Giacomo Ferri: "A questo Toro manca l'essenza granata"

Ci sono uomini che rappresentano l’essenza di un club. Giacomo Ferri è uno dei punti di riferimento per il popolo del Torino. Un simbolo a cui guardare, a maggior ragione nei momenti di difficoltà. Come quello che stanno attraversando i granata. L’identità di un club non passa soltanto dai risultati, ma dallo spirito, dai valori e dalla tradizione di quella comunità. Ferri è cresciuto al Filadelfia quando il vivaio del Toro era il migliore d’Italia. Ha respirato l’atmosfera di un ambiente in cui si tramandava come fosse un vangelo laico la storia degli Invincibili del Grande Torino, ma anche quella delle origini, dalla fondazione nel 1906 per opera di un gruppo di dissidenti della Juventus, passando dal primo scudetto del 1928 fino al trionfo del 1976 celebrato con un pellegrinaggio al colle di Superga per rendere omaggio a capitan Valentino e agli altri 30 caduti nella tragedia aerea del 4 maggio 1949. Una storia colma di gioie, drammi e sofferenza, come la morte di Gigi Meroni e del grande capitano Giorgio Ferrini, emblema del tremendismo granata. In questo senso, pochi club al mondo sono una metafora della vita come lo è il Torino. Ma cos’è oggi il Toro? Cosa e chi rappresenta il Torino Fc nato dal fallimento del Torino Calcio nel 2005? Se parliamo di campo e almanacchi sono 30 anni che i tifosi del Torino soffrono, salvo alcuni estemporanei momenti di gioia. Però il Torino è sempre stato qualcosa di speciale, al di là dei risultati. Una storia a cui attingere per conservare una identità forte da portare poi sul campo. Questo faceva la differenza. Cosa è rimasto di quella identità? Uno spirito che Giacomo Ferri ha incarnato da quando a 16 anni il Torino lo prese dal Crema. Dopo l’esperienza con Allievi, Berretti e in Primavera il prestito alla Reggina per tre stagioni e il rientro in granata nel 1981 dove è rimasto fino al 1989. In totale 261 presenze e 3 gol. Ferri è stato anche allenatore delle giovanili dove, tra gli altri, ha lanciato Fabio Quagliarella e vinto uno scudetto nel 2000 nella categoria Giovanissimi. Ha guidato la prima squadra nelle ultime giornate prima della retrocessione del 2003 e patito il fallimento di Cimminelli nell’estate 2005. Poi è stato team manager sotto la proprietà Cairo dal 2010. Un grande feeling con Giampiero Ventura, che ha portato il Torino dalla B agli ottavi di Europa League nel 2015, l’apice dei risultati raggiunti dal Torino negli ultimi 30 anni e l’addio nell’estate del 2016. Da allora segue le vicende granata dall’esterno, ma con il solito trasporto. La curva Maratona lo aveva soprannominato ‘Big Jim’ per i suoi muscoli e la grinta con un coro ad personam per celebrare la sua ferocia agonistica: “Picchia per noi, Giacomo Ferri! Picchia per noi, Giacomo Ferri!”. Attenzione, Giacomo era un difensore rude ma corretto, tanto che Maradona lo ha sempre stimato, ammirando la sua tenacia. Cosa è rimasto di quella ferocia agonistica nel Torino? Mi riferisco anche agli allenamenti e al modo di vivere la settimana. Vanoli ha detto che si aspetta di più da alcuni giocatori e che servono più attenzione e voglia: “Chi non dà abbastanza sta fuori”. Sono parole preoccupanti? “Sì, lo sono. Perché se un allenatore fa un discorso di questo tipo c’è un problema evidente nello spogliatoio. Però Vanoli ha anche detto che chi non dà il massimo viene escluso, dunque sa come gestire la cosa e fa benissimo ad agire così. La situazione è pericolosa, inutile girarci intorno. Il Torino deve tornare a giocare da squadra. Ho seguito l’ultima partita: il Bologna è una squadra rodata, i giocatori sanno come muoversi. Nel Torino invece si nota nervosismo, che in parte dipende dalla classifica. Se arrivi da un periodo negativo sei più teso in campo, poco lucido. La ferocia e lo spirito Toro poi…difficile