In cosa è cambiato Conte al Napoli

Quando il 5 giugno De Laurentiis ha annunciato l’ingaggio di Antonio Conte, è come se fosse scattato un interruttore nella percezione della gente: il Napoli era diventato – quasi automaticamente - uno dei competitor più credibili per la conquista dello Scudetto. Dopo 14 giornate di campionato – con momenti di up e down - i risultati sono lì: il Napoli è primo in classifica. E in questi 3 mesi e mezzo, abbiamo imparato molte cose sul nuovo Napoli. In alcune rivediamo l’allenatore che ha dominato in Italia e Inghilterra, altre invece sono novità molto interessanti. D’altronde, conosciamo bene il modus operandi di Conte: non stare mai fermo. No pallone? No problem. Ma basterà? Vi ricordate il Napoli di Spalletti? Domanda retorica, certo che ve lo ricordate. Quello che ha vinto lo Scudetto palleggiando a destra e a sinistra, e tenendo il pallone tutto per sé. Quasi come fosse un giocattolo da cui non ci si vuole separare, se non per spedirlo in fondo alla rete. Ecco, qui c’è una delle grandi differenze tra questo e quel Napoli. I numeri parlano chiaro: il possesso del pallone non è qualcosa di imprescindibile per Conte, anzi. Il suo Napoli è lì, a metà classifica sia come possesso palla sia come occupazione del terzo offensivo. Il field tilt è quella statistica che ci dà la misura di quanto una squadra sia dominante, di quanti passaggi riesca a scambiare vicino alla porta, costringendo gli avversari a stare dietro. Ecco, non è sicuramente il piano A di questo Napoli. Il Napoli dello Scudetto, invece, era primo sia come possesso del pallone, sia come possesso nell’ultimo terzo: diversissimo. Fermandoci su quest’ultima statistica, la squadra di Spalletti ha registrato un dato impressionante, il più alto degli ultimi 10 anni, che fa capire quanto fosse dominante per quello che riguarda l’occupazione del campo e degli spazi. Attenzione: non è che esista un piano che sia necessariamente meglio o peggio di un altro, semplicemente è interessantissimo notare il cambiamento – più che netto - di strategia, che sta funzionando. La domanda che è normale porsi – piuttosto – è quella che abbiamo messo come titolo di questa grafica. Se è evidente che il Napoli si trovi a suo agio senza palla, è altrettanto evidente che sia una squadra che – almeno finora - crea poco, soprattutto se pensiamo che è la prima della classifica. Se il dato di xG è abbastanza basso, è bassissimo invece quello relativo agli xG da buildup, da costruzione bassa. Dietro quel numero, c’è anche la difficoltà del Napoli di attaccare il chiuso, visto che Lukaku a volte può essere un riferimento non troppo difficile da disinnescare. E anche per questo, Conte ultimamente lo sta utilizzando più come esca che come vera boa per risalire il campo. È elevata la dipendenza dai calci piazzati – dove il Napoli può sfruttare la sua fisicità – mentre il dato dei tocchi in area riflette la naturale evoluzione di un possesso ridotto nel terzo offensivo. E qui torniamo alla domanda iniziale: una produzione offensiva non così elevata basterà per vincere lo Scudetto? Vi diamo un indizio nel punto successivo... Sa cambiare e adattarsi nel corso delle settimane Questa è una delle grandi novità di Antonio Conte versione Napoli. Abbiamo tutti in mente quelle che venivano chiamate giocate codificate: Conte le proponeva praticamente contro ogni squadra, perché erano parte fondante della sua proposta. Quest’anno, invece, c’è qualcosa di differente. Il Napoli è molto più flessibile, anche in base a chi affronta. È una squadra che non ha paura di cambiare e trovare soluzioni diverse per valorizzare al massimo i suoi giocatori. E se dovessimo fare un ranking dei punti di forza del Napoli, questo sarebbe sicuramente nella top 3. Anche il sistema di gioco ‘base’ è cambiato spesso: sembra passato un secolo, ma a inizio stagione il Napoli giocava con una sorta di 3-4-2-1, accantonato poi per una serie di problemi che poi sono stati risolti. Faceva fatica a trovare i tempi delle chiusure, ad esempio. E poi, Di Lorenzo come braccetto non ha mai fatto innamorare Conte. Ma su questo torneremo. Anche il modo di attaccare è cambiato tanto nel corso della stagione, e cambia anche spesso