brasiliani. La nazionale inglese guidata da Walter Winterbottom fece un tour in Sud America nel maggio del 1959. Tre umilianti sconfitte contro Perù, Messico e Brasile. La partita contro il Brasile, che era Campione del Mondo in carica, fu giocata a Rio De Janeiro e finì 2 a 0, reti di Julinho e Henrique. Fu trasmessa in tv in Gran Bretagna. I tifosi brasiliani cantarono e ballarono per tutta la partita. “Bra-sil cha-cha-cha! Bra-sil cha-cha cha!” Una folgorazione. Dalla stagione 1959-60 i tifosi cominciarono ad adattare alla loro squadra o ai loro giocatori lo stesso motivetto, accompagnandolo con il battito delle mani. Cominciarono ovunque i cori, interi settori dello stadio che cantavano insieme. Qualcosa di originale c’era, in realtà. I tifosi del Newcastle cantavano da anni ‘Blaydon Races’, una canzone tradizionale in Geordie , ispirata dalle corse dei cavalli di Blaydon, ma con riferimenti locali che l’hanno fatta diventare un testo in cui riconoscersi. Molto hanno contribuito le vittorie in FA Cup del Newcastle nel 1951, 1952 e 1955. L’hanno trasformata in un rito. La più antica canzone, ancora in uso, ha radici addirittura a fine ‘800. ‘On The Ball, City’ era usata da altri club del posto, prima che fosse fondata la squadra del Norwich City nel 1902. Sembra sia stata subito una caratteristica delle partite dei Canaries. I tifosi del Birmingham City cantavano ‘Keep Right On To The End Of The Road’, scritta negli anni ‘20, diventata veramente popolare durante la stagione 1955-56, con il Birmingham che arrivò in finale di FA Cup . Gli anni ‘60 hanno diffuso un fenomeno ancora ristretto e le partite sono diventate un concerto. Liverpool e la Kop, in questo, sono stati formidabili, unici. UN NUOVO INNO, LA KOP, GERRY E I BEATLES Nel 1963, prima della partita, cominciarono a diffondere dagli altoparlanti di Anfield la Top Ten, le dieci canzoni in testa alle classifiche di vendita, dalla numero 10 alla numero 1. Canzoni famose, dunque. Molte erano espressione del Merseybeat, come veniva definito quel nuovo genere musicale che era un’evoluzione dello skiffle e si identificava soprattutto con Liverpool e dintorni, perché molte band venivano da lì. Gerry & The Pacemakers, The Searchers, The Merseybeats, The Fourmost, The Remo Four, The Big Three, The Undertakers. E The Beatles, ovviamente. Ragazzi cresciuti nei locali della città. Club spesso ricavati da scantinati e magazzini, umidi, sporchi e puzzolenti, pieni all’inverosimile di ragazzi come loro che da quella musica ricevevano e restituivano una violenta scossa. Il Casbah Coffee Club dove i Quarrymen e poi i Beatles si esibirono 45 volte . Il Jacaranda Club. Il Liverpool Stadium, che a volte rinunciava agli incontri di boxe e ospitava concerti che riunivano più band in una serata. E il Cavern Club, ovviamente. I Beatles ci suonarono per la prima volta il 9 febbraio del 1961. In totale hanno fatto 292 serate al Cavern. Giravano già da anni gli altri club della città, ma erano diventati soprattutto la band del Cavern. Liverpool era un laboratorio musicale, era l’inizio di una nuova era, il Merseybeat piaceva subito da impazzire. Lo avevano capito molto bene due persone. Brian Epstein, un ragazzo che abitava in Anfield Road e che gestiva il negozio di dischi e strumenti musicali di famiglia; dopo aver visto la luce al Cavern , decise di diventare il loro manager e di seguire molte altre band locali. L’altro personaggio chiave fu George Martin, un giovane produttore che era diventato il responsabile della Parlophone, un’etichetta del gruppo EMI, un gigante discografico. Nel 1963 portarono al successo Gerry & The Pacemakers con ‘How Do You Do’, canzone rifiutata dai Beatles e finita al n.1 della classifica. Successo e n.1 in