dirlo. Dopo che hai dato via uno come Buongiorno non è rimasto nessuno cresciuto nel settore giovanile e questo la dice lunga. Chi può trasmettere quello spirito? Chi ha quell’amore per il Torino come club che ha fatto la storia del calcio?” Qual è la prima cosa su cui Vanoli dovrebbe insistere? “Credo lo stia facendo ed è questa: ritrovare l’umiltà da parte di tutti. Altrimenti fai fatica e saranno guai. Giustamente ha suonato l’allarme in tempi non sospetti: ‘Umili e affamati perché prima di tutto bisogna salvarsi’. Se ognuno va per conto suo anche le grandi squadre falliscono. Guardate il Napoli della scorsa stagione senza Spalletti e la mentalità che lo ha portato allo scudetto. Fai fatica con i grandi giocatori, figurati con giocatori di qualità media. Il Milan ad esempio potrebbe lottare con Inter, Juve e Napoli invece ognuno va per conto suo, ogni giocatore va per i fatti suoi”. "Vanoli, libera Vlasic" Dal punto di vista tecnico invece? “Tutti parlano del Torino che non fa gol. Va bene, siamo d’accordo. Ma ricordate sempre che la cosa essenziale è partire dalla fase difensiva. Oggi il Torino deve fare risultato, quindi non prendere gol ha la precedenza su tutto. Poi Vanoli sta lavorando per aumentare le occasioni, giustissimo. Le sta studiando tutte. A Empoli ha cambiato la partita con le sostituzioni e anche col Bologna ha provato ad essere più pericoloso inserendo Vlasic e Adams con Karamoh. Poi non è tanto una questione di numero di attaccanti. Per creare situazioni offensive bisogna avere innanzitutto superiorità numerica: se io allenatore non ho uno che salta l’avversario come faccio a concludere in porta? Nel Torino da metà campo in avanti chi c’è che lo fa? Devi avere un centrocampista alto tra le linee. L’unico è Vlasic, però lo devi lasciare libero di sbagliare anche. Crederci, sostenerlo. La rosa del Torino è povera di qualità in questo senso. Un problema che si trascina da anni e che anche Juric ha sempre sottolineato. Guardate l’Atalanta che ha almeno 5 giocatori che saltano l’uomo sempre, compresi i difensori esterni. Bellanova va cento volte a crossare mentre al Torino lo faceva una decina di volte. Ora si butta negli spazi perché l’organizzazione di Gasperini esalta i giocatori, ma anche perché la rosa a disposizione di Gasperini ha caratteristiche funzionali a quel tipo di azioni. Il Toro invece ha pochi giocatori che rischiano l’uno contro uno. A me piace il gioco di Vanoli che è teso all’attacco, non specula, non fa il giro palla sterile all’indietro, ma in questo momento prima di tutto non devi prendere gol. La calma si ritrova solo con i risultati. E i risultati arrivano partendo dalla difesa. Prima di tutto non prenderle. Adesso tutti devono essere umili e dare qualcosa in più. Il minimo sindacale durante gli allenamenti non basta, bisogna trovare il risultato a qualunque costo. Quindi rischiare meno e lottare sempre. Meno fronzoli e più cattiveria agonistica”. Senza Zapata l’attacco è collassato... “L’infortunio di Zapata ha avuto conseguenze disastrose perché Duvan è un giocatore che dà credibilità a tutta la squadra. Chi gioca vicino a lui rende di più. Anche il portiere che è distante 80 metri si sente più sicuro perché vede un compagno che ha qualità morali enormi, non solo tecniche. Ma la sua assenza è pesata oltremisura anche perché la rosa è corta. Non ne faccio un discorso solo di reparto, ma di qualità complessiva. Tu devi essere in grado di sopperire all’assenza di due o tre titolari senza precludere gli obiettivi stagionali”. Dove può arrivare oggi questo Torino? “L’infortunio di Zapata ha cambiato tutto e in queste condizioni credo che la rosa valga una posizione tranquilla, tra il decimo e il tredicesimo posto. Il problema è che il Torino ha pagato più delle altre squadre gli infortuni e le assenze. La rosa è corta, se