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Napoli, a tutto Koulibaly: "Quando andrò via, piangerò. Io mi sento senegalese, francese e napoletano"

Serie A

Il difensore senegalese, alla sua quarta stagione in azzurro, si è raccontato in una lunga intervista esclusiva al Corriere dello Sport. Dal futuro: “Quando lascerò Napoli, piangerò” Al presente: “Alla sua età vorrei essere come Ancelotti”. Senza dimenticare il passato: “Benitez ha visto per primo qualcosa in me. Non finirò mai di ringraziarlo. E Sarri mi ha fatto vedere il calcio in modo diverso”

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In un Napoli che cambia sempre lui non cambia mai. La maglia azzurra con il numero 26 è sempre lì, ad impedire agli attaccanti di fare male alla sua gente. Kalidou Koulibaly di mestiere fa il difensore, infrangere i sogni altrui è il suo obiettivo. Anche se quello più grande rimane riportare al popolo azzurro un trofeo da festeggiare. Chissà, magari a partire già da quest’anno. Ancelotti avrà bisogno di lui per farlo, tanto da non rinunciarci mai. Dodici presenze su altrettante uscite stagionali per il senegalese. Dal campionato alla Champions, passando per la Nazionale. La musica è sempre la stessa, così come il suo volto al centro della difesa del Napoli. Dal maggio del 2014 ad oggi, da Benitez a Sarri.

“Quando lascerò Napoli piangerò. Che fastidio i buu razzisti”

“Mi sento francese e senegalese da quando sono nato – ha raccontato in una lunga intervista al Corriere dello Sport - quando uno mi chiedeva di dove ero, rispondevo che ero francese ma anche senegalese da parte dei miei genitori. Per me era molto importante. Poi, quando sono arrivato in Italia, a Napoli, dopo un anno e mezzo mi sentivo già cittadino napoletano. Perché io, Kalidou Koulibaly, sono, mi sento, francese, senegalese e napoletano". Senso di appartenenza notevole ad una città che gli è entrata nel cuore. Così tanto che, quando sarà il momento di lasciarla, il sentimento non potrà che essere uno solo: “Il mio portiere di casa, che si chiama Ciro, mi ha detto 'Quando arrivi a Napoli piangi due volte: quando arrivi e quando parti'. Io gli ho risposto 'Non ho pianto quando sono arrivato ma se un giorno dovrò andare via, spero il più tardi possibile, è sicuro che piangerò'. Aveva ragione quando mi ha detto così, io sono molto felice qui. La gente parla a volte male di Napoli e non sa che cosa è Napoli. Quando non la vivi non puoi sapere che cosa è davvero". Già, il razzismo. Cori e buu razzisti sono all’ordine del giorno in Italia: “Quando sono arrivato non li ho sentiti durante il mio primo anno, ma già dal secondo ho iniziato a rendermi conto e mi dava fastidio. I 'buu' mi infastidiscono, non li accetto, perché non sono solo contro di me, per il colore della mia pelle, a volte sono anche contro 'i napoletani', la gente del Sud. Questo mi dispiace molto perché quando sei in un Paese dove tu devi trasmettere un senso di appartenenza e poi fischi contro la gente del Sud, o fai cori razzisti, finisci col contraddirti. Quando uno come Insigne, che è un fuoriclasse assoluto, forse il migliore giocatore dell'Italia, è fischiato in alcuni stadi perché è meridionale, poi quando va in Nazionale come lo devi trattare? Io non capisco questo tipo di atteggiamento e spero che evolva velocemente. Stiamo cambiando, ma penso che dobbiamo ancora fare degli sforzi perché l'Italia deve andare avanti da questo punto d vista e dobbiamo aiutarci a farlo. Un altro esempio: la Nazionale francese che ha tanti giocatori di colore, di altre origini, che hanno vinto il Mondiale. Per me questa è la cosa più bella che possa succedere".
 