classifica furono ripetuti nello stesso anno con altri due singoli. Gerry & The Pacemakers furono la prima band inglese della storia a debuttare con i primi tre singoli in vetta alle classifiche. Uno si chiamava ‘I Like It’, l’altro era una versione beat di ‘You’ll Never Walk Alone’. ‘You’ll Never Walk Alone’ di Gerry & The Pacemakers fu registrata nel luglio 1963 e lanciata in ottobre. Era già nella Top 10 il 19 ottobre, quando il Liverpool affrontò ad Anfield il West Bromwich Albion. Fu trasmessa dagli altoparlanti dello stadio, accolta da un entusiasmo diverso. Il 29 ottobre diventò n.1 ed è rimasta in cima alla classifica per 4 settimane. L’abitudine di diffondere le hit dalla n.10 alla n.1 aveva per forza collocato ‘You’ll Never Walk Alone’ a ridosso dell’inizio della gara. Questa speciale Hit Parade di Anfield era eseguita dalla Kop in crescendo e la n.1 era un boato di gioia, una deflagrazione di voci. Dopo iniziava la partita, in un clima di esaltazione mai visto e sentito. Quando la canzone uscì dalla Top Ten, la Kop si rifiutò di farsi rovinare la festa dai capricci del mercato discografico. Cominciò a urlare ritmicamente in coro: “Dov’è la nostra canzone?”. Al diavolo la classifica. ‘You’ll Never Walk Alone’ divenne quello che è e che sempre sarà: un rituale che accompagna verso l’inizio della partita, con il potere di togliere forza agli avversari per immetterla nei giocatori di casa. La stagione 1963-64 fu straordinaria per il Liverpool del mitico allenatore Bill Shankly. I Reds vinsero un titolo che mancava dal 1947. Shankly ha allenato il Liverpool dal 1959 al 1974, lo ha preso in seconda divisione e l’ha portato a dominare il calcio inglese. Uno scozzese testardo, figlio di minatori, un uomo del popolo che condivideva con la gente del posto un certo senso dell’umorismo un po’ sarcastico. La partita che decretò il trionfo tanto atteso si giocò il 19 aprile del 1964 ad Anfield. Liverpool contro Arsenal: 5-0. Una festa in campo, un delirio sugli spalti e nella Kop. Tutto fu documentato da una troupe della BBC di Panorama, il programma di approfondimento giornalistico sull’attualità . Nel programma si vedeva la Kop cantare ‘You’ll Never Walk Alone’, ma anche altre canzoni che erano ormai parte del suo repertorio. Una era ‘Anyone Who Had A Heart’ di Cilla Black, altro mito del Merseybeat. Priscilla Maria Veronica White era la guardarobiera del Cavern, una delle tante sognatrici in musica di Liverpool, una famiglia con origini irlandesi, come quasi tutti del resto da quelle parti, Beatles compresi. Proprio l’amicizia che era nata al Cavern con i Beatles è stata fondamentale nella sua carriera. In particolare, è stato John Lennon a presentarla a Brian Epstein, il manager di quasi tutti del resto da quelle parti. Primo provino, un disastro. Cantò un classico, ‘Summertime’, ma il gruppo che l’accompagnava la eseguì nella tonalità sbagliata e le fece fare una figura meschina. Erano i Beatles. Per fortuna, Epstein la vide in un live e la mise sotto contratto. Nome d’arte Cilla Black. Primi dischi con la Parlophone di George Martin, ovviamente. Primo singolo ‘Love of the Loved’, scritta da Lennon e McCartney, un pezzo che non è mai comparso in nessuna registrazione ufficiale dei Beatles. L’avevano eseguita per un provino con la Decca, la casa discografica che li scartò perché… “con tutte ste chitarre e queste urla, non sarebbero mai andati da nessuna parte”. Se volete fare i complimenti alla Decca per l’errore più devastante nella storia dell’industria musicale mondiale, fatelo. Cilla Black ebbe successo anche con ‘It’s for You’, altro brano di Lennon-McCartney , e con ‘You’re My World’, che era la versione inglese di una canzone di Umberto Bindi . L’altra canzone immortalata