Gigi nei panni dello spettatore privilegiato di alcuni dei gol più belli della storia. Non è un caso, ma il destino dei più forti. Perché per batterli bisogna andare oltre l’ordinario e ricorrere all'impossibile
Fidati, Gigi, anche questo vuole essere un regalo, nonostante l’idea di ricordare i gol subiti possa sembrare in apparenza l’esatto contrario. Seguite il ragionamento: per anni Buffon è stato l’incubo degli attaccanti avversari, che si arrovellavano la notte prima dell’esame pensando a come batterlo, a quale fosse il suo punto debole, per poi scoprire, alla fine, che l’unico modo per segnargli era inventarsi qualcosa di straordinario, nel senso letterale di un termine ormai abusato. Non può essere un caso che il comune denominatore di tanti gol impossibili sia Buffon. È così perché ricorrere all’impossibile era l’unico modo per fargli gol e in fondo un po’ è anche colpa sua, se vogliamo: ha spinto tanti giocatori a tirar fuori il coniglio dal cilindro, a spingersi oltre. E anche questo è un complimento, oltre che una bella cosa di cui può vantarsi.
Il tacco di Mancini (Parma-Lazio 1-3, 17 gennaio 1999)
Quando Sinisa Mihajlovic si appresta a calciare un corner il pericolo è sempre nell’aria. Un po’ meno, forse, quando calcia dal versante sinistro e dunque con effetto a uscire: un bel sospiro di sollievo, per un portiere, che se non altro sa che quel sinistro velenoso non curverà verso la porta mettendolo in difficoltà. Marcature assegnate, saltatori in area, corner a uscire: la difesa del Parma sembra pronta a fronteggiare la minaccia. Nessuno però ha fatto i conti con l’impensabile, il colpo di genio che per definizione non può essere programmato. All’altezza del primo palo, Mancini si stacca dalla marcatura di Benarrivo, correndo incontro al pallone, poi una piroetta e un colpo di tacco. Secco, pulitissimo. Una saetta sotto l’incrocio dei pali, che non dà a nessuno il tempo di muovere un muscolo. La palla sfiora la spalla destra di Crespo, dritto come un fuso, che ruota solo la testa come incuriosito. Poi si infila nello spazio tra la traversa e la testa di Fuser, appostato sulla linea di porta, e fulminato. Tra tante statuine colte di sorpresa, l’unico in grado di accennare un riflesso è Buffon, che alza un braccio quando il pallone ormai è già passato. L’effetto è lo stesso di una botta di collo pieno da un metro, ma con l’aggravante di arrivare a tradimento, perché è difficile aspettarsi un tiro da chi ti rivolge le spalle. Il tacco di Mancini entra nella storia, Buffon anche, come testimone.
La ragnatela di Vieri (Inter-Parma 5-1, 19 settembre 1999)
Le spalle larghe di Bobo Vieri, a quei tempi, sapevano essere molte cose: una certezza per i compagni che vi si aggrappavano nel momento del bisogno o, meno metaforicamente, per celebrarlo dopo un gol; ma anche un ostacolo mica da ridere per i difensori avversari, quando le usava per difendere il pallone. Quel giorno Vieri le rivolge a Thuram per una frazione di secondo, giusto il tempo di ricevere palla al vertice dell’area e con un movimento unico spostarsela di tacco. Poi si gira fulmineo, una manovra di cui non lo penseresti capace a vedere quel fisico da centravanti vecchia maniera, e non contento conclude il numero con un tiro a giro di sinistro, di quelli che allo specchio avremmo chiamato “alla Del Piero”. Sono i tiri su cui il portiere può allungare il braccio quanto vuole, e in effetti Buffon si protende, ma sapendo già che la destinazione è la ragnatela sotto all’incrocio dei pali.