perdi un paio di titolari la forza della squadra ne risente troppo. Poi dipende sempre dall’obiettivo alla partenza…” Quale poteva essere l’obiettivo di partenza? “Io non ho mai letto nessuna dichiarazione da parte di Cairo e di Vanoli sull’obiettivo ai blocchi di partenza. Non ho mai sentito nulla in questo senso. Il Torino non si sapeva ufficialmente a cosa volesse puntare. Poi certo dopo tre anni in cui sei arrivato a metà classifica e dicendo che vuoi migliorare è chiaro che la piazza si aspettasse dei passi avanti. Io dico che se volevi stare a metà classifica allora la rosa che hai costruito va bene, non rischi la retrocessione. Ma le Coppe no, quello è un altro campionato. Da come era partito pensavo potesse arrivare tra l’ottavo e il decimo posto. Se si riprendesse e a gennaio e arrivassero innesti funzionali quello potrebbe essere un obiettivo realistico”. Obiettivi dichiarati o mascherati. Quale strategia funziona meglio? “Io credo che tutti gli spogliatoi sappiano quale sia l’obiettivo all’inizio. Alcuni lo dicono pubblicamente e altri no. Se lo dici ti metti in evidenza e ti metti pressione addosso. Qualcuno sa reggerla o può reggerla. Faccio un esempio: il Napoli ha fatto un ottimo mercato e non ha mai detto di puntare allo scudetto, anzi. Magari nello spogliatoio se lo dicono però… L’Inter invece lo dichiara perché hanno deciso questa strategia di comunicazione anche perché in effetti loro, Juventus o Milan non possono dire di voler arrivare al secondo posto…” In realtà la Juventus punta ufficialmente alla zona Champions… “Quindi vuol dire arrivare quarti, va bene. La Juventus quarta per di più con quello che ha speso sul mercato? Non posso pensare che loro puntino al quarto posto. Intanto, il minimo obiettivo è migliorare la stagione precedente. Ma poi c’è molta strategia secondo me. Da ex calciatore dico che tra loro ne parlano e che vogliono provare a vincere lo scudetto. Ed è giusto perché la Juventus deve puntare a vincere sempre. Faccio solo i nomi di alcuni nuovi: Koopmeiners, Coinceiçao, Nico Gonzalez e Douglas Luiz che secondo me è molto forte. Andate a vedere i numeri in Premier League. Poi la mia favorita ai blocchi di partenza è l’Inter che sulla carta è la più forte. Io per dire impazzisco per Frattesi e Asllani che giocherebbero in qualsiasi big e per Inzaghi sono delle alternative! Ma la Juventus è subito dietro perché ha preso grandi giocatori. E poi c’è il Napoli di Conte che è un top player della panchina e ha rigenerato giocatori come Di Lorenzo e Lobotka, poi hanno preso Buongiorno e Lukaku”. "Punta? No, serve un difensore" Cosa dovrebbe fare il Torino a gennaio sul mercato? “Io darei precedenza alla difesa, prendendo un buon centrale di esperienza in grado di guidare il reparto e che in automatico mi alza il livello del centrocampo. Spiego perché: se io ho una fase difensiva che mi dà garanzia, non abbasso i centrocampisti per venire a prendere palla o correre sempre dietro a coprire. Per esempio Ricci quando viene dietro ha poi troppo campo da coprire per arrivare dall’altra parte. Se invece si trovasse più avanti sarebbe più lucido ed efficace sulla trequarti. A gennaio comunque per fare un buon mercato devi avere o fortuna o tanti soldi. Il Torino deve prendere un difensore di esperienza che non venga a svernare ovviamente, anche a costo di pagarlo tanto. Non ci sono alternative: bisogna tirare fuori i soldi, anche solo per l’ingaggio oppure trovare giocatori prima che li scovi la concorrenza. In difesa manca uno che gestisca il reparto. Coco è un discreto giocatore però va per conto suo, fa i movimenti per istinto perché non ha a fianco un gestore del reparto. Venduto Buongiorno e andato via Rodriguez, oggi manca quello che detta i tempi. Uno che legga il pericolo e ti metta nella posizione giusta. Il Torino paga anche l’infortunio