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Il misterioso caso di Simone Scuffet

Serie A

Federico Principi

Nel 2014, ancora minorenne, esordiva con la squadra bianconera. Oggi è in panchina e non è ancora riuscito a trovare il suo posto nel mondo. La sua storia è un esempio di come non si dovrebbe gestire un giovane talento, specie se gioca in porta

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Quello dell'interpretazione del potenziale dei giovani è uno dei problemi più attuali dello sport, amplificato nell'era dei social network e dei video YouTube di calciatori in tenera età. L’inesperienza dell'atleta rende molto difficile avere un’esatta percezione del livello medio del suo talento, in atto e soprattutto in potenza: così una striscia di prestazioni positive può essere subito interpretata come il viatico per una carriera di alto livello, mentre due o tre errori diventano subito una discesa agli inferi, il ridimensionamento in categorie inferiori.

Una situazione che per il ruolo del portiere è persino amplificata: la passività e la rara, ma fondamentale, influenza sul gioco rende impossibile formulare un giudizio quantitativamente adeguato. Giudicare un portiere dalle prime partite è come valutare uno studente in un esame universitario con tre domande secche su un tomo da 2000 pagine. Il caso di Simone Scuffet, passato dalla possibile raccolta dell’eredità di Buffon invocata a furor di popolo (ancora non era esploso Donnarumma) alla difficoltà di avere un posto e una dimensione futuribili - per non dire di aver già completamente sciolto l'interesse nei propri confronti - è forse uno dei più emblematici della necessaria circospezione con cui tutti dovrebbero necessariamente muoversi nelle valutazioni di un giovane di talento.

Intorno alla freschezza che tutta l'Udinese sta respirando dopo l'arrivo di Massimo Oddo in panchina, la scelta di tenere Scuffet fuori dai titolari sembra una di quelle decisioni inevitabili, prese per il benessere comune anche a discapito di uno scopo più grande. Albano Bizzarri, 40 anni compiuti, è una scelta migliore nel breve termine, anche se in teoria deleteria nell'economia della mentalità delle plusvalenze del club friulano, che sta inevitabilmente - e forse irrimediabilmente - svalutando Scuffet.

La storia di Scuffet è un battere e levare continuo, nel quale anche e soprattutto la gestione che ne ha fatto e ne sta facendo l'Udinese è un fattore determinante. Sulla sua ancora mancata esplosione pesano anche molte difficoltà ambientali, oltre che delle imperfezioni tecniche. Ma bisogna provare a soffermarsi su ognuno di questi aspetti per provare a capire la totalità del fenomeno, cercando di sciogliere il gigantesco equivoco sorto su di lui ormai da anni.

Formazione friulana

Il percorso di Simone Scuffet si intreccia da sempre con quello di Alex Meret. Entrambi nati a Udine, compagni di squadra per la prima volta nelle giovanili del Donatello Calcio, una società di Udine ora diventata un centro di formazione dell'Inter dove i nerazzurri hanno la prelazione su tutti i giocatori che considerano interessanti. La prima coabitazione dei due ragazzi è datata 2006/07, l'unica stagione nella quale Scuffet militava nel Donatello prima di tornare all'Udinese, dove Meret approderà nel 2012 a 15 anni.

Una sfida tra Scuffet e Meret con lo sparapalloni, uno dei momenti della rivalità ma anche della crescita reciproca.

La sensazione che affiorava più o meno implicitamente dall'ambiente bianconero era tuttavia che Meret, il più giovane, venisse ritenuto più forte in prospettiva. Probabilmente la crescita parallela, sia per le stesse origini che all'interno della gavetta delle giovanili, ha proiettato verso l'alto la motivazione e il rendimento di entrambi. Nonostante Scuffet e Meret siano distanti da ormai tre anni - con il primo che è andato in prestito al Como nel 2015/16, mentre il secondo si è preso due anni di apprendistato alla SPAL - il cordone ombelicale che li lega non si è spezzato e sarà interessante capirne le dinamiche a partire dalla prossima estate, visto che in ballo c'è anche una parte delle gerarchie della Nazionale, almeno per i prossimi dieci anni.