La cometa di Almeyda (Parma-Lazio 1-2, 26 settembre 1999)
Al volo. La chiave sta tutta lì: Matias Almeyda calcia al volo, sulla respinta della difesa del Parma, dalla trequarti. È una specie di folle raptus, perché da quella zona del campo qualsiasi giocatore si veda un pallone calare dal cielo tenta un controllo, prende tempo per pensare alla giocata successiva. Almeyda ruba a Buffon proprio quello, il tempo. Aggiungiamoci pure che l'argentino, in quel centrocampo laziale dal tasso tecnico elevatissimo, era forse l’ultimo da cui ci si poteva aspettare un colpo del genere, e la cosa può essere presa come parziale giustificazione per quel frame che nel replay rallentato ci mostra un accenno di indecisione da parte di Buffon. E aggiungiamoci pure che Almeyda, quel pallone nel sette, ce lo manda colpendo d’esterno, imprimendo alla palla una traiettoria che spiega il passettino falso di Gigi, che inizialmente si muove verso destra per poi realizzare che la cometa scenderà alla sua sinistra. Atterrando una settimana esatta dopo la palla curva disegnata da Vieri. Facile immaginare che Buffon, all’epoca, abbia pensato qualcosa tipo “Ma ce l’hanno tutti con me?”.
Il cucchiaio di Totti (Roma-Parma 2-2, 29 marzo 1998)
Se hai davanti Totti sai che puoi aspettarti di tutto, una cosa forse più delle altre: il cucchiaio. Ecco, magari non in piena corsa, magari non quando ha alle calcagna due avversari che ringhiano. E invece, quella volta, Totti decise di esibirsi anche così. Lancio in profondità di Paulo Sergio, le opzioni sono mille ma lui, appena entrato in area, sceglie la più complessa, scavando un pallonetto con il sinistro. La storia ha eletto Buffon come il portiere più battuto da Totti, ben 11 volte. Inevitabile, in un certo senso, visti i tanti incroci tra i due, frutto di carriere iniziate prestissimo e proseguite fino ai 40. Buffon, però, ci ha riso su: “Alcuni dei gol che mi ha fatto sono così belli che se li avessi parati avrei rovinato un capolavoro”. La grandezza di un campione sta anche nelle sue risposte.
L'arcobaleno di Shevchenko (Milan-Juventus 1-1, 9 dicembre 2001)
Tiro in porta o cross al centro, ognuno può rimanere della propria idea. Per anni si è tentato di sminuire il valore della prodezza di Shevchenko archiviando quel gol come un tentativo di buttare la palla in mezzo all’area. Nemmeno l’occhiata di Sheva prima di calciare aiuta a fare chiarezza (cercava un compagno al centro o valutava la posizione di Buffon?), così come lo scambio di battute tra i due diretti interessati, a fine partita. Il portiere crea il “caso”, e forse si prende gioco dei giornalisti, dichiarando che "Voleva solo crossare, me l’ha detto lui"; Sheva difende la sua magia rispondendo "Ma quale cross… Non è vero che ho parlato con Buffon, ma magari scherzava…". Quel che più ci interessa è che una parabola del genere, se è già difficile da immaginare per un attaccante (così decentrato, in corsa, sfiancato dopo tre dribbling in un metro quadrato) lo è a maggior ragione per un portiere. O no?
Il tacco di Ibrahimovic (Italia-Svezia 1-1, 18 giugno 2004)
Parlare di Svezia a pochi mesi dal Mondiale fa malissimo, ma quel biscotto, a differenza della recente frittata, è stato ampiamente digerito. La dinamica dell’azione la ricordiamo tutti: "fagiolata" in area, Buffon prova a uscire per allontanare il pericolo ma Ibracadabra si materializza dal nulla in una frazione di secondo, frapponendo i suoi 90 kg e 195 cm tra palla e portiere. Tagliato fuori Buffon, eccoci alla fase due. Buffon, in un certo senso, può ritenersi tranquillo, perché Ibra rivolge le spalle alla porta, la palla è a mezza altezza, c’è un compagno sulla linea della porta che lui ha abbandonato. Insomma, per segnare Ibrahimovic dovrebbe proprio colpirla di tacco, al volo, ad altezza uomo, e indirizzarla sotto al sette in modo da renderla imprendibile. Beh, è esattamente ciò che ha fatto. L’ulteriore beffa per Buffon sta nel fatto che, mentre cade a terra dopo lo scontro con Ibra, si gira verso la porta, “godendosi” il gol da una prospettiva unica. Spettatore privilegiato di alcuni dei gol più belli della storia. Succede solo ai più forti: fidati, Gigi.