Serie A, la rivincita dell’Armada española

Serie A

Domenico Motisi

ComboSuso

Una vera e propria inversione di tendenza. Quelli che storicamente non sembravano adatti a giocare nel nostro campionato, adesso sono i punti di forza (o plusvalenze importanti) di squadre come Milan, Napoli e Juventus. I vari Mendieta e José Mari sono solo un ricordo, adesso comandano Suso e i suoi hermanos 

In principio fu Luis Suárez. Non il Pistolero campione uruguaiano compagno di Messi e Neymar, ma Luis Suárez Miramontes, detto Luisito. Era il 1961 e dal Barcellona arriva a Milano, sponda nerazzurra, un ragazzo di 26 anni, nato a La Coruña, che l’anno prima aveva alzato al cielo del Camp Nou il Pallone d’oro. È tutt’ora, l’unico spagnolo ad aver vinto il riconoscimento più prestigioso a livello individuale. Con l’Inter di Herrera vinse tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Insieme a Suárez in quegli anni arrivarono altri connazionali come Sansebastian (Venezia), Peiró (Torino) e De Sol (Juventus), tutti offuscati dai successi e dalla classe di Luisito. Dopo di loro, per moltissimi anni, il nulla. Gli spagnoli non sembravano adatti al calcio italiano. Una sensazione confermata quando, a partire dagli anni Novanta, i club di Serie A tornarono a scommettere su calciatori iberici con scarsi risultati. 

Inversione di tendenza – Forse è cambiato lo stile delle squadre italiane, probabilmente il livello della Serie A non è più quello di qualche anno fa, o magari i stanno imparando a capire il nostro campionato. Fatto sta che da Suso a Callejón passando per Iago Falque e Borja Valero, nelle ultime due, tre stagioni i calciatori spagnoli stanno facendo la differenza. Quest’anno la sorpresa è il milanista Suso. Preso a parametro zero dal Liverpool, sembrava un esterno fumoso e inadatto ai ritmi italiani. Il prestito al Genoa di Gasperini ha restituito al Milan di Montella un calciatore diverso: punta, salta l’avversario, fornisce assist e segna. Nel tridente rossonero è l’unico veramente insostituibile. Discorso simile per Iago Falque che, partendo da destra nell’attacco granata di Mihajlovic, sta incantando la tifoseria granata. I vari Callejón, Albiol e Reina al Napoli, Borja Valero e Tello alla Fiorentina non possono più essere considerate sorprese visti gli standard a cui hanno abituato i propri tifosi. Altri ancora come Morata o Marcos Alonso, hanno “sfruttato” la Serie A per mettersi in mostra prima di accettare i ricchi contratti di Real Madrid e Chelsea. Insomma, dopo Luisito e i flop degli anni passati, in Italia è tempo di reconquista española.

Campeones o paquetes? – Campioni o pacchi? La domanda sorgeva spontanea e, nella maggior parte dei casi, lo era anche la risposta. Gli spagnoli di ultima generazione, infatti, hanno dovuto combattere contro i fantasmi di illustri connazionali che erano arrivati in Italia a suon di miliardi ma che poi hanno fallito miseramente. Chi non ricorda Gaizka Mendieta, il basco considerato il nuovo Nedved, regalo di Cragnotti per la sua Lazio campione d’Italia. Arrivato dal Valencia per circa 90 miliardi, è poi tornato in Spagna con il “trofeo” di “bidone del secolo”. Prima di lui, sempre alla Lazio, era stato Ivan De la Peña ad entusiasmare – per poi deprimere – i tifosi biancocelesti. Era una Serie A diversa, moltissimi top player sceglievano l'Italia e non era facile reggere la concorrenza. Basti pensare a Javi Moreno o José Mari che dovevano competere (o far coppia) con i vari Shevchenko, Inzaghi e Rui Costa. A loro parziale discolpa c'è da segnalare come non sia andata meglio neppure ad altri spagnoli arrivati più recentemente ma che non hanno confermato quanto di buono avevano fatto vedere (o in alcuni casi solo intravedere) altrove. È il caso di Bojan Krkic, Fernando Torres, Mario Suárez e altre meteore della nostra Serie A. Nessuno di loro ha lasciato il segno ma a risollevare l’Armada española in Serie A ci hanno pensato Suso e i suoi hermanos.