Roma, le 4 cose che ricordano lo Scudetto 2001

Serie A

Angelo Mangiante

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Sistema di gioco, interpreti, andamento: sono sempre di più i punti di contatto fra la Roma attuale e quella dello scudetto 2001

SPALLETTI-CAPELLO

Spalletti si sta sempre più "Capellizzando". Ha messo da parte il fioretto e aumentato muscoli e centimetri. Blindando la difesa anche a costo di segnare un po' meno. In una metamorfosi in cui l'attuale 3-4-2-1 trova molti punti in comune con la Roma tricolore di Capello, ultimo a vincere 16 anni fa.

Tre soli allenatori hanno vinto lo scudetto a Roma.

Il primo fu ALFRED SCHAFFER, ungherese. Era stato anche un ottimo calciatore. Ma dopo lo scudetto del '42 venne chiamato in patria al fronte a causa della seconda guerra mondiale. Morì in battaglia nel '45, a 51 anni, in un campo diverso da quello di calcio.

NIELS LIEDHOLM trionfò nell'82-83. Un calcio divino con Falcao. I gol di Pruzzo e la velocità pazzesca di Vierchowod. Ma la vera forza era il fair play e l'autoironia del Barone che spiazzava sempre tutti.

A FABIO CAPELLO piaceva imporsi. Voleva far sentire ai giocatori il suo peso. Dovevano capire che comandava solo lui. C'erano personalità forti in quella squadra. Cafù, Candela, Samuel e un 10 come Totti. C'erano anche Montella e Di Francesco diventati allenatori, Tommasi oggi Presidente dell'Assocalciatori. E c'era Batistuta. C'è un episodio che spiega il carattere dell'allenatore. Quella stagione (2000-2001) seguii tutto il campionato dalla panchina di Capello. Un giorno, era la seconda giornata, Lecce-Roma, Batistuta si avvicinò alla panchina dopo circa un quarto d'ora di gioco: "Mister devo uscire. Mi fa male il ginocchio. Mi cambi". La risposta immediata di Capello "No, rimani in campo". "Ma Mister sento dolore, mi fa male". "Adesso tu rimani in campo. Mi servi lì davanti". Morale. Rimase in campo e la Roma vinse 4-1 con una sua doppietta.

LUCIANO SPALLETTI durante le partite assomiglia molto a Capello. Dalla panchina si fa sentire. Spesso è duro. Cambia modulo anche in corsa e pretende applicazione massima. Qualcuno, a volte, prova a lanciargli uno sguardo velenoso, ma Spalletti non fa una piega. Non tremava mai neppure Capello. Nella partita che poteva valere lo scudetto a Napoli fece entrare solo a pochi minuti dalla fine Montella. Vincenzo, costretto ad un lunghissimo riscaldamento, non gradì e tirò un calcio ad una bottiglietta di plastica da mezzo litro verso la panchina. Sfiorò Capello di poco. Ma lui non fece una grinza. Quella bottiglietta sfiorò anche me che ero lì accanto a Capello. Non dissi nulla. Non per paura. Ma perché era una cosa che dovevano risolvere loro. Solo loro due. Da soli. Non a caso poi la sera stessa Vincenzo si scusò pubblicamente con tutti per l'accaduto.
 

SAMUEL-FAZIO

La difesa a 3 di Capello era granitica. Zabina-Samuel-Zago. C'era anche un totem come Aldair, ma Capello non si fece scrupoli. Voleva un muro e quel 22enne argentino ex Boca sarebbe diventato per tutti "The Wall". Mancino Samuel, piede non raffinato. Ma senso della posizione eccellente, fortissimo di testa e la garra da gringo con pistola fumante.

Un ruolo di comando che oggi occupa Fazio. Insuperabile di testa. Capacità di far ripartire l'azione come un centrocampista, ruolo che occupava in Argentina. Arrivato in punta di piedi, a 30 anni. Dopo 3 Europa League vinte da Capitano con il Siviglia. Ma dopo solo 20 presenze e tanta panchina in due anni con il Tottenham. Rinato con la fiducia di Spalletti.