a seconda dell’avversario affrontato. Contro la Juve è stata una delle prime volte del quadrilatero offensivo formato dai due falsi esterni e dei due centravanti , per fare tanta densità in mezzo e favorire gli scambi tra di loro. Questo è il setup iniziale che porta al gol di McTominay contro il Como, e si può notare la stessa struttura che abbiamo visto contro la Juventus, coi due terzini molto larghi e i quattro uomini offensivi dentro il campo. Poi, palla a Lukaku e gol dello scozzese. Fast-forward a domenica scorsa: Torino-Napoli. Stessa squadra, struttura diversissima. Guardate la posizione dei terzini, soprattutto quella di Di Lorenzo. Nei 4 dietro a Lukaku, è molto centrale. In questo caso l’ampiezza la prendono Kvara e Politano, mentre McTominay e il capitano del Napoli fanno quasi da trequartisti. Se prima la palla era già in zona-area di rigore, qui siamo in fase di costruzione. Anguissa si è alzato, i due terzini si sono stretti ai fianchi di Lobotka. Questo utilizzo dei terzini è una novità per Antonio Conte in Italia, ed è una soluzione che sta portando avanti soprattutto nelle ultime settimane anche per la disponibilità dei suoi centrali difensivi. Perché in questo modo bisogna stare molto attenti anche a ciò che succede dietro: quando i terzini vengono dentro, i centrali rimangono spesso 1 contro 1 contro gli attaccanti avversari. E in questo è decisivo avere un giocatore come Buongiorno, che vive per situazioni di questo tipo. Il concetto dei terzini invertiti si è visto al massimo in questa azione, in cui sono veramente vicini l’uno con l’altro. E ricoprendo la funzione di mezzali, aiutano Lobotka in uscita palla … …finché si arriva al cross, sul quale l’area è riempita – pareggiando i giocatori del Torino - anche da Di Lorenzo e Olivera, che andrà proprio a colpire di testa. Conte può lavorare così tanto dal punto di vista tattico anche perché non ha le coppe, chiaro. Può evidentemente fare scelte che tengono in considerazione questo aspetto, lavorando su un blocco-squadra più ‘fisso’ rispetto alle altre. Però non bisogna sottovalutare il fatto che sia diventato un allenatore a cui piace anche adattarsi e cambiare tanto. E questo, in una squadra di vertice, può essere decisivo. McTominay è uno dei centravanti migliori della Serie A Sì, avete letto bene. Centravanti. Quando la settimana scorsa abbiamo parlato di Koopmeiners, è stato introdotto il concetto di cluster: l’innovazione di Soccerment che permette di confrontare i giocatori non tanto per la loro posizione, ma per il compito che svolgono nella partita. Ecco, McTominay è incluso nel cluster dei Mobile Finisher, tendenzialmente dedicato ai falsi 9 che vengono bassi oppure agli attaccanti che sono molto abili negli inserimenti alle spalle della difesa. Stiamo imparando a conoscere le sue qualità e capendo i motivi per cui Conte ha insistito così tanto per avere un giocatore con le sue caratteristiche, una sorta di cheat code per la Serie A. Questi sono i suoi percentili. In parole povere, il percentile misura la posizione relativa di un valore rispetto ad altri valori. Cioè indica quanti valori sono uguali o inferiori a quello considerato: ad esempio, se sei al 90° percentile in un test, significa che hai fatto meglio del 90% di tutti quelli che hanno fatto il test. Quindi, stiamo confrontando McTominay con altri Mobile Finisher, non – a meno di altri McTominay – con altri centrocampisti. Ecco perché vedere che lo scozzese ha valori così alti di tiri in area, xG per tiro e dribbling ci fa ancora più impressione: perché il paragone è con gli altri attaccanti della Serie A. E gli ultimi due dati ci danno la conferma di quello che vediamo sul campo: è un giocatore che sicuramente preferisce condurre il pallone verso la porta che passarlo con imbucate, non certo il suo forte. Le parole di Paolo Di Canio al Club di domenica sera lo descrivono perfettamente: “Magari non è un giocatore che eccelle clamorosamente, ma sa fare tutto, è forte in tutto. Per la Serie A è dominante, il Napoli ha fatto un affare perché è intelligente con e senza palla”. E può ancora fare dei passi in più, per diventare un centravanti sempre più completo. L’atteggiamento senza palla è diversissimo