PAOLO PAGANI torna sul caso Kakà: e se non si muovesse? E se rifiutasse il City per il Real, questo sì? E se Don Bosco Leite (il babbo in arrivo) facesse valere le ragioni religiose del cuore? Una sola cosa ora è certa: il Milan non è più quello di prima
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di PAOLO PAGANI
E dunque, in attesa di sapere: A) se Kakà se ne andrà davvero oppure se è stata ed è una bufala; B) se il Real Madrid subentrerà all'improbabile esilio di Kakà presso la seconda (e ultima) squadra di Manchester, ipotesi certamente più plausibile di quella del blitz delle truppe cammellate; C) che cosa diavolo verrà finalmente a raccontarci, con tutto il suo carico di catechismi e coordinate bancarie, Don Bosco Leite, il babbo di Kakà, lunedì proviamo ancora a mettere insieme due pensieri sulla telenevola che sta cambiando: A) il calcio in generale; B) il Milan, senza dubbio; C) il rapporto tra quest'ultimo e i suoi tifosi per interposto Silvio Berlusconi, se è vero che persino un gentleman come Ferruccio De Bortoli, il direttore del Sole 24 Ore, ovvero la Bibbia salmonata della finanzia italiana (un pulsante cuore rossonero, FdB, sotto la grisaglia impeccabile) sabato se n'è uscito, ukase consegnato alla Gazzetta dello Sport, con un meraviglioso: "Scenderei in piazza se cedessero Kakà".
Scommettiamo che Kakà, come osserva saggiamente quest'oggi il David di Milanello, al secolo David Beckham ("Credo che alla fine lui non se ne andrà perché ama il Milan e la sua vita qui in Italia... Loro adesso hanno una nuova proprietà e tanti soldi, è vero, ma per me a Manchester c'è solo una squadra, lo United..."), alla fin fine non si muove da dov'è? Se il parere di Kakà è decisivo, lui dirà no. E se ne andrà dal Milan a fine stagione, perché il Real è una cosa, il City del Mansour non è una cosa seria. Cos'è: Kakà ha forse scritto "Giocondo" sulla t-Shirt? Non scherziamo.
Don Bosco Leite, il religioso papà senza cui voglia non si muove foglia, abbozzerrà. Anzi: perché non pensare che una famiglia religiosamente impostata, attenta alle ragioni del cuore, non valuti che quelle del portafoglio sono già abbondantemente accontentate dai 9 milioni di euro netti che il Ragazzo d'Oro percepisce dal Cav Dott Berlusconi? E perché non provare a pensare che, essendo così forte il senso d'appartenenza cristiano del boy e dei suoi cari, la prospettiva di risultare poco credibile agli occhi di milioni di fedeli qualora lui entrasse a libro paga di un datore di lavoro musulmano potrebbe nuocere all'immagine e alla "pulizia" interiore, mistica quasi, di Kakà medesimo?
Di diversa pasta, e l'hanno già scritto più o meno tutti, la faccenda titolabile "la figuraccia del Milan". Che, dopo 22 anni di Berlusconismo Imperiale, ora vende eccome, se appena può, anziché comprare a man bassa (Donadoni, Lentini, Nesta, eccetera eccetera). Il Milan non è, non può essere più lui. Con la scusa dei soldi, la società si è messa, fatte le debite proprzioni, sul piano di un Siena o di un Chievo qualunque. Ma come? La frase "Un'offerta che non si può rifiutare" suona bene tutt'al più ne Il Padrino, mica a Villa Certosa (residenza sarda del Premier, da dove ha parlato sabato). Chi può credere che Silvio Berlusconi, l'uomo che più spande ottimismo in piena crisi, non abbia mezzi e volontà per fare ciò che vuole per accontentare i suoi dipendenti più prestigiosi e meritevoli di stima, come il pestazolle di genio Kakà?