Alto 1,96 Fazio, come Dzeko. Nato il suo stesso giorno, 17 marzo, ma con un anno di differenza. Due giganti insostituibili.

DZEKO-BATISTUTA

Nasce povero Batistuta. Quando parti da lì le sfumature sono diverse. Un giorno confidò: "mi fa male vedere oggi i miei figli perdere tempo a scegliere tra 20 scarpe diverse che hanno a casa. Io ne avevo un paio soltanto". Valeva poco quell'unico paio di scarpe che aveva e ci faceva tutto. Comprese quelle partite infinite da ragazzino in mezzo alla strada. Aveva fame il piccolo Gabriel. Come Edin. Cresciuto tra le bombe di Sarajevo. Una guerra assurda che gli è rimasta dentro :"Non c'era tempo per aver paura. Dovevi solo correre per metterti al riparo sottoterra". Non c'era tempo per vivere da bambini :"La preoccupazione più grande della mia famiglia era non avere la certezza di mettere insieme due pasti al giorno". Vengono da lì Edin e Gabriel. Poi sono cresciuti e sul campo non potevano avere paura. La lasciavano ai difensori che dovevano marcarli.

Un cuore grande Bati. Capace di piangere dopo il gol alla Fiorentina. Era il Re Leone. Con lui davanti si sentivano tutti più sicuri. Si sentivano più forti. Era travolgente. Una personalità magnetica. Cattivo in campo. Lottava. Finalizzatore spietato. 70 miliardi e 20 gol. Una sentenza per lo scudetto.

 

Diverso tecnicamente Dzeko. Meno cattivo, ma piedi morbidi da trequartista. Capace di muoversi a tutto campo con una facilità impensabile per uno che sfiora i 2 mt. Un vincente. In Germania e in Inghilterra. Capitano di una nazionale che ha portato al Mondiale. Criticato il primo anno in Italia, rispondendo senza mai mezza polemica. Con stile e con i gol. Tutte le volte che lo intervisto mi colpiscono i suoi occhi. Trasmettono un pensiero vivo. L'intelligenza di un uomo vero. L'unico 9 in vent'anni a potersi sedere alla pari accanto a Batistuta.

TOTTI

C'era 16 anni fa con il suo marchio di fabbrica sullo scudetto e c'e ancora oggi. Per fortuna. Un miracolo che ci ha concesso il Dio del Pallone. Totti sta al calcio come Federer al tennis. Come Kobe Bryant al basket. Artista che ha fermato il tempo. Nel 2001, a 25 anni, aveva una forza fisica che lo rendeva unico come trequartista. Totti-Batistuta-Delvecchio più Montella pronto a entrare. Un attacco che era un mix completo ed esplosivo. Totti era la fantasia. Accendeva la miccia. Era ed è il Calcio. Anche oggi. Ha chiuso l'anno solare 2016 con la migliore media gol della Serie A. Ha fermato il tempo. A Marassi si presenterà domenica con il ricordo del suo gol più spettacolare. Era il 2006, post finale di Berlino. Colpì al volo di sinistro, con il piede operato prima del Mondiale. Un gol difficile solo da pensare. Figuriamoci da realizzare. Ero a bordocampo e vidi intorni a me una scena da brividi. Indimenticabile. I tifosi della Samp si alzarono in piedi ad applaudire. Un grande pubblico che riconobbe la giocata sublime.

Ricorda meno volentieri Totti un altro incrocio con la Samp. 25 Aprile 2010. Roma-Samp 1-2 e scudetto buttato via con quella doppietta in rimonta di Pazzini. Era la Samp dei due ex Cassano e Delneri a rovinare la festa alla Roma di Ranieri. Totti sarebbe potuto diventare l'unico giocatore della Storia della Roma a vincere due scudetti. Tutto rinviato. Ci riproverà. Pensando domenica alla Samp. Pensando al tentativo di rivincere uno scudetto. Come quella Roma di Capello verso cui tende oggi Spalletti.