di Schuurs, un giocatore di alto livello con grandi margini di miglioramento. Faccio un esempio concreto: il Napoli con Buongiorno in campo gioca da 10 in difesa perché Alessandro ha qualità tecniche e grande personalità. Senza di lui la difesa vale 7. Quando ho iniziato nel Torino ho avuto la fortuna di avere Roberto Salvadori vicino : parlava poco, ma era utile a tutti noi difensori perché prevedeva il pericolo! Magari io mi muovevo male e lui mi chiamava e mi metteva nella posizione giusta. Il nome di Arnautovic che leggo per l’attacco? Ha grandi qualità, ma un atteggiamento che non mi convince. Imita Ibrahimovic senza essere Ibra, anche nelle posture. Per le qualità che ha poteva fare molto di più in carriera. Mi pare ci sia poca umiltà da parte sua. È come se io avessi voluto muovermi e giocare come il mio amico Leo Junior! Il Torino dovrebbe prendere 3 giocatori: prima di tutto un difensore, poi un centrocampista e un attaccante. Buoni giocatori intendo, non ‘ripieghi’. Sempre che si voglia arrivare dalla parte sinistra della classifica. Se invece vuoi salvarti, allora basta un difensore di esperienza”. Che idea si è fatto della contestazione a Cairo? “Se ai tifosi dici che fai la squadra per puntare all’Europa e poi non la fai ti contestano. Se per anni si è parlato di salto di qualità e voglia di migliorarsi, ma poi resti sempre allo stesso punto, la gente prova insoddisfazione. I tifosi hanno il diritto di contestare, sempre nei limiti della civiltà, ma per auspicare un cambio di proprietà deve arrivare qualcuno che possa fare meglio di Cairo". Per tornare a quell’unione tra club e tifosi con una squadra che possa puntare all’Europa quali sono i passi da fare? “L’unica via è ripartire dal settore giovanile. Dai bambini del Toro, crescerli e accudirli con quello spirito che io ho iniziato a respirare appena ho messo piede al Filadelfia a 16 anni. Bisogna guardare al passato in questo senso per avere un futuro altrettanto brillante. Un’opera di ricostruzione anche della memoria da trasferire poi sul campo. La prima squadra sarebbe una conseguenza, non una priorità. Ci vorrebbe pazienza. Dovresti essere abile nel scegliere le persone giuste, gratificarle, ognuna con un ruolo preciso e di responsabilità. Dal magazziniere al dirigente, passando dall’allenatore dei ragazzi. Poi strutturare il club con un direttore generale, un ds e una rete di osservatori che possa arrivare ovunque. Avere più uomini del Toro che lavorano per il Toro con passione e orgoglio. Ognuno fiero di sentirsi parte di una comunità e capace di spruzzare granatismo da ogni poro. In questo modo i bambini e i ragazzi potrebbero crescere con quello spirito che ha reso speciale il Torino. L’esempio lampante è Buongiorno. Come parlava Alessandro del Torino? Con passione perché ha avuto persone che gli trasmettevano l’essenza granata . Mi sembrava uno di noi, cresciuto al Filadelfia. Invece adesso le giovanili si allenano tutte sparse in diversi impianti per la città e la cintura, come fai a creare un senso di appartenenza in questo modo? Fare un centro sportivo unico per il settore giovanile è il primo passo. Se il Robaldo dovesse entrare in funzione con 4 campi sarebbe già un buon punto di ripartenza, poi però devi riempirlo di persone che respirano Toro e sono in grado di inculcare la mentalità e i principi granata. Devi avere qualcuno dentro il club che abbia l’idea della storia della società e che possa trasmetterla a chi arriva e averlo in qualsiasi settore della società. Come l’Atalanta che prima di vincere sul campo ha creato un modello di gestione dal punto di vista dei rapporti umani che fa la differenza. Sentirsi parte di una comunità portando avanti gli stessi valori. Questo spero possa essere il Torino del futuro”.

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Paolo Aghemo