nel programma della BBC e cantata con grande trasporto dalla Kop era ‘She Loves You’. I Beatles avevano iniziato ad incidere i loro pezzi nell’autunno del 1962. Il primo fu ‘Love Me Do’, si fece notare, non diventò un numero 1. Lo diventò ‘Please Please Me’, nel gennaio del 1963. Anche ‘From Me To You’, pubblicato in aprile. Quando il primo di luglio del 1963 uscì il singolo ‘She Loves You’, era fatta. Successo planetario. Era nato il pop, almeno dal punto di vista delle cose che il pop può generare: folla adorante, programmi radio e tv, interviste, servizi fotografici, conferenze stampa per contenere le richieste. La Beatlemania, come fenomeno sociologico e di antropologia culturale. ‘She Loves You’ era un instant classic. Liverpool non era più solo ‘rough’, rozza, popolana e anche un po’ volgare, umile e operaia. Era diventata la Città Santa. Il Giardino dell’Eden. Era nato un suono nuovo e tutti venivano nel Merseyside per catturarlo e imprigionarlo nei solchi a spirale di piastre circolari in PVC. L’oggetto di un desiderio percepito con urgenza. Dischi neri di vinile inviati nel mondo per permettere a più gente possibile di liberare il suono primordiale all’origine di un nuovo universo. La fortuna dei Beatles, è stata per un po’ la fortuna di decine di altri artisti, trascinati nel vortice del suono nuovo che portava in vetta alle classifiche. Tra questi, Gerry Marsden, un ragazzo di Toxteh, zona sud, uno dei quartieri più popolari e ribelli di Liverpool. Il suo gruppo, Gerry & The Pacemakers, fu il secondo messo sotto contratto da Brian Epstein . All’inizio degli anni '60, Liverpool ha vissuto una sorta di rivalità tra i Beatles e Gerry & The Pacemakers. Potete crederci? Fatelo. Stessa città, stessi club, stesso pubblico da catturare e da dividere. La rivista musicale Mersey Beat aveva fatto un sondaggio per stabilire quale fosse la band più popolare. Il sondaggio fu pubblicato nel 1962 e aveva eletto i Beatles. Al secondo posto, Gerry & The Pacemakers. Non senza polemiche. Il proprietario della rivista era Bill Harry, amico di John Lennon e suo compagno al Liverpool College of Art. In città si raccontavano storie su parecchie copie della rivista acquistate per cercare di autoassegnarsi più voti. Nel 1963, comunque, come sappiamo, Gerry & The Pacemakers furono i primi a piazzare tre singoli consecutivi al n.1 della Top Ten. Non capiterà mai più con altre nuove canzoni . Non avranno mai una n.1 negli USA, ma sono stati la band di Liverpool di maggior successo negli anni ‘60 anche in America. Dopo i Beatles, ovviamente. La più grande intuizione di Gerry Marsden è stata la scelta del terzo singolo da pubblicare nell’ottobre del 1963. Bill Epstein e George Martin avevano proposto ‘Hello Little Girl’. Un brano di Lennon-McCartney, uno di quelli del famoso provino con la Decca . Un brano dei Beatles, possiamo immaginare non fosse proprio il massimo per Gerry. La sua canzone preferita era il tema principale del musical Carousel, che aveva visto da bambino. Ha imposto ‘You’ll Never Walk Alone’ e ha fatto il gol più importante della carriera, qualcosa che è rimasto. Qualcosa che non sono riusciti a fare nemmeno i Beatles. Gerry fece ascoltare una registrazione del brano a Bill Shankly, l’allenatore dei Reds. Shankly ne fu fortemente impressionato. Probabilmente capì il potenziale del brano per la gente di Liverpool, per i tifosi dei Reds e per la Kop, con cui aveva un feeling particolare. Dopo il titolo conquistato nella trionfale stagione 1963-64, il Liverpool fu invitato in America per una serie di partite amichevoli. Nello stesso periodo, maggio 1964, Gerry & The Pacemakers stavano facendo il loro primo tour negli USA. Con due partecipazioni all’Ed Sullivan Show, il mitico varietà