Il club giallorosso saluta in un colpo solo Totti e De Rossi. Una scelta in controtendenza rispetto a quanto sta avvenendo nelle altre squadre italiane. Ma anche nel resto d'Europa è forte il legame con le leggende e, spesso, portano anche ottimi risultati
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Una Roma senza romani. Crederci solo pochi mesi fa sarebbe stato difficile. La permanenza di Florenzi e Pellegrini garantiscono ancora quel senso di continuità che ha sempre fatto parte del Dna giallorosso, ma difficilmente la loro presenza basterà a colmare, specie nella testa dei tifosi, quel vuoto che lasceranno Francesco Totti e Daniele De Rossi. Il primo, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo due anni fa, si è dimesso anche nelle vesti di dirigente e chiude un’era trentennale con la sua squadra del cuore. Il centrocampista di Ostia, invece, proseguirà a migliaia di km dalla capitale la sua carriera, non ancora pronto psicologicamente e fisicamente a dire basta del tutto al calcio giocato. “Torneremo grandi insieme” aveva scritto l’ex numero 10 in occasione dell’ultima con la maglia giallorossa del suo amico. Una frase che oggi, dalle parti di Roma, ha già il sapore della nostalgia o forse, perché no, una bella profezia da attendere nei prossimi anni. Una separazione combinata che sarà difficile da gestire per l’ambiente e che, probabilmente, è stata influenzata l’una dall’altra. Una scelta particolare quella operata dalla società, di sicuro in controtendenza rispetto a quanto fatto dagli altri principali club in Serie A e lontana dalle tendenze mostrate nelle altre grandi piazze europee, non solo nel calcio.
Nelle altre big della Serie A le bandiere tornano
Le scelte più forti, in tal senso, sono arrivate negli ultimi giorni. E sono state in particolare Milan e Fiorentina a dare un segnale forte di continuità con il passato e riconoscenza del valore delle leggende anche in giacca e cravatta. I rossoneri hanno chiuso il rapporto con un altro big del passato, Leonardo, ma sono subito ripartiti con la promozione di Paolo Maldini a direttore tecnico e al ritorno, dopo l’esperienza da giocatore tra il 1992 e il 2001, di Zvonimir Boban, nominato chief football officier. Un duo su cui Gazidis ha scommesso per riportare il Milan in alto. Scelta simile a quella fatta da Rocco Commisso, divenuto da pochi giorni proprietario della Fiorentina. Anche l’americano di origini calabresi, infatti, ha deciso di affidarsi a delle leggende del club viola, come Antognoni e Batistuta: il primo sarà direttore tecnico, mentre l’argentino dovrà trovare anche la sua precisa collocazione. Non è da meno l’Inter che, oltre ad avere come vice presidente Javier Zanetti, desidera riabbracciare Lele Oriali, né la Juve, da anni ormai nelle sapienti mani dietro la scrivania di Pavel Nedved e in campo di Chiellini. E anche la Lazio, con la conferma di un uomo amato nella capitale come Simone Inzaghi, si allinea sullo stesso trend delle altre.
L'importanza delle leggende Oltremanica
Il legame con le leggende del club assume particolare importanza in Inghilterra. E il Chelsea, in questo caso, è una delle società che rispecchia maggiormente questi valori. I Blues puntano a riportare Frank Lampard a Stamford Bridge, nelle vesti di allenatore e al posto di Sarri. Altro ‘obiettivo’ dei londinesi è il ritorno di Petr Cech come direttore sportivo. Ci sono, poi, altre glorie del Chelsea già inseriti nello staff negli anni precedenti, come Zola e Cudicini, o nel ruolo di osservatori, come Paulo Ferreira e Toré Andre Flo. Manchester United e Arsenal hanno vissuto in queste stagioni il distacco emotivo a seguito della chiusura delle ere di Sir Alex Ferguson da una parte e Arsene Wenger dall’altra. Se i Gunners, fatta eccezione per Mertesacker e Ljunberg, sembrano voler aprire un ciclo completamente nuovo, i Red Devils sono riusciti a risollevare – almeno parzialmente - la loro stagione con l’approdo in panchina di Ole Gunnar Solskjaer, indimenticato eroe dalle parti di Old Trafford della Champions del 1999. Oltre al norvegese, il passato ritorna in auge con il suo vice Michael Carrick, con Nicky Butt alla guida dei più giovani e con le presenze, mai in secondo piano, nell’organigramma di Ferguson e Bobby Charlton. Lo stesso vale nel Liverpool, dove viene spesso chiamato in causa quando c’è da prendere decisioni importanti Kenny Dalglish.