Se allo stato attuale la maggiore considerazione verso Meret sembra più giustificata di prima, alla luce dei risultati della nostra Nazionale U-19 nell'estate 2016 e a quelli della SPAL nello scorso campionato di Serie B, il fatto che ci fosse un ragazzo perfino più promettente di Scuffet appariva quanto meno scioccante agli occhi dell'opinione pubblica generale fino a qualche anno fa. Il caso di Scuffet e dell’esasperazione di aspettative ai tempi del suo lungo debutto in Serie A (16 partite consecutive da febbraio a maggio 2014) è il tipico stereotipo della scarsa lungimiranza delle valutazioni mediatiche. Per questo all'epoca suonava assurdo che nello stesso settore giovanile ci fosse un collega perfino più forte, almeno nella considerazione degli addetti ai lavori.

Trust the process

Spesso di fronte a un calciatore giovanissimo si tiene lo stesso sguardo poco oggettivo che si ha davanti ai propri figli. Nel 2014 gli interventi spettacolari di Scuffet hanno oscurato certe mancanze tecniche che apparivano già preoccupanti, e che per certi versi tuttora si porta ancora dietro.

L’anno al Como ha portato a un ridimensionamento persino eccessivo. La squadra è retrocessa e Scuffet è stato velocemente declassato tra i talenti già sprecati quasi per proprietà transitiva. Eppure, nonostante sia sparito dai radar - se non, al massimo, come esempio negativo, lo stesso presidente Pozzo ha detto che «ha sbagliato ad andare a Como» - Scuffet in Serie B è sembrato lavorare bene su alcuni punti deboli del suo gioco. Questo nonostante l'ambiente demotivante di una squadra retrocessa con largo anticipo con la seconda peggior difesa del campionato. Il tutto approfittando però di un contesto con meno visibilità e meno pressioni. Purtroppo non è però riuscito a risolvere alcuni problemi del suo gioco che sembrano cronici.

Quando si è presentato in Serie A nel 2014 Scuffet ha sbalordito per esplosività e riflessi. Negli occhi di tutti è rimasto ancora il miracoloso pareggio per 0-0 raggiunto dall'Udinese a San Siro contro l’Inter, grazie soprattutto ad alcuni interventi del suo portiere. Nel corso del campionato Scuffet ha però mostrato alcune difficoltà nel posizionamento, sia nei tiri da lontano (sulla linea dell'area piccola, troppo avanzata) che nei corpo a corpo, nei quali apriva troppo specchio della porta per colpa del busto troppo arretrato. Ora, almeno questo ultimo problema sembra parzialmente risolto.

Ma il grande problema di Scuffet sono sempre state le uscite alte, eseguite troppo spesso fuori tempo o con un abuso dei pugni anche su palle piuttosto semplici. Già nel marzo 2014 indicava proprio le palle alte come suo punto debole, confermato qualche giorno prima anche da Simone Ronco, allora presidente del Donatello Calcio, che aveva detto: «Cosa dovrebbe migliorare? La sicurezza nelle uscite alte». Scuffet ha detto di ispirarsi ad Handanovic, così come Meret, per il modo di attaccare la palla e per come si rende protagonista nell’azione senza rimanere passivo. Nei primi mesi in Serie A esagerava però a volte nelle uscite basse, forse non ancora abituato ai ritmi più alti, e anche la posizione avanzata sui tiri dal limite ha rappresentato per lui un problema.