televisivo della CBS. Gerry propose ad Ed Sullivan di invitare quella squadra di calcio, il Liverpool, che stava guarda caso a New York, che aveva vinto quella cosa per gli inglesi così importante, un campionato di calcio. E l’idea era farli cantare, cantare insieme ‘You’ll Never Walk Alone’, una canzone che gli americani conoscevano e che era diventata il simbolo della stagione vincente di una squadra di calcio inglese. Pensa te. Idea accolta con entusiasmo da Ed Sullivan. Gerry Marsden raccontò che dopo l’esibizione Bill Shankly gli disse: “Gerry, figlio mio, io vi ho dato una squadra e tu ci hai dato una canzone”. LA TRAGEDIA DI HILLSBOROUGH La forza di ‘You’ll Never Walk Alone’, la capacità di trasmettere perseveranza, vicinanza e solidarietà è diventata estremamente importante in alcuni momenti della storia del Liverpool. Dopo la strage di Hillsborough, soprattutto. Il 15 aprile del 1989 era in programma la semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest. Campo neutro: Hillsborouhg Stadium a Sheffield. Ai tifosi dei Reds fu riservata la parte ovest, quella di Leppings Lane, meno capiente della curva opposta e con meno ingressi. Arrivarono tantissimi tifosi da Liverpool, si creò una ressa inevitabile, risultato dell’errore iniziale. Tutto quello che seguì era probabilmente evitabile, ma ha portato ad una spaventosa tragedia. La polizia decise di aprire il Gate C, un cancello usato solo per il deflusso, pensando di favorire l’ingresso dei tifosi. Il passaggio portava in un tunnel e poi al settore basso e centrale della tribuna, che aveva posto solo per 2 mila persone. Finì con una ressa peggiore, nel settore, nel tunnel. Finì con persone spinte contro recinzioni particolarmente resistenti perché erano una delle misure introdotte nel calcio inglese dopo la strage dell’Heysel . Finì con disperati tentativi di arrampicarsi verso gli altri settori, con l’aiuto degli spettatori, e questo causò il crollo di una ringhiera. Finì con qualcuno che riuscì raggiungere il campo e fu caricato dalla polizia perché si pensava ad una invasione da hooligans. Tifosi che non potevano muoversi e respirare, molti non poterono resistere allo schiacciamento. La partita era iniziata, fu interrotta dopo 6 minuti quando finalmente la polizia intervenne per aprire le recinzioni e far defluire i tifosi in campo e salvarne il più possibile. In pochi minuti morirono 94 persone, due poco tempo dopo per le ferite riportate. 79 avevano meno di 30 anni. Le vittime ufficiali sono poi diventate 97. Andrew Devine, un ragazzo che nel 1989 aveva 22 anni, è rimasto in stato vegetativo per 32 anni, ed è morto nel 2021. ‘You’ll Never Walk Alone’ è stato il canto che ha unito le famiglie delle vittime, i tifosi e la città di Liverpool in ogni momento, in ogni celebrazione e, ancor più di prima, in ogni partita ad Anfield. Un canto che è diventato anche di rabbia durante gli anni dell’inchiesta interminabile sulla tragedia. È diventato una richiesta di avere verità e giustizia. Ci furono vergognosi depistaggi, tentativi di nascondere le responsabilità, campagne sui media compiacenti per attribuire la colpa ai tifosi dei Reds. Anni in cui era necessario resistere. Niente poteva esprimere il senso di trovare una forza comune e di partecipare alla stessa lotta come ‘You’ll Never Walk Alone’. Walk on, walk on With hope in your heart And you'll never walk alone You'll never walk alone L’OMAGGIO DI SAN SIRO, LE FINALI CONTRO IL MILAN Una delle interpretazioni più intense, fu cantata in uno stadio pochi giorni dopo la tragedia di Hillsborough. Accadde il 19 aprile del 1989, quattro giorni dopo il dramma di Sheffield. Lo stadio era quello di San Siro. Si affrontavano Milan e Real Madrid, nella semifinale di