Quando i proiettili si trasformarono in un pallone

«It is thought possible that the enemy may be contemplating an attack during Xmas or New Year. Special vigilance will be maintained during these periods.» – British General Headquarters, St Omer, 1914, December 24th «Un pallone aveva rimpiazzato i proiettili, e per il tempo di una partita di calcio l’umanità aveva ripreso il sopravvento sulla barbarie». – Kurt Zehmisch, soldato del 134° Reggimento sassone Tanto, tantissimo di nuovo sul Fronte Occidentale. Di inedito anzi, e mai più ripetuto. Tanto che oltre un secolo dopo ancora se ne parla. La storia della fantomatica ‘Christmas Truce’, la Tregua di Natale – così passerà alle immaginifiche cronache belliche UK quell’effimera sospensione del Primo conflitto mondiale –, fluttua tra mito e leggenda, fra realtà aumentata e falsi storici. Qualcosa di grosso però, anche se magari non così Grande come quella Guerra, nel terribile gelo infuocato delle Fiandre, successe davvero. No Man’s Land Tra il 24 e il 26 dicembre 1914, le truppe di stanza lungo gli ottocento chilometri del cosiddetto Fronte Occidentale, si arrampicarono fuori delle trincee – infestate dai ratti – e ‘celebrarono’, si fa per dire, il Natale con un temporaneo e non ufficiale cessate il fuoco di 48 ore. Almeno 100 mila uomini, fra soldati tedeschi e quelli delle Forze alleate, si scambiarono in quella Tregua di Natale fotografie, razioni militari, cioccolata, sigari e sigarette, un sorso di grappa, whisky o rum, e cantarono canti natalizi. E poi, quando d’un tratto saltarono fuori dei palloni, improvvisarono una partita di calcio in un’area dichiarata ‘no-man’s land’. Terra di nessuno, cioè, già liberata dei rispettivi caduti, a volte poi sepolti assieme. E diventata così un campo neutrale, più che neutro, per giocare a pallone in tempo di guerra. Una landa, vieppiù desolante e desolata, come quella che ispirerà a Eric Blogle le cinque strofe di No Man’s Land , canzone del 1976 in memoria di William McBride, giovane soldato semplice là morto in battaglia nel 1916. Well, how do you do, Private William McBride, Do you mind if I sit down here by your graveside? And rest for a while in the warm summer sun, I’ve been walking all day, and I’m nearly done. And I see by your gravestone you were only 19 When you joined the glorious fallen in 1916, Well, I hope you died quick and I hope you died clean Or, Willie McBride, was it slow and obscene? ASCOLTALA QUI Già da alcune settimane prima del Natale 1914, l’esercito britannico aveva occupato un settore del Fronte Occidentale belga, che gli Alleati coprivano dalla zona sud di Ypres Salient fino al canale di La Bassée. Rannicchiati dietro bastioni di terriccio e filo spinato, i soldati sparavano alle truppe nemiche posizionate in trincee a circa 65 metri di distanza, oppure venivano mandati oltre la cima per tentativi di attacco, spesso abortiti e, in termini di perdite, comunque rilevanti. Si era ancora all’alba della ‘guerra europea’, così all’inizio la chiamavano i contemporanei, o “Grande Guerra, allora si chiamava così, prima che si dovesse numerarle”, per dirla col Mr. Wabash de I tre giorni del Condor. E anche se in quei primi cinque mesi di conflitto – scoppiato ufficialmente il 28 luglio – c’erano già state migliaia di vittime, non erano ancora stati usati i gas venefici e i bombardamenti in cui si sarebbero visti “morire giovani uomini come bovini al macello”, come scrisse nel 1920 il poeta britannico Wilfred Owen nel suo requiem Anthem for Doomed Young , poesia-tributo ai giovani caduti in nome della patria. Anthem For Doomed Youth What passing-bells for these who die as cattle? Only the monstrous anger of the guns. Only the stuttering