Tuttora questa tendenza ad avanzare esageratamente in attesa di un tiro da fuori gli causa problemi: il primo è una mancanza di copertura sui tiri a parabola, come dimostrato alla prima giornata del campionato corrente sulla conclusione di Birsa. L'altra controindicazione è quella di un minor tempo di reazione per contrastare un imprevisto, come ad esempio il tiro debole ma di non semplice lettura di Muntari a Pescara lo scorso anno. Nonostante la tanta panchina, Scuffet ha fatto molti progressi negli spostamenti e ha mantenuto la sua naturale reattività, aumentando l'esplosività. Mantiene una posizione molto bassa - fidandosi della sua forza esplosiva – che gli permette di avere una rapidità straordinaria a scendere a terra anche accartocciandosi, ma nonostante tutto è molto reattivo a spingere sulle gambe e alzarsi immediatamente per opporsi a un tiro alto.

Ritrovare lucidità

Nel percorso tortuoso della carriera di Scuffet, la perdita del posto da titolare dopo sole 5 partite  quest’anno - nel primo campionato di Serie A nel quale partiva con l’idea di giocare sempre - non era contemplata. Ancora una volta il portiere friulano si è trovato dentro a un vortice che non sembra avere fine, e che sicuramente non si aspettava quando debuttò così sorprendentemente in Serie A.

Scuffet ha confermato a maggio 2016 di essere stato al centro di un'altalena troppo grande di giudizi su di lui, quasi sempre lontana dalla realtà effettiva: «Io sono convinto di essere più forte ora. Ho fatto errori anche due anni fa, solo che il primo anno te li perdonano, non li vedono. Adesso è diverso». Al centro dell’equivoco su di lui c’è forse il famoso mancato passaggio all’Atletico Madrid nell’estate del 2014, subito dopo le prime esperienze in Serie A. A Scuffet è stato rimproverato di aver appoggiato - o comunque di non essersi opposto - la decisione dei genitori di fargli concludere le scuole superiori, rinunciando a un quinquennale in una delle squadre più prestigiose del mondo.

In seguito Scuffet ha analizzato da un altro punto di vista quell’episodio: «Non è vero che ho detto di no all’Atletico per finire la scuola. Ho scelto di restare a Udine per l’ambiente e per i preparatori dei portieri. Volevo continuare a crescere lì, sentivo che era la cosa giusta e ora penso che lo era davvero. Magari in futuro mi servirà di più un anno di panchina a Udine che una stagione in Spagna, chissà che avrei fatto là. In quell’anno di panchina (2014-15, nda) ho imparato molto». Effettivamente Jan Oblak era stato appena acquistato dall’Atletico, anche se in pochi si aspettavano che fino a marzo lo sloveno sarebbe stato la riserva di Miguel Ángel Moyà, ma il ragionamento a monte di Scuffet di rimanere a Udine presupponeva la continuità nel posto da titolare - prospettiva evidentemente migliore nella sua testa rispetto alla panchina con Simeone - negata però da Karnezis e dalle scelte di Stramaccioni.

Dopo un anno passato interamente da riserva, Scuffet si è trasferito temporaneamente a Como per avere l’opportunità sicura di «giocare almeno quaranta partite». Anche quando è stato ripescato la scorsa stagione, tornando alla ribalta, ha detto di aver sentito molta pressione: «È stata dura, soprattutto quando sono entrato a Pescara a undici minuti dalla fine, ero freddo». Insistendo poi sul valore dell’esperienza delle partite vere: «La cosa più importante è giocare, due anni senza farlo sono stati pesanti».

Anche la stagione a Como, pur avendo segnato continuità sul campo da gioco, è stata difficile da digerire per i risultati sul campo. Stefano Strappa, osservatore dell’Udinese, riguardo al ritorno alla base dal prestito nonostante Karnezis sia rimasto, ha detto: «È stato riportato a Udine per cercare inizialmente di recuperarlo psicologicamente dopo l’esperienza non semplice a Como. Simone è un ragazzo tipicamente friulano, un po’ freddo, molto legato alla terra e all’ambiente che l’hanno cresciuto. Anche per questo ha rifiutato l’Atletico Madrid».