dal Napoli di Spalletti, ma non sempre... Eccoci, ritorna il paragone. Questo punto è un po’ un mix dei precedenti, perché racchiude il confronto col Napoli 22/23, la capacità del Napoli di Conte di stare bene anche quando non ha la palla e anche la forza di proporre cose diverse in base all’avversario. Partiamo dai numeri. Quando il Napoli non ha la palla , la strategia principale non è sicuramente quella di andare a riprendersela con ferocia. Come vediamo, la squadra di Conte è nella parte destra della classifica per tutti i dati che riguardano pressione e contropressione, proprio perché il suo piano senza palla – la maggior parte delle volte – è abbassarsi compatto sotto la linea del pallone. Con Spalletti era molto diverso: il Napoli era un’eccellenza in questo, soprattutto nella riaggressione. Un aspetto che sta cercando anche di portare in Nazionale. Bisogna fare attenzione però quando si interpretano dati del genere, perché questi numeri ci raccontano tutta la stagione insieme, senza cogliere le sfumature all’interno delle partite stesse. Perché è vero che il Napoli si trova molto bene a rifugiarsi nella sua metà campo avvicinando le linee, ma la squadra di Conte ci ha dimostrato – ancora una volta – di saper andare aggressiva, uomo contro uomo. Non è la soluzione principale, ma è una delle carte nel mazzo. Soprattutto nei primi minuti di gara, per poi abbassare l’intensità nel corso della partita. Con l’Inter è andata così: all’inizio, l’atteggiamento del Napoli era chiaro. Tolto Sommer, tutti erano marcati a uomo fin dall’inizio dell’azione, per limitare le ricezioni facili dei giocatori dell’Inter. Soprattutto di uno… …cioè Calha. Conte non aveva a disposizione Lobotka, e allora - facendo di necessità virtù - ha sfruttato il maggior dinamismo di Gilmour per incollarlo alle spalle del turco. Una strategia che il Napoli ha utilizzato soprattutto nella prima parte del primo tempo e a cui l’Inter – che normalmente si esalta in questo tipo di situazioni – ha fatto fatica a rispondere. E da questa immagine si capisce l’applicazione dei giocatori del Napoli, con Politano che lascia totalmente quella che sarebbe la sua zona di competenza per andare a prendere – da tutt’altra parte – Bastoni, uno che quando si tratta di andare a occupare porzioni di campo ‘inusuali’ non si fa certo pregare. Ma a proposito, quale sarebbe la zona di Politano? Perché l’ex giocatore dell’Inter è uno dei giocatori più trasformati in assoluto – per quanto riguarda i compiti che svolge senza palla – da Conte. Il suo nuovo allenatore lo ha convinto ad essere la chiave tattica della fase difensiva del Napoli, visto che le sue scalate permettono – in base agli avversari, come sempre – di passare da una difesa a 4 a una a 5. La partita contro il Milan ne è stato l’esempio perfetto. Di Lorenzo stringe un po’ la sua posizione al centro per fare spazio a Politano, basso sulla destra. Due linee molto strette contro il possesso del Milan: una da 5 giocatori, l’altra da 4. La cosa che fa più riflettere è la dedizione di un giocatore che due stagioni fa è stato uno dei protagonisti di uno Scudetto dominato. E si nota tanto anche da questa immagine, perché Politano va a prendere quella posizione a inizio azione del Milan. Appena il Napoli perde palla, lui sa che deve fare lo scattino indietro per comporre la linea a 5. E per un esterno come lui, non è semplice. È uno dei tanti meriti di Conte. Non è semplice anche perché ha compiti che sono pieni di letture, interpretazioni e scalate. Come in questa occasione, in cui sulla palla di Chukwueze per Okafor, lui sa benissimo che deve uscire sullo svizzero. Liberando Di Lorenzo e permettendo quindi al Napoli di avere superiorità numerica al centro. Queste sono solo alcune delle cose che abbiamo imparato del Napoli di Conte, altrettante ne impareremo nel corso delle settimane. Ciò che le accomuna tutte, è che questo allenatore – come spesso gli è capitato – ha avuto coraggio. Coraggio di puntare su altre cose, coraggio di cambiare – in alcuni aspetti anche radicalmente – la filosofia di una squadra che solo pochi mesi fa era diversissima. E il coraggio spesso premia…

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