Ci vuole karma e... Myles Lewis-Skelly: la storia del ragazzino che ha irriso Haaland

Nello sport, e dunque per estensione nella vita, servono convinzione, applicazione, dedizione negli allenamenti, voglia di vincere e, spesso e volentieri, calma. E sangue freddo, direte voi. No, replichiamo noi, con buona pace di Dirisio: calma e… karma. Che, sebbene in questo accostamento possa sembrare la declinazione in romanaccio della stessa parola, è in realtà un concetto a sé. Anche se intrinsecamente legato al primo. Ma non vi svelo di certo un segreto. Ci vuole calma, ad esempio, nell’esporre giudizi, nel tracciare delle linee, nel definire la propria superiorità rispetto a un avversario, quasi per diritto precostituito o semplicemente per una questione anagrafica. Evitare insomma di fare i gradassi, confortati magari da una recente scia di successi collettivi e affermazioni personali, perché tutto, nella vita così come nello sport e nel calcio, può cambiare molto velocemente e ribaltare le prospettive. Ed è proprio per questo che oltre alla calma, ecco che servirebbe certamente anche un bel po’ di karma, termine che - come si legge nella definizione della Treccani e come molti se non tutti di voi sapranno – “nell’accezione propria della religione e della filosofia indiana, indica il frutto delle azioni compiute da ogni vivente, che influisce sia sulla diversità della rinascita nella vita susseguente, sia - e qui arriviamo al caso nostro - sulle gioie e i dolori nel corso di essa”. Per ogni azione, dunque, c’è una reazione uguale e contraria. Più ti comporti male, più il male ti torna indietro. Ebbene, diciamo che lo scorso 22 settembre, per l’appunto una vita calcistica fa, soprattutto parlando del Manchester City, un po’ di karma positivo nel taschino avrebbe fatto decisamente comodo a Erling Haaland. Ricordate l’epilogo da turpiloquio e rissa da bar sfiorata col quale il norvegese si congedò dai suoi avversari/nemici dell’Arsenal dopo quel rocambolesco 2-2 griffato dal primo gol di Calafiori in Premier e dalla rete del pareggio segnata in extremis da Stones? Ironica pacca sulla spalla ad Arteta con tanto di “stay humble”, “rimani umile”, come a sottolineare in maniera negativa la comprensibile voglia di affermazione dell’allievo del vate Pep, faccia a faccia reiterato con Gabriel Jesus, chiamato nella cordiale occasione clown, e poi, forse il più spregevole e meno karmico degli atteggiamenti, la gradassata contro un incolpevole 17enne, un ragazzino sconosciuto ai meno avvezzi alla Premier ma di certo non ai talent scout mondiali: “E tu, chi c… sei?”, la sprezzante frase pronunciata dall’alto dei suoi 194 centimetri. Il destinatario? Myles Lewis-Skelly , talentuoso terzino sinistro della squadra giovanile dei Gunners fatto esordire da Arteta proprio al 92’ della sfida coi Citizens. A rivederla con gli occhi del karma, e con altrettanta e molta calma, non poteva esserci peggior scelta settembrina per l’aitante airone norvegese. La storia del City dopo quella partita è abbastanza nota e non bisogna forse troppo ricordarla, anche perché a Guardiola genererebbe ulteriori spasmi da autolesionismo, nei quali sempre più spesso ultimamente sembra ricadere. Tracollo verticale in Premier, dove oggi occupa la quinta posizione a pari merito col Newcastle e -15 dal Liverpool capolista, 8 punti fatti in meno rispetto a quelli del non più umile Arteta e incubo eliminazione nel mega girone di Champions, per il momento scampata e ora legata a doppio filo al playoff da paura contro il Real Madrid di Ancelotti. Ma se tutto ciò sembra già tanto, quello che forse nemmeno il più sadico degli scrittori avrebbe potuto immaginare è come si è poi materializzata la vendetta, più trina che una, del karma, dell’Arsenal e di quel giovane sconosciuto che ha saputo attendere al meglio il momento della rivincita. Sono passati 133 giorni dal pomeriggio dell’Etihad a quello dell’Emirates. Un tempo sufficiente per vedere gli effetti del tanto temuto - almeno dagli indiani - karma. Che, puntualmente, ha presentato ad Haaland tutto il suo salatissimo conto. City devastato 5-1, il bomberone sbeffeggiato da tutto il pubblico festante dei Gunners, che ha sbattuto in