Il calcio riparte dopo dal silenzio nel nome di Astori, a cui è stata dedicata la 28^ giornata di Serie A. E mentre il Paese vive un momento di incertezza dopo le elezioni politiche, c'è il sospetto di una restaurazione juventina nel calcio. Ecco perché non è ancora finita e quali sono le differenze tra Juve e Napoli
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È stata una domenica, un’altra, diversa negli stadi italiani: ci siamo sentiti tutti più vicini, meno nemici, per una volta divisione e odio si sono trasformati in un silenzio carico di significato, più di mille cori, di inutili invettive. Nel nome di Davide Astori, numero 13 con tutte le nostre maglie, ultimo esempio di quanto ingiusta sia la vita quando a vincere è la morte. Al ricordo di questo capitano buono è stata consacrata la giornata di campionato, il primo gol della Fiorentina, la prodezza inimitabile di Ciro Immobile a Cagliari, come ad Astori aveva dedicato la sua rete Daniele De Rossi venerdì sera all’Olimpico: i tre stadi che avevano segnato la carriera di Davide, tanto per ribadire che nulla accade per caso. È stata la grande diversità di una giornata che ha segnato solo conferme: il calcio e il Paese continuano a viaggiare su sintonie diverse; mentre il Sistema Italia, dopo il voto delle freschissime elezioni politiche, vive una rivoluzione dall’esito ancora misterioso, il Pallone sospetta di aver visto naturalmente sedati i Moti Napoletani a vantaggio di una restaurazione juventina finora silenziosamente temuta.
Non sono sentenze inappellabili, ma scenari possibili, forse probabili. La questione post elettorale avrà tempi più lunghi, per lo scudetto siamo in pieno sorpasso: le dimensioni le conosceremo nel dettaglio mercoledì, dopo il recupero della partita con l’Atalanta rinviata nella domenica più fredda della serie A. Ma la Juventus è già davanti, il Napoli è staccato di un punto: sarà questa la gerarchia definitiva della stagione? La risposta arriverà solo il giorno della sfida diretta, fissata per il 22 aprile a Torino. Parlare di resa a Sarri è il modo più scontato per farlo infuriare; e ha ragione lui quando rivendica il ruolo di forza nuova, di unico argine anti-juventino, ma le belle favole hanno bisogno del lieto fine per ottenere un posto nel libro della memoria. Aspettando l’happy end (e garantendo sempre il divertimento che è alla base dello spettacolo) Sarri può incassare l’elogio di Spalletti, da sempre un suo sostenitore. L’allenatore che quest’anno gli ha negato quattro punti su sei, ora addirittura ne fa una sorta di eroe nazionale, l’inventore della formula che rivitalizza il calcio italiano. Se lo scudetto non dovesse arrivare, la colpa sarà della Juve e dei suoi campioni: Dybala e Higuain sono stati perfetti staffettisti, il passaggio del testimone ha sempre funzionato e ora formano la coppia da sogno alla quale si concede tutto, anche l’autogestione nella divisione dei rigori da calciare. Tutti gli obiettivi stagionali sono ancora lì, possibili conquiste che potrebbero trasformare in un trionfo un’annata cominciata con qualche affanno.
La differenza tra la prima e la seconda è tutta qui, nella capacità di raggiungere il massimo risultato, mantenendo altissima la concentrazione, senza punti di caduta. È vero, il tasso di innovazione viaggia su livelli più bassi di quelli espressi dal Napoli, la Grande Bellezza, cui tende con ostinazione Sarri, è ancora lontana per Allegri, ma imprese come quella di Londra contro il Tottenham regalano sensazioni di forza, di potenza che danno appagamento, una forma di gioia diversa e sempre invidiata.
Impresa, forza, potenza: ecco, l’effetto Astori s’è già attenuato. Per favore, non spegniamolo. Mai.