“Benitez, Sarri e Ancelotti: vi racconto tutto”

Dal 2014 ad oggi di strada ne ha fatta Kalidou. Anche grazie ai maestri che ha avuto in panchina. Ad accoglierlo Benitez, poi l’esplosione con Sarri e infine Ancelotti: “Che differenza c’è? Poca e molta – sottolinea - poca perché sono tutti e tre grandi allenatori. Il calcio di Benitez e quello di Ancelotti si somigliano molto. Ho avuto la fortuna anche di giocare con mister Sarri e il suo calcio era per me veramente bellissimo. Lui mi ha permesso di vedere il calcio e le partite in un'altra maniera. La sua filosofia era concentrata sulla tattica, tutto era previsto con lui. Oggi, quando guardo una partita di qualsiasi squadra, non la vedo più come quattro o cinque anni fa. E lo devo a lui. Benitez mi ha fatto scoprire il calcio vero. Io ero in Serie B in Francia, poi in Belgio, lui mi ha dato la possibilità di andare per la prima volta in Serie A, in un campionato molto importante. Il suo calcio è molto simile a quello di Ancelotti perché sono allenatori che hanno vinto, allenato grandi squadre e la loro visione del gioco ha molti punti di contatto. Ancelotti, tutti lo conoscono, ha vinto molto, ma quello che mi sorprende di più è l'umiltà che ha ancora e anche la voglia di vincere che non smette di avere. Un uomo veramente perbene e lo ringrazio molto perché mi dà ancora la voglia di andare avanti, di crescere di far vedere che sono un giocatore sempre più forte. Con lui spero di fare qualcosa di bello perché è uno che dà fiducia a tutti e penso che non si sentirà mai un giocatore parlare male di lui, perché ha grandi valori e trasmette serenità. A mia moglie dico sempre che spero, alla sua età di essere una persona simile a lui".
 

“Napoli città bellissima. Qui il calcio è una febbre”

Fra le strade di Napoli si sente a casa. Qui è cresciuto, sia come uomo che come calciatore: “Nel gennaio 2014, quando Benitez mi ha chiamato, mi ero messo in testa di arrivare a Napoli. Poi il trasferimento non si è concluso ed ero molto dispiaciuto, perché pensavo che sei mesi dopo il mister avrebbe scelto qualcun altro. Invece lui a maggio è venuto da me e mi ha detto “Vieni che devi firmare a Napoli perché io ti voglio assolutamente con noi”. Ha visto qualcosa che nessuno aveva visto in me e di questo lo ringrazio molto perché è grazie a lui che sono arrivato a Napoli. La gente mi diceva, come dappertutto, che Napoli è pericolosa e tutte queste storie… Ma un mio amico che giocava nel Genk mi ha spinto: “Là si gioca la Champions, si gioca il calcio vero ed è una squadra per te”. Quando ho detto alla mia famiglia e agli amici che volevo giocare al Napoli, subito mi hanno detto che erano d’accordo e questo per me è stato importante. Quando ho messo per la prima volta la maglia del Napoli, per un’amichevole, ero molto contento. Sentivo orgoglio perché il lavoro, tanto e duro, che avevo fatto fino a quel momento ripagava. Ma ora sono io a sentire di dover ripagare la fortuna di esser qui con un impegno straordinario sul campo”. Da un piccolo paesino francese ad una metropoli. Beh, il cambio di città non è stato banale: “Ma Napoli è bellissima. Qua c’è il sole, c’è il mare, la gente ti accoglie con grande piacere. Vivono il calcio con passione, quasi come una febbre. Mi hanno accolto da subito. Quando dico che sono napoletano la gente ride, ma io mi sento veramente così perché quando sono arrivato fin dall’inizio mi hanno trattato benissimo e io di questo mi ricorderò sempre. Hanno anche convinto mia mamma che è una persona molto difficile da questo punto di vista. A lei non piace andare fuori, quando è arrivata in Francia aveva un po’ di difficoltà, poi si è abituata. Quando è venuta a Napoli mi ha detto che si sentiva benissimo, doveva rimanere due giorni e alla fine è rimasta due settimane. Quando i miei genitori, la mia famiglia stanno bene da qualche parte, allora mi sento bene anche io”.