Real, casa eterna
In Spagna, invece, desta particolare sorpresa la situazione, sotto questo punto di vista, del Barcellona. I blaugrana, però, possono sempre contare su una serie di leggende che ancora oggi giocano per il club catalano. L’organigramma societario del Real, al contrario, è ricco di giocatori diventati miti dalle parti del Bernabeu. Dal pluri-decorato Zidane alla coppia Xabi Alonso-Raul, entrambi allenatori delle giovanili, per finire a Butragueno, ad dei Blancos ormai da 10 anni. Anche l’Atletico Madrid ha la sua continuità in panchina, con la presenza di Diego Pablo Simeone, mentre prova a ritrovarla il Siviglia dopo il ritorno di Monchi come direttore sportivo. E, infine, c’è anche il Valencia, con Vicente nel ruolo di Team coordinator.
Il ricco modello tedesco
Trasferendoci in Germania, troviamo il Bayern Monaco che può vantarsi, probabilmente, dei migliori risultati ottenuti basati su questa politica. Il periodo d’oro con Beckenbauer presidente dal 1994 al 2009 (oggi onorario) e quello attuale, con Uli Hoeness numero uno del club. L’ex attaccante si è affidato a Salihamidzic nel ruolo di direttore sportivo e a Rummenigge in quello di amministratore delegato, dopo essere stato in passato vice presidente. Senza dimenticare la panchina, con Niko Kovac che per un anno ha vestito da giocatore la maglia dei bavaresi. Nel Borussia Dortmund il ds è Michael Zorc, leggenda dei gialloneri degli anni 80 e 90, e da poco si è celebrato anche il ritorno di Matthias Sammer, attuale consulente del management, e di Sebastian Kehl che, dopo il ritiro, si è ‘reinventato’ dirigente. Il Bayer, invece, si gioca la carta Rudi Voeller: il tedesco nella sua carriera, oltre a quella di calciatore, ha rivestito tre diverse funzioni nel club di Leverkusen: allenatore, direttore sportivo e – attualmente – amministratore delegato.
Leonardo sotto la Tour Eiffel e il Dna dell'Ajax
Dando una rapida all’occhiata al resto dell’Europa, si può notare come questa tendenza di affidarsi a vecchie glorie nelle vesti dirigenziali o di allenatori sia piuttosto diffusa. E con risultati anche importanti. Leonardo, ad esempio, ha fatto ritorno al Psg, club che conosce benissimo, mentre l’Ajax ha fatto già le sue fortune – caratteristica che li contraddistingue da sempre – affidandosi a gente che, nella squadra di Amsterdam, si è costruita la fama. Da Overmars (direttore sportivo) a van der Sar (direttore generale), per finire al vice allenatore Winter e a Danny Blind, membro del comitato direttivo. La stessa strada è stata intrapresa anche dal Psv Eindhoven, guidato in panchina da Marc van Bommel e con Zenden nel suo staff, che ha John de Jong nelle vesti di ds e Vennegoor of Hesselink come capo osservatore. Quello del direttore sportivo è un ruolo in mano a ex campioni anche in Portogallo: il Benfica ha Rui Costa, lo Sporting ha Hugo Viana. E il Porto? Può contare su Conceiçao allenatore e João Pinto come consulente.
Come funziona in USA
La scelta societaria adottata da Pallotta e dal suo staff non può essere motivata, infine, neanche come una ‘tradizione’ americana. Negli Stati Uniti, infatti, il legame che si instaura nel tempo con le leggende è fortissimo. Come affermato da Massimo Marianella negli studi di Sky Sport, basti pensare ai Miami Dolphins, club di Nfl che lega ancora la maggior parte del suo marketing e la passione attuale alla leggendaria squadra che vinse, nel 1972, il Super Bowl da imbattuta.