Rimangono però molti punti interrogativi su quel rifiuto che gli ha cambiato la carriera, finora in negativo. L’intenzione dell’Udinese era senz’altro quella di monetizzare una buona plusvalenza, facendo contemporaneamente spazio a Meret per gli anni successivi, considerato il vero gioiello della porta del settore giovanile bianconero. Ma d’altra parte il rifiuto di Scuffet presupponeva una maggiore consapevolezza di rimanere a Udine per continuare a giocare come per tutto il girone di ritorno 2013/14. Se avesse saputo di essere destinato a due anni di panchina alle spalle di Karnezis avrebbe sicuramente accettato la proposta dell’Atletico, con più competizioni da giocare e con più opportunità, pur essendo destinato al ruolo di secondo di Oblak.

La tesi che circolava durante la sua permanenza in panchina era quella che l’Udinese lo avesse punito per aver rifiutato l’offerta dell’Atletico. È difficile però pensare che i Pozzo abbiano compiuto un gesto così machiavellico e in fondo anche autolesionista. Forse, invece, il suo debutto è stato affrettato proprio perché si sapeva che stava arrivando un altro portiere alle sue spalle, programmando evidentemente una buona cessione per entrambi in momenti differenti. Ma così facendo si è accelerato tutto quel processo di crescita e di gestione delle pressioni che per un portiere è estremamente delicato, come testimoniato da alcune incertezze patite recentemente da Gianluigi Donnarumma.

Rimangono però alcune ombre anche nella gestione societaria attuale del giocatore, tornato in panchina dopo le sole prime cinque partite di una stagione che avrebbe dovuto rappresentare il lancio definitivo della sua carriera. Effettivamente Scuffet non sempre è stato brillantissimo: lento sul primo gol e mal posizionato sul secondo contro il Chievo, troppo audace ad anticipare l'uscita e ad andare a vuoto (anziché rimanere in porta tentando di fare quantomeno da sagoma) sul primo gol di Kalinic, a distanza ravvicinata. Fino all'errore più vistoso, nel primo gol incassato contro il Torino.

Ma la perplessità più grande riguarda non tanto le motivazioni delle scelte dell’Udinese ma le tempistiche. I bianconeri, quando erano ancora guidati da Delneri, dovevano lottare per la salvezza e avevano bisogno di un portiere d’esperienza come Bizzarri. Delneri aveva commentato: «Quando la situazione sarà più tranquilla, Scuffet tornerà tra i pali». Scuffet ci ha messo del suo, offrendo prestazioni non perfette a inizio stagione. Il suo momento psicologico attuale è testimoniato in maniera lampante dall'errore maldestro nell'amichevole dell'Under 21 contro l'Ungheria: un episodio che porta a chiedersi dove debbano finire le responsabilità della società e dove invece debba cominciare la forza psicologica di un giocatore che, come tutti, deve affrontare la gavetta.

L'arrivo di Oddo sulla panchina ha portato grossi cambiamenti positivi alla squadra, ma non alla carriera del suo giovane prodotto del vivaio. Tutto questo nonostante quello a cui aspirava Del Neri, ovvero la situazione tranquilla di classifica, si sia materializzato: ma forse Oddo in questo momento sa che si sta giocando anche molta credibilità personale, decidendo in questo modo di puntare sul portiere più affidabile, assecondato dalla società. A sua volta, il giocatore potrebbe davvero pensare di uscire definitivamente dall'orbita societaria per resettare tutto il contesto mentale fatto di resistenza alle pressioni, autostima, fiducia percepita da società e compagni di squadra, determinante per il rendimento di un portiere.

La carriera di Scuffet non meritava forse fin da subito quei prematuri ed esagerati elogi, ma siamo comunque di fronte a un talento non comune, che merita nei prossimi anni di diventare un protagonista del nostro calcio.