rifles’ rapid rattle Can patter out their hasty orisons. No mockeries for them; no prayers nor bells, Nor any voice of mourning save the choirs,— The shrill, demented choirs of wailing shells; And bugles calling for them from sad shires. What candles may be held to speed them all? Not in the hands of boys, but in their eyes Shall shine the holy glimmers of goodbyes. The pallor of girls’ brows shall be their pall; Their flowers the tenderness of patient minds, And each slow dusk a drawing-down of blinds. Le condizioni meteo e logistiche in cui le truppe, mal equipaggiate per le temperature parecchio sottozero dell’inverno nordeuropeo, si trovavano a combattere erano tremende. E mentre i soldati britannici di Sua Maestà ricevevano da parte del loro re Giorgio V doni in una scatola di ottone, ai tedeschi il Kaiser Guglielmo II faceva recapitare budini di prugne, sigari e sigarette, coperte e – hören-hören – alberelli di Natale, simbolo delle festività che, in tempi migliori, sarebbero state celebrate in famiglia, nella calorosa atmosfera del focolare domestico e non sui campi di battaglia. Quella notte di Natale, però, la pioggia aveva smesso di cadere. E il terreno era coperto di una brina che il chiaro di luna rendeva ancora più scintillante. A un certo punto, mentre gli occhi stanchi di chi era di guardia fissavano in lontananza le linee nemiche, le truppe britanniche scorsero con grande sorpresa che nell’oscurità luccicavano tremolanti delle piccole fiammelle. I tedeschi avevano ‘decorato’ le proprie trincee con quei mini-alberelli di Natale che i soldati stessi, dopo averli addobbati accendendo delle candele legate ai rametti, avevano issato in cima ai parapetti. Da lontano echeggiavano ancora gli spari, ma in molte zone del fronte era calato un ‘assordante’ silenzio, carico di chissà quali aspettative. Con grande sgomento dei rispettivi comandi tedesco e britannico, i soldati sul campo, da una parte e dall’altra, si erano donati vicendevolmente, almeno per quella notte – la Notte di Natale –, un estemporaneo cessate il fuoco. Di quella tregua, non imposta gerarchicamente dall’alto ma sorta spontanea dal basso, sul campo, ne rimarrà traccia nelle lettere e nei diari delle truppe di entrambi gli schieramenti. Ma qui le versioni e le descrizioni divergono, a seconda dell’appartenenza di chi le aveva vergate. O di chi era stato anche solo abbastanza fortunato da poterle raccontare, e tramandare ai posteri. Did they Beat the drum slowly, did the play the pipes lowly? Did the rifles fir o’er you as they lowered you down? Did the bugles sound The Last Post in? Did the pipes play the Flowers of the Forest? Stando alle fonti storicamente più accreditate, pare sia stato un ufficiale tedesco a compiere il primo passo facendo recapitare ai britannici una torta al cioccolato, con allegata una nota in cui si proponeva il cessate il fuoco dalle 19.30 per consentire a tutti quelli impegnati al fronte di celebrare il Natale. I britannici accettarono di buon grado, e contraccambiarono con del tabacco. Questa la campana del tedesco Josef Sewald, capitano del 17° Reggimento bavarese: “Gridai ai nostri nemici che non intendevamo sparare e che volevamo fare una tregua per Natale. Dissi loro che sarei andato là per parlare. Sulle prime ci fu silenzio, poi gridai ancora, per invitarli, e i britannici gridarono: ‘Che nessuno spari!’