Saranno fumosi. Neymar, fenomeno vero o nuovo Denilson?
CalciomercatoIl campione brasiliano che giocherà nel Barcellona divide la critica: riuscirà a replicare i suoi numeri anche in Europa? Prima di lui qualche conferma (Ronaldinho) e un fallimento clamoroso, quello di Denilson. Che però fu citato in un film...
di Vanni Spinella
La scena è questa: un gruppo di ragazzini che gioca in un giardinetto di città, la palla che finisce in strada, proprio tra i piedi del signor Giovanni, mentre sta salendo in auto. Tentazione irresistibile per qualsiasi italiano medio: Giovanni prende la palla, simula un paso doble sul posto, fa un paio di finte, calcia. Senza rendersi conto che mentre lui sogna di essere un funambolo brasiliano gli stanno rubando l’auto sotto il naso. Beffa finale, il ladro sgomma via salutandolo anche con un “Ciao Denilson!”.
Guarda il video di Giovanni-Denilson dal minuto 2:50
La citazione nella scena di “Così è la vita”, film di Aldo, Giovanni e Giacomo del 1998, è quasi inevitabile verso la fine degli anni Novanta. In quel periodo Denilson (de Oliveira Araujo) è il calciatore più famoso del mondo senza aver fatto niente di speciale. A parte migliaia di dribbling, finte da mal di testa, doppi passi infiniti. Tutti in Brasile, però, dove pare sia più semplice.
Fisico da asparago e faccia da teppa che ne ha appena combinata una delle sue, Denilson gioca nel San Paolo ed è un talento immenso su cui piovono offerte da Italia (Lazio), Spagna e Olanda. Ancelotti si sbilancia: “Mi ricorda Rivelino”. “Chi lo compra, si sistema per un decennio”, ribatte Zico.
A sorpresa, ad assicurarselo è il Betis Siviglia, che nel 1998 batte ogni record per l’epoca: 60 miliardi di lire al San Paolo (giusto per fare un confronto: l’Inter ne aveva versati 48 al Barcellona per Ronaldo), 12 (dodici!) anni di contratto, clausola rescissoria che è un invito a chiunque a stare alla larga, fissata a 750 miliardi.
Il Betis, convinto di aver acquistato il Fenomeno del futuro, resta affumicato. Denilson in Spagna non è più quello del Brasile: 35 presenze e appena 2 gol il primo anno, 32 gare e 3 reti nella seconda stagione, quella in cui il Betis addirittura retrocede. È la fine calcistica di un talento sprecato, oggi diventato emblema del brasiliano tutto fumo e niente arrosto che si squaglia dinanzi alle difese europee. Profeta in patria e bidone all’estero.
Lo stesso rischio che oggi corre Neymar (che giocherà al Barça), per il quale si è già mosso lo stesso comitato d’accoglienza che si ripresenta ogni volta che un brasiliano tecnicamente superiore alla media sbarca dalle nostre parti: “le difese europee non sono come quelle sudamericane”, “saper palleggiare non vuol dire saper giocare a calcio”, più altre frasi fatte che di solito contengono le parole “tatticamente” e “caviglie”.
Neymar stia tranquillo. In quel ruolo, dopo Denilson, sono approdati in Europa anche Ronaldinho (che arriva come quello che sa fare l’elastico e vincerà Pallone d’oro e Champions) e Robinho (tutto sommato promosso anche da noi, considerando che veniva descritto come la cosa che più si avvicinava a Pelè dal 1970 ad oggi).
Se poi dovesse andare male ci si può sempre consolare pensando che Denilson, comunque, è entrato nel mito, in un immaginario collettivo riservato a pochissimi. Come Ciriaco Sforza, anche lui citato in un altro celebre film, con Aldo Baglio che ne usava la maglia come pigiama “perché quella di Ronaldo era finita”. Battuta ormai storica. Forse, alla fin fine, hanno vinto loro.
La scena è questa: un gruppo di ragazzini che gioca in un giardinetto di città, la palla che finisce in strada, proprio tra i piedi del signor Giovanni, mentre sta salendo in auto. Tentazione irresistibile per qualsiasi italiano medio: Giovanni prende la palla, simula un paso doble sul posto, fa un paio di finte, calcia. Senza rendersi conto che mentre lui sogna di essere un funambolo brasiliano gli stanno rubando l’auto sotto il naso. Beffa finale, il ladro sgomma via salutandolo anche con un “Ciao Denilson!”.
Guarda il video di Giovanni-Denilson dal minuto 2:50
La citazione nella scena di “Così è la vita”, film di Aldo, Giovanni e Giacomo del 1998, è quasi inevitabile verso la fine degli anni Novanta. In quel periodo Denilson (de Oliveira Araujo) è il calciatore più famoso del mondo senza aver fatto niente di speciale. A parte migliaia di dribbling, finte da mal di testa, doppi passi infiniti. Tutti in Brasile, però, dove pare sia più semplice.
Fisico da asparago e faccia da teppa che ne ha appena combinata una delle sue, Denilson gioca nel San Paolo ed è un talento immenso su cui piovono offerte da Italia (Lazio), Spagna e Olanda. Ancelotti si sbilancia: “Mi ricorda Rivelino”. “Chi lo compra, si sistema per un decennio”, ribatte Zico.
A sorpresa, ad assicurarselo è il Betis Siviglia, che nel 1998 batte ogni record per l’epoca: 60 miliardi di lire al San Paolo (giusto per fare un confronto: l’Inter ne aveva versati 48 al Barcellona per Ronaldo), 12 (dodici!) anni di contratto, clausola rescissoria che è un invito a chiunque a stare alla larga, fissata a 750 miliardi.
Il Betis, convinto di aver acquistato il Fenomeno del futuro, resta affumicato. Denilson in Spagna non è più quello del Brasile: 35 presenze e appena 2 gol il primo anno, 32 gare e 3 reti nella seconda stagione, quella in cui il Betis addirittura retrocede. È la fine calcistica di un talento sprecato, oggi diventato emblema del brasiliano tutto fumo e niente arrosto che si squaglia dinanzi alle difese europee. Profeta in patria e bidone all’estero.
Lo stesso rischio che oggi corre Neymar (che giocherà al Barça), per il quale si è già mosso lo stesso comitato d’accoglienza che si ripresenta ogni volta che un brasiliano tecnicamente superiore alla media sbarca dalle nostre parti: “le difese europee non sono come quelle sudamericane”, “saper palleggiare non vuol dire saper giocare a calcio”, più altre frasi fatte che di solito contengono le parole “tatticamente” e “caviglie”.
Neymar stia tranquillo. In quel ruolo, dopo Denilson, sono approdati in Europa anche Ronaldinho (che arriva come quello che sa fare l’elastico e vincerà Pallone d’oro e Champions) e Robinho (tutto sommato promosso anche da noi, considerando che veniva descritto come la cosa che più si avvicinava a Pelè dal 1970 ad oggi).
Se poi dovesse andare male ci si può sempre consolare pensando che Denilson, comunque, è entrato nel mito, in un immaginario collettivo riservato a pochissimi. Come Ciriaco Sforza, anche lui citato in un altro celebre film, con Aldo Baglio che ne usava la maglia come pigiama “perché quella di Ronaldo era finita”. Battuta ormai storica. Forse, alla fin fine, hanno vinto loro.