Si dice il VAR o la VAR? Risponde la Crusca: "È maschile"

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Tanti i dubbi sorti intorno all’articolo da utilizzare per parlare di VAR. Per quanto la scomposizione della sigla lasci subito intendere che ci si riferisce comunque ad un arbitro, un linguista ha chiarito perché bisogna usare il maschile

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La stagione conclusasi pochi mesi fa passerà alla storia per essere la prima con il VAR, acronimo che tradotto in italiano sta per arbitro assistente in video. Tuttavia, come ogni fase sperimentale, non sono mancate lacune e incertezze nell’applicazione del protocollo stilato dall’IFAB. Ma non solo: i dubbi sono anche di origine grammaticale. Si dice il VAR o la VAR? Se lo saranno chiesti in molti, disorientati dai media che hanno usato a fasi alterne l’una e l’altra espressione senza creare troppo distinguo. Se tuttavia una semplice analisi della sigla poteva risolvere ogni questione in merito, l’uso del femminile per riferirsi alla tecnologia in sé ha rimesso tutto in discussione. Per quanto il soggetto della parola VAR sia “referee”, ovvero “arbitro”. A mettere la parola fine a questa disputa, comunque, ci ha pensato l’Accademia della Crusca, che si è rivolta al linguista e lessicografo Marco Biffi per dirimere la controversia.

VAR, la teoria di Biffi

Biffi, nell’intervista rilasciata al sito ufficiale dell’Accademia, si è espresso così: “Sebbene la sigla si riferisca alla persona, c’è stata molta confusione creata dai mezzi di informazione di massa, che l’hanno riferita alla tecnica, alla strumentazione, determinando un’incertezza sul genere tra addetti ai lavori e parlanti medi. Ad ogni modo, va subito chiarito che è il genere è maschile”. Il linguista ha quindi argomentato: “Volendo ragionare esclusivamente in inglese e non in italiano (dove le sigle traggono il genere dalla parola principale dell’acronimo, ndr), il problema comunque non si pone, dal momento che tutti i sostantivi della parola VAR sono maschili: video, assistant, referee”. Per coloro che – senza sbagliare – traducessero meno letteralmente e quindi ponendo come centrale la parola “assistente”, termine che può essere declinato nell’uno e nell’altro genere, Biffi sostiene che la soluzione migliore resti comunque il maschile non marcato, per indicare la categoria. Insomma, da questo momento non ci sono davvero più scuse.

Cosa c’è scritto nel protocollo dell’IFAB

La tendenza dei media a sottintendere la tecnologia o la strumentazione non ha comunque origini infondate, per quanto concettualmente errate. Nel protocollo redatto dall’IFAB, che contiene regole e principi per l’utilizzo del VAR, nella sezione appunto dedicata ai principi generali, nel punto 1 si legge “tecnologia video” mentre al punto 3 viene chiaramente specificato che “i VAR sono ufficiali di gara”, facendo dunque esplicito riferimento agli arbitri che si trovano nella postazione video (anche detta VOR, video operation room) e quindi a persone. Tuttavia, nella parte dedicata al “Review Process”, ecco che alla fine si legge “tecnologia VAR” dove si spiega che il malfunzionamento della strumentazione non può condurre all’invalidazione di una partita. Ad ogni modo, la questione è stata risolta dalla Crusca, e per tutti dovrà essere il VAR.