Qui, comunque, il rapporto s'è rotto per sempre. Il pianeta Milan, inteso come galassia dei tifosi, non si fida più. E per questo Kakà, fatta la splendida figura di rifiutare il Manchester City, a giugno saluterà sul serio e prenderà la strada di Madrid. Abituiamoci all'idea.
di PAOLO PAGANI
E dunque, in attesa di sapere: A) se Kakà se ne andrà davvero oppure se è stata ed è una bufala; B) se il Real Madrid subentrerà all'improbabile esilio di Kakà presso la seconda (e ultima) squadra di Manchester, ipotesi certamente più plausibile di quella del blitz delle truppe cammellate; C) che cosa diavolo verrà finalmente a raccontarci, con tutto il suo carico di catechismi e coordinate bancarie, Don Bosco Leite, il babbo di Kakà, lunedì proviamo ancora a mettere insieme due pensieri sulla telenevola che sta cambiando: A) il calcio in generale; B) il Milan, senza dubbio; C) il rapporto tra quest'ultimo e i suoi tifosi per interposto Silvio Berlusconi, se è vero che persino un gentleman come Ferruccio De Bortoli, il direttore del Sole 24 Ore, ovvero la Bibbia salmonata della finanzia italiana (un pulsante cuore rossonero, FdB, sotto la grisaglia impeccabile) sabato se n'è uscito, ukase consegnato alla Gazzetta dello Sport, con un meraviglioso: "Scenderei in piazza se cedessero Kakà".
Scommettiamo che Kakà, come osserva saggiamente quest'oggi il David di Milanello, al secolo David Beckham ("Credo che alla fine lui non se ne andrà perché ama il Milan e la sua vita qui in Italia... Loro adesso hanno una nuova proprietà e tanti soldi, è vero, ma per me a Manchester c'è solo una squadra, lo United..."), alla fin fine non si muove da dov'è? Se il parere di Kakà è decisivo, lui dirà no. E se ne andrà dal Milan a fine stagione, perché il Real è una cosa, il City del Mansour non è una cosa seria. Cos'è: Kakà ha forse scritto "Giocondo" sulla t-Shirt? Non scherziamo.
Don Bosco Leite, il religioso papà senza cui voglia non si muove foglia, abbozzerrà. Anzi: perché non pensare che una famiglia religiosamente impostata, attenta alle ragioni del cuore, non valuti che quelle del portafoglio sono già abbondantemente accontentate dai 9 milioni di euro netti che il Ragazzo d'Oro percepisce dal Cav Dott Berlusconi? E perché non provare a pensare che, essendo così forte il senso d'appartenenza cristiano del boy e dei suoi cari, la prospettiva di risultare poco credibile agli occhi di milioni di fedeli qualora lui entrasse a libro paga di un datore di lavoro musulmano potrebbe nuocere all'immagine e alla "pulizia" interiore, mistica quasi, di Kakà medesimo?
Di diversa pasta, e l'hanno già scritto più o meno tutti, la faccenda titolabile "la figuraccia del Milan". Che, dopo 22 anni di Berlusconismo Imperiale, ora vende eccome, se appena può, anziché comprare a man bassa (Donadoni, Lentini, Nesta, eccetera eccetera). Il Milan non è, non può essere più lui. Con la scusa dei soldi, la società si è messa, fatte le debite proprzioni, sul piano di un Siena o di un Chievo qualunque. Ma come? La frase "Un'offerta che non si può rifiutare" suona bene tutt'al più ne Il Padrino, mica a Villa Certosa (residenza sarda del Premier, da dove ha parlato sabato). Chi può credere che Silvio Berlusconi, l'uomo che più spande ottimismo in piena crisi, non abbia mezzi e volontà per fare ciò che vuole per accontentare i suoi dipendenti più prestigiosi e meritevoli di stima, come il pestazolle di genio Kakà?
Qui, comunque, il rapporto s'è rotto per sempre. Il pianeta Milan, inteso come galassia dei tifosi, non si fida più. E per questo Kakà, fatta la splendida figura di rifiutare il Manchester City, a giugno saluterà sul serio e prenderà la strada di Madrid. Abituiamoci all'idea.