. Poi uno di loro uscì dalla trincea e io feci lo stesso, ci venimmo incontro e ci stringemmo la mano – anche se con un po’ di circospezione!” Stanziate all’esterno del comune La Chapelle-d’Armentières, nel nord della Francia, le truppe britanniche ascoltarono in uno sbalordito silenzio quando i tedeschi cominciarono a cantare. Questa la versione del britannico Albert Moren, fante del 2nd Queen’s Regiment: “Era una bellissima notte di luna, con la brina sul terreno bianca quasi ovunque; e... c’era un sacco di caos nelle trincee tedesche. C’erano quelle luci – mai saputo di cosa fossero. E poi si sono messi a cantare Silent Night . Non lo dimenticherò mai. È stato uno dei più bei momenti della mia vita” A quei canti i britannici risposero gridando ai tedeschi di non smettere, e in segno di apprezzamento spararono in aria dei razzi e si misero a cantare pure loro. Johannes Niemann, tenente del 9° reggimento di fanteria reale sassone n. 133, racconterà poi “che la guerra si trasformò nella contemplazione di una gara canora, e lo spirito marziale di entrambe le parti si smarrì in quello natalizio”. In uno scenario surreale persino negli assurdi tempi di guerra, ci fu quindi una sorta di concerto di Natale fra le trincee, dove per una notte – la Notte di Natale – i soldati riuscirono forse a concedersi qualche ora di sonno con la rassicurante ‘certezza’ di avere ancora – almeno – un altro domani. And did you leave a wife or a sweetheart behind In some loyal heart is your memory enshrined? And, though you died back in 1916, To that loyal heart are you always 19? Or are you a stranger without even a name, Forever enshrined behind some glass pane, In an old photograph, torn and tattered and stained, And fading to yellow in a brown leather frame? La Tregua di Natale Alle prime luci del mattino del 25 dicembre, gli occhi ancora appisolati di chi, per montare di guardia, s’era appena svegliato non riuscivano a credere a quanto vedevano dalle trincee. Fra questi, quelli di Bruce Bairnsfather, poi celebre umorista e cartoonista britannico e ai tempi arruolato nel Royal Warwickshire Regiment: “Mi alzai all’alba e, uscendo carponi dal rifugio, mi resi conto che la trincea era praticamente vuota. Mi misi in piedi nel fango per guardare oltre il parapetto. La ‘No Man’s Land’ era piena di gruppetti... kaki e grigi ... che chiacchieravano amabilmente fra loro”. Quelli che fino a poche note prima erano nemici, pronti a uccidere per non essere uccisi, ora si stringevano mani, si scambiavano cose, si raccontavano storie di famiglia. E c’era persino chi, col disperato bisogno di un barbiere, aveva trovato qualcuno che, da civile quello faceva di mestiere, e ne aveva approfittato per farsi fare barba e capelli. Fra generici ‘Tommy’ e ‘Fritz’, la barriera linguistica era più facile da aggirare, se non proprio da abbattere, per i tanti tedeschi che, andati a lavorare in Inghilterra, erano stati costretti a lasciarla per lo scoppio della guerra e ad arruolarsi. E che parlavano un discreto inglese, senz’altro migliore del poco tedesco spiccicato dagli Alleati. Quanto alla improvvisata partitella, il britannico Bryan Latham dei London Rifles dirà che quella “‘No man’s land’ sembrava un campo di calcio all’intervallo”. E stavolta, il primo passo era stato di un soldato britannico. The sun’s shining down on these green fields of France; The warm wind blows gently, and the red poppies dance. The trenches have vanished long under the plow; No gas and no barbed wire, no guns firing now. But here in this graveyard that’s still No Man’s Land The countless white crosses in mute witness stand To man’s blind indifference to his fellow man. And a whole generation who were butchered and damned. Tedeschi 3, Alleati 2 Una volta scambiatisi doni e convenevoli, qualcuno ebbe infatti la meravigliosa idea di mettersi a giocare a pallone. In pochi, fra le truppe, ne disponevano. Ma allo scopo, come bene succedaneo, poteva prestarsi – e valere – di tutto: lattine, scatolette di marmellata, gli stessi elmetti e utili