ritorno di Coppa Campioni. Quando l’arbitro belga Alexis Ponnet fermò la gara per un minuto di raccoglimento, partì un applauso, poi dopo qualche secondo dalla curva rossonera è partito il coro di ‘You’ll Never Walk Alone’. Una serata speciale, il Milan di Arrigo Sacchi vinse 5 a 0 e si qualificò per la finale . Una delle più grandi prestazioni nella storia del Milan, certamente. E quel tributo fu un gesto di straordinaria sensibilità che commosse l’Inghilterra. La partita venne trasmessa in differita dalla BBC, tutti poterono vedere e sentire cosa fosse successo a San Siro. La comunità di Liverpool fu profondamente toccata da quell’affetto che arrivava nel momento in cui stava seppellendo i suoi morti. Quel 19 aprile, nel sobborgo affacciato sul mare di Waterloo, Merseyside, si erano svolti i funerali di Gary Church, 19 anni. Erano presenti anche Kenny Dalglish, allora allenatore dei Reds, e i giocatori John Barnes e John Aldridge. Gary Church aveva scambiato il suo biglietto di tribuna con uno della curva della strage per seguire la partita con due suoi amici. Una delle 97 storie che Liverpool non dimenticherà. Così come non ha dimenticato l’omaggio di San Siro. Al Milan arrivarono lettere di ringraziamento. Ray Limb, un tifoso dei Reds che nel 1985 era a Bruxelles dentro l’Heysel, scrisse che aveva ben presente la sofferenza che quella serata aveva provocato. Un motivo in più per apprezzare il tributo dei tifosi italiani, perché quelle due tragedie dovevano spingere le persone di tutte le nazioni ad essere più solidali, più vicine. La lettera si concludeva con l’augurio di incontrarsi presto su un campo da calcio. Non ha dovuto aspettare molto. La finale di Champions 2005 a Istanbul. Un’altra dimostrazione evidente della magia di ‘You’ll Never Walk Alone’, cantata dai tifosi dei Reds con il Liverpool sotto 3 a 0, durante un intervallo che ha cambiato la partita. Le vibrazioni della rimonta partirono dalle tribune e da quel coro. Finì come sappiamo: 3 a 3, supplementari, rigori. Il portiere Jerzy Dudek parò il tiro di Shevchenko e il Liverpool vinse la Champions. Due anni dopo, nella finale del 2007 di Atene, due gol di Inzaghi riscattarono quella sconfitta e il Milan batté il Liverpool 2 a 1. Nel 1989 ci fu un altro momento emozionante in cui di ‘You’ll Never Walk Alone’ ha avuto ancor più significato. Il 20 maggio si giocò a Wembley la finale di FA Cup: il derby del Merseyside tra Liverpool ed Everton. Erano passate solo 5 settimane da Hillsboroug. Ci fu un minuto di silenzio, poi Gerry Marsden è apparso su un palchetto posto al centro del campo. Ha cantato con tutto lo stadio la sua canzone, la canzone della Kop e dei Reds, mai come quella volta la canzone di tutti. “Grazie Merseyside”, disse alla fine. UNA TRADIZIONE CONDIVISA Gerry Marsden si è prestato spesso per rinnovare la capacità di unione e connessione della sua canzone, che sempre porta una maggiore consapevolezza dei valori ideali di riferimento, di cosa distingue l’animo del coraggioso e da quello del pavido. Nel 1985 aveva chiamato una serie di artisti per registrare una versione di ‘You’ll Never Walk Alone’ con lo scopo di raccogliere fondi per le vittime dell’incendio di Bradford. Un’altra tragedia. Nella gara di Thrid Division tra Bradford City e Lincoln City, nello stadio di Valley Parade, vecchio, inadeguato, con alcune parti ancora in legno, si sviluppò un incendio che in pochi minuti avvolse la tribuna principale. Le vittime furono 56. C’era bisogno di ‘You’ll Never Walk Alone’. Il supergruppo riunito da Gerry comprendeva un gran numero di artisti inglesi, attori, personaggi della tv, musicisti come i Motorhead, alcuni componenti degli Yes, degli Smokies e degli Who, dei Thin Lizy e dei Searchers, poi Kiki