faccia al norvegese la loro poca umiltà, e poi l’umiliazione definitiva. Da parte di chi? Ovviamente del ragazzino, che ora conoscono proprio tutti, e che, in un impeto di esaltazione tecnica, ha messo tutto il suo repertorio al servizio dell’amato karma. Ci vuole calma, dicevamo. E Myles Lewis-Skelly sembra averla trattenuta tutta dentro se stesso in questi 4 mesi, per scatenarla nella sua serata più importante, quella del suo primo gol in Premier. Incursione centrale in area - eh sì proprio nello stile dei terzini inventati da Guardiola, quelli che tagliano in mezzo al campo per liberare spazio sugli esterni e creare superiorità nel mezzo - dribbling su Stones per portarsi la palla sul destro e conclusione che trafigge Ortega. È il suo primo gol in carriera, ha appena 18 anni e lui che fa? Festeggia, ovviamente, ma nel farlo consuma con gli interessi la vendetta contro il giocatore più forte e costoso del globo, scimmiottando la sua esultanza in mondovisione. Seduto a gambe incrociate, avambracci sui gomiti, indici arrotolati sul pollice e doppio gesto della tipica meditazione zen, con tanto di risate sguaiate dei suoi compagni tronfi e vendicati. Un ragazzino… contro un gigante. L’umiliazione è servita. Ma chi è questo Myles Lewis-Skelly? Non chiedetelo ad Haaland, ci verrebbe da dire per fare una battuta. Anzi, in realtà oggi si potrebbe chiederlo proprio al norvegese, che a sue spese ha imparato a conoscerlo. Scherzi a parte, Myles è l’ennesimo fenomeno tirato fuori da una delle academy più gloriose del calcio inglese, da sempre capace di regalare alla platea calcistica mondiale un nugolo di grandi talenti. Figlio dei Gunners, nato a due passi da Highbury il 26 settembre del 2006 e cresciuto nel sobborgo di Islington, nord di Londra, Lewis-Skelly è un giocatore totale. Nato come centrocampista centrale - ruolo nel quale ha giocato quasi sempre nelle giovanili dell'Arsenal - da quando è arrivato il prima squadra Arteta lo sta trasformando nel prototipo del terzino moderno, capace cioè di fare il lavoro classico dell’esterno di una difesa a 4 ma di farlo in maniera contemporanea, duttile, versatile: entrare nel campo, dettare linee di passaggio alternative, sostituirsi all’occorrenza al regista della squadra, compito nel quale si trova particolarmente a suo agio grazie al lavoro svolto nelll'academy. Insomma, il classico uomo in più da sfruttare in vari modi, modello in primis guardiolano e poi ripreso da quasi tutti gli allenatori, per l’appunto, moderni. Grande amico di Ethan Nwaneri, altro gioiello già esploso come una supernova nell’universo Arsenal , Lewis-Skelly è stato assoluto protagonista nella cavalcata dell’U18 verso la finale di FA Youth Cup nel 2023 , nella quale realizzò, in appena 6 partite, 1 gol e 3 assist. Cresciuto per anni allenandosi sotto età con compagni più grandi di lui, ha dovuto però attendere il suo momento per esordire in Premier, considerato che già nella scorsa stagione in molti tifosi chiedevano il suo inserimento in prima squadra. Ma Arteta, che in realtà l’umiltà sembra conoscerla molto bene, ha voluto attendere l’attimo più propizio, iniziando a gettarlo nella mischia solo in questa stagione. Esordio all’Etihad , poi di nuovo in campo col Liverpool per 14 minuti , quindi tre panchine e tre partite saltate per infortunio, sino al momento della svolta: la prima da titolare, contro l’Everton, il 12 dicembre scorso. Da lì altre 6 partenze da titolare , una panchina e un ingresso in corsa, senza gol ne assist ma con un rosso ingiusto sventolatogli in faccia dall’arbitro Oliver, il vecchio nemico di Buffon , nella penultima uscita in Premier. Eh già, perché, beffa delle beffe del karma, la partita contro il City Myles non avrebbe nemmeno dovuto giocarla. Espulso dopo 43’ sul campo dei Wolves per un fallo tattico al limite dell’area avversaria nemmeno particolarmente violento, si è visto togliere le tre giornate di squalifica dopo il ricorso dell’Arsenal, accolto dalla Football Association. Evidentemente quello di domenica 2 febbraio doveva essere proprio il suo pomeriggio. Quello della rivincita. Quando si dice il karma…

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Michele Mastrogiacomo