Quattro domande alla dirigenza della Juve dopo l'esonero di Tudor

Non saprei se definirla sensazione, o farla passare come semplice domanda: la Juventus sta davvero tenendo la barra dritta? O agisce per troppa emotività? Perché a queste domande, la mia sensazione è che un po’ il fattore emotivo abbia inciso in tutto quello che è stato il percorso di Tudor sulla panchina in bianconero. Non tanto nel momento in cui l’allenatore è stato chiamato a raddrizzare una stagione che con Motta si stava complicando troppo: lì è stato bravo a raggiungere il quarto posto che sembrava potesse sfuggire. Lì è stato bravo e basta. Il problema è stato dopo. Perché Tudor è rimasto? Perché mancavano le alternative? O perché è stato bravo a convincere la nuova dirigenza, sia nella parte finale del campionato, sia nel Mondiale per Club? E perché si è deciso di esonerarlo adesso, senza avere un reale sostituto in mano? Ci sono troppi elementi che stonano e lasciano pensare che, al momento, la dirigenza non veda troppo lontano. Ma è una sensazione, appunto, per chi guarda da fuori. Solo che mancano i chiarimenti. O forse, ma lasciamo il dubbio, anche la chiarezza. Però è giusto sottolineare che fare il dirigente è la cosa più difficile di tutte. Perché noi guardiamo il campo, vediamo i giocatori cosa fanno: è la cosa che ci interessa di più. Ma tutto parte da chi sceglie: la dirigenza ha scelto i giocatori, la dirigenza ha scelto Tudor, che non può essere cambiato così tanto nel giro di pochi mesi. Era lo stesso allenatore della fine del campionato, è lo stesso in questo inizio, dove le difficoltà sono emerse anche quando sono arrivati dei buoni risultati: la doppia rimonta contro Inter e Borussia Dortmund è stata certamente esaltante, ma non lo è stata a livello del gioco. Ed è un aspetto che chi segue il calcio deve tenere in forte considerazione. Questo tracollo, insomma, parte da lontano e lascia pensare che la direzione della squadra non fosse di un miglioramento, ma al massimo di stallo. E sarebbe terribile pensare che a spingere verso l’esonero siano stati i giocatori: non c’è scelta peggiore che chiedere un’opinione ai leader dello spogliatoio, nemmeno se questi leader fossero Del Piero, Maldini o Bergomi. Non si può dare questo potere a un giocatore, non è di una società strutturata e impostata per vincere. E in attesa che Comolli dia la sua versione dei fatti, dica la sua opinione, quello che possiamo pensare noi è che il vero spartiacque sia stato il mercato e la valutazione che di questo la dirigenza ha fatto. Se la Juve pensa di aver costruito una squadra adatta a vincere subito e magari anche in più competizioni, allora bene ha fatto a esonerare l’allenatore. E forse è proprio qui che si è innestata la vera frattura tra le parti. Anche perché - e a parlare è il mio passato da giocatore - difficilmente la colpa è di chi va in campo: un calciatore fa quello che ha sempre amato, non gioca per peggiorare, ma sempre e solo per migliorare, per divertirsi e per vincere. Se non rende è perché non è messo nelle condizioni di rendere. E così si arriva alle sconfitte e alla frustrazione: a questa Juventus la vittoria manca. Manca troppo. Su Sky Sport Insider, Michele Padovano ha parlato di mancanza di identità bianconera. È un aspetto che va tenuto in considerazione: non esiste un decalogo che spieghi la juventinità, non c’è una persona che dica cosa serva fare. Anzi, è quasi difficile da spiegare nel dettaglio cosa significhi, essere juventini. La vita quotidiana dentro questo ambiente fa sì che il pareggio non sia abbastanza, che il punto non possa soddisfare davvero. Se alla Juventus, di recente, questo non è filtrato, allora il problema andrà analizzato ancora più in profondità. E non bisognerà lasciarsi abbandonare all’emotività.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Quattro domande alla dirigenza della Juve dopo l'esonero di Tudor

Giancarlo Marocchi