pure come pali, o una palla di paglia tenuta insieme con dello spago o del fil di ferro. Stando alle memorie del tenente tedesco Niemann: “Uno scozzese tirò fuori un pallone... E presto iniziò una partita con tanto di elmetti come porte. Uno spettacolo, su quel fango ghiacciato. Uno dei nostri aveva una macchina fotografica, e le due squadre si misero in posa formando un gruppo unico di file assai variopinte e con al centro il pallone... Durante la partita, i nostri lancieri si accorsero subito che gli scozzesi sotto il kilt non indossavano niente, e che gli si vedeva tutto il sedere non appena il kilt cominciava a svolazzare. La cosa ci divertì parecchio, anche se lì per lì stentavamo a crederci”. Kurt Zehmisch, comandante di compagnia di Plauen del 10° Reggimento reale di fanteria sassone n. 134, la cui unità si trovava nel bosco di Ploegsteert, vicino a St. Yvon, dove dal 1931 c’è un imponente memoriale, nel suo diario scrisse: “Gli inglesi tirarono fuori dalle trincee un pallone e ben presto si scatenò un’appassionata partita di calcio. Che meraviglia, ma anche che stranezza. Pure gli ufficiali inglesi la pensavano così. Ma il Natale, la festa dei buoni sentimenti, riuscì a unire, almeno per un po’, nemici mortali come fossero vecchi amici... Dissi ai britannici che noi non avremmo sparato nemmeno il giorno dopo Natale. E furono d’accordo”. Tra i sassoni, pare che i militari di Lipsia, dove il 28 gennaio 1900 non a caso i rappresentanti di 86 società avevano fondato la Federcalcio tedesca , fossero particolarmente interessati al calcio. Su quel campo ghiacciato il 2nd Battalion dei Royal Welch Fusiliers, schierato a est della città di Armentières, incontrò i sassoni del 133° Reggimento prussiano del 6° Jäger Battalion. La partita durò un’ora, prima che i soldati – provati da mesi di stenti e privazioni più ancora che dallo sforzo agonistico – crollassero esausti. A quanto risulta, si improvvisarono partitelle lungo diversi settori del Fronte Occidentale, ma soltanto una si giocò fra i due opposti schieramenti belligeranti. E ammesso che conti, o anche solo che qualcuno si sia peritato di tenerlo, ci è anche stato tramandato il punteggio: 3-2 per i tedeschi. Lo confermano lettere e diari sia tedeschi sia alleati, e pure il London Times, che nell’edizione del 1° gennaio 1915 riportò le parole di un maggiore che citava quel risultato. In Italia, con l’opinione pubblica spaccata fra neutrali e interventisti, alla Tregua di Natale non si dedicò che qualche trafiletto, che peraltro riprendevano articoli apparsi sui giornali anglosassoni. La Stampa il 27 dicembre scrisse che “sino a tarda notte echeggiarono dalle trincee i canti e scintillarono dappertutto piccoli alberelli di abete ornati di cianfrusaglie”, prima della ripresa dei combattimenti. Il Corriere della Sera del 30 dicembre parlò di “fraternizzazioni tra le opposte trincee”, e riportò la lettera di un disegnatore tedesco. Quanto alle partite , se ne occupò solo La Nazione di Firenze, nel reportage del 3 gennaio 1915 dal titolo ‘Football tra nemici’: “L’accordo era completo. I tedeschi nella notte di Capodanno avevano ornato l’orlo della trincea di lampioncini multicolori e per tutta la notte cantammo, ora essi ora noi, le più gaie canzoni. All’alba potremmo anzi combinare una partita di football. Mai più squisita cortesia regnò giuocatori di due teams. Però intanto, all’intorno, vari compagni nostri erano caduti per lo scoppio di qualche shrapnel venuto da lontano e sospendemmo la partita per seppellire i morti, a cui da entrambe le parti furono resi gli estremi onori”. L’incantesimo, per quanto magico, durò poco, e di certo non contagiò l’intero Fronte occidentale. Le truppe francesi