Dee e molti altri. Sul lato B c’era un pezzo intitolato ‘Messages’, a cui aveva collaborato anche Paul McCartney. Il supergruppo si chiamò The Crowd e la nuova versione di ‘You’ll Never Walk Alone’ tornò al primo posto della classifica inglese il 15 giugno del 1985 . Gerry Mardsen in pratica era il primo a tornare n.1 con due versioni dello stesso pezzo. Neanche Elton John con ‘Candle In The Wind’, per dire. L’originale arrivò solo al n.11, fu la versione del 1997 dedicata a Lady Diana che arrivò al n.1. Un’altra esibizione dal vivo di Gerry con canto collettivo fu nel 2003, prima del quarto di finale di Coppa Uefa tra Celtic e Liverpool a Celtic Park. Cantava tutto lo stadio, davvero, per una semplice ragione: ‘You’ll Never Walk Alone’ è anche l’inno del Celtic. I tifosi scozzesi erano rimasti affascinati nella semifinale di Coppa delle Coppe del 1966, battuti 2 a 0 ed eliminati dal Liverpool ad Anfield. Sconfitti, ma innamorati di un coro che hanno fatto loro. Non solo è stato adottato, ma viene interpretato con lo stesso orgoglio, slancio e passione che potete sentire ad Anfield. Stessa cosa si può dire del Westfalenstadion di Dortmund, dove i tifosi del Borussia sfruttano gli oltre 80 mila posti, e quindi ugole a disposizione, per esibizioni entusiasmanti di ‘You’ll Never Walk Alone’. Quando queste squadre si incrociano in Europa, è uno spettacolo meraviglioso. Quarti di finale Europa League del marzo 2016, Liverpool-Borussia. Primo ottobre 2024, seconda giornata di Champions League, Borussia-Celtic. GRANDI INTERPRETI SU DISCO. TRA QUESTI ANCHE LA KOP ‘You’ll Never Walk Alone’ è stata incisa dai maggiori interpreti della musica mondiale. Se volete fare un elenco parziale, metteteci Alicia Keys e Aretha Franklin, Elvis Presley e Frank Sinatra, Gene Vincent e Johnny Clash, Louis Armstrong e Nina Simone, Roy Orbison e Mark Knopfler, Dionne Warwick e Patti Labelle, e via così, impossibile rintracciarli tutti. Magari aggiungiamo Tom Jones, ma sì. E la versione di Marcus Mumford, per raccogliere fondi durante la pandemia. Nonostante questo, è la versione di Gerry & The Pacemakers che rimane un classico inarrivabile. Sarà sempre questa versione ad essere diffusa dall’impianto audio di uno stadio. E, alla fine, non è possibile immaginare ‘You’ll Never Walk Alone’ senza la Kop. Il più grande omaggio in musica a entrambi è stato fatto in un disco del 1971. Si chiamava ‘Meddle’ ed era il sesto album in studio dei Pink Floyd. La Kop entrava con il suo canto più famoso nel finale del brano ‘Fearless’. Un brano con un dolce andamento nel canto di David Gilmour, un riff di chitarra accattivante, con un testo dove Roger Waters cominciava ad esprimere le sue inquietudini. I Pink Floyd cercavano qualcosa di ‘fearless’, un orgoglio senza paura. Era un esempio perfetto. Il Kop Choir accompagnava il brano fino alla fine ed è stato anche lasciato l’urlo “Liverpool! Liverpool!”. I Pink Floyd hanno voluto mettere su disco il coro di ‘You’ll Never Walk Alone’ per riprodurre quell’effetto grandioso che trascende il football. Consapevoli che quello che si poteva percepire in una registrazione era nulla rispetto a quello che avveniva dal vivo, durante una partita ad Anfield. Anche i Pink Floyd non potevano competere con la Kop e quei tifosi. Quindi, era meglio lasciar cantare loro. Il rito si ripete, ogni volta uguale e ogni volta provoca la stessa meraviglia. Entrano le squadre, arrivano i Reds. Un coro si alza dalle migliaia di tifosi che affollano la Kop, riempie lo stadio e le nostre case attraverso la tv. Ascoltate. Cantate, se volete . When you walk through a storm Hold your head up high… …And you’ll never walk alone You'll never walk alone

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