e belghe, che nella fase iniziale del conflitto avevano già perso 400 mila uomini, non volevano saperne di festeggiare alcunché e continuarono a combattere al fianco dei britannici. Ma mentre sull’inizio della Tregua gli storici grossomodo concordano, ci sono invece diverse versioni sul come finì. Fra le più popolari e credibili quella del capitano J.C. Dunn, ufficiale medico dei Royal Welch Fusiliers, la cui unità aveva ricevuto – dal vicino stabilimento di Frelinghien – due barili di birra da parte delle truppe sassoni nemiche, che verosimilmente dallo stesso villaggio, nelle Fiandre francesi, stavano marciando verso le linee britanniche: “Alle 8.30 sparai tre colpi in aria, issai una bandiera con su scritto ‘Buon Natale’ e salii sul parapetto. Un tedesco espose un lenzuolo con la scritta ‘Grazie’ e il suo capitano tedesco apparì sul parapetto. Ci inchinammo entrambi e ci salutammo, scendemmo nelle nostre rispettive trincee, lui sparò due colpi in aria e la battaglia ricominciò”. And I can’t help but wonder, now Willie McBride, Do all those who lie here know why they died? Did you really believe them when they told you "The Cause?" Did you really believe that this war would end wars? Well the suffering, the sorrow, the glory, the shame The killing, the dying, it was all done in vain, For Willie McBride, it all happened again, And again, and again, and again, and again. “Piccola pace nella Grande Guerra” Al di là delle discordanti ricostruzioni, e di forse inevitabili esagerazioni, la Tregua di Natale fu un fatto storico non solo per l’eccezionalità dell’episodio e dei numeri coinvolti , ma anche perché quel cessate il fuoco non fu imposto dai vertici dagli alti comandi o dai ministri dei rispettivi governi. Tra le truppe, quindi, serpeggiavano giustificati timori di eventuali provvedimenti disciplinari, financo la corte marziale, ma pure la convinzione o forse più la speranza che, in patria, la popolazione avrebbe compreso e approvato quel loro effimero momento di sollievo, se non di residua, inestinguibile umanità. Poche furono le voci fuori del coro che si schierarono contro. Fra queste, leggenda vuole, quella di un giovane militare austriaco di stanza vicino a Ypres, tale Adolf Hitler. Il cessate il fuoco ebbe durata diversa in vari settori del Fronte Occidentale, e non fu più ripetuto nei successivi Natali fino all’armistizio con cui, l’11 novembre 1918, si pose fine al conflitto che aveva coinvolto 73 milioni di militari di 38 Paesi e causato oltre 15 milioni di morti, di cui due terzi soldati tedeschi e Alleati. Novant’anni dopo, l’11 novembre 2008, nel villaggio francese di Frelinghien, nel dipartimento del Nord, regione della Hauts-de France, è stato inaugurato il primo monumento alla Tregua di Natale del 1914. E in quell’occasione, per la ricorrenza dell’Armistice Day, a Frelinghien si disputò una partita commemorativa in cui scesero in campo una trentina fra ufficiali e soldati del 1st Battalion dei Royal Welch Fusiliers inglesi di stanza a Chester e il Panzergrenadier Battalion 371. E, linekerianamente, vinsero ancora i tedeschi, stavolta per 2-1. Altre istallazioni sono state svelate dalla UEFA a Ploegsteert , vicino a Ypres, dove pure, il 25 dicembre 1914, si giocò una partita fra soldati sassoni e britannici. Anche loro eroi di quella “Piccola pace nella Grande Guerra”. Un gol alla barbarie durato un attimo, ma eterno. Letture consigliate: Michael Jürgs Der kleine Frieden im Großen Krieg Westfront 1914: Als Deutsche, Franzosen und Briten gemeinsam Weihnachten feierten Pantheon Verlag, 2014 Jan Stradling More Than a Game When Sport and History Collide Murdoch Books, 2009

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