Mercato story: Nakata, 30 miliardi ripagati con un gol
CalciomercatoAMARCORD. Gennaio 2000: la Roma prende il giapponese dal Perugia per una cifra altissima. Costretto alla tribuna dalla norma sugli extracomunitari, è il simbolo dello spreco di denaro. Poi la regola cambia e lui decide lo scontro-scudetto con la Juve
Nuovo appuntamento con "Mercato story", la rubrica con cui ripercorriamo la storia delle sessioni invernali del calciomercato, ricordando trattative particolari, aneddoti o personaggi che hanno segnato il mercato di gennaio.
di Vanni Spinella
I trenta miliardi di lire che nel gennaio del 2000 la Roma versò al Perugia di Gaucci per assicurarsi Hidetoshi Nakata, sul momento, non avranno avuto molto senso per parecchia gente. Certo, c’era tutto il lato commerciale della faccenda da considerare (il giapponese si trascinava dietro orde di connazionali a ogni passo che muoveva), ma sul piano tecnico che significato poteva avere? I tifosi della Roma lo capiranno circa 16 mesi dopo, quando quei 30 miliardi si riveleranno noccioline a fronte della conquista di uno scudetto. Non senza qualche polemica…
Ma torniamo al gennaio 2000, quando Sensi dà l’ok all’operazione, mettendo sul piatto anche il cartellino di Alenichev. Nakata non è più una scommessa, reduce da una prima stagione in A in cui si rivela tranquillamente all’altezza del nostro calcio, alla faccia dei tanti scettici che vedevano in lui la classica operazione di marketing alla Gaucci. Dieci gol il primo anno (e Perugia condotto alla salvezza), altri 2 nella mezza stagione che segue, finché non arriva la Roma. In giallorosso è chiuso, chiusissimo, visto che la posizione che predilige è quella dietro le punte, giusto dove in quegli anni si ergeva il monumento di Totti. Difficile far cadere il capitano, più semplice accomodarsi in panchina o ancor più frequentemente in tribuna, visto che esiste un tetto di 3 extracomunitari convocabili per ogni gara e il trio Cafù-Samuel-Batistuta appare intoccabile. Nakata diventa il simbolo vivente dello sperpero di denaro. Trenta miliardi per un giocatore che può vedere il campo solo a seguito di particolari combinazioni astrali (tipo contro l’Udinese: Totti squalificato e Samuel infortunato).
Con la proverbiale pazienza orientale, Nakata accetta tutto, sapendo che il suo momento arriverà. Accade il 6 maggio 2001, durante lo scontro diretto con la Juventus che tallona la Roma in classifica e che vincendo può dimezzare lo svantaggio, portandosi a -3 e rilanciandosi in vista del gran finale. Un’occasione d’oro che i bianconeri di Ancelotti non possono farsi sfuggire: a Torino scendono in campo più carichi che mai, dopo 6’ sono già 2-0 (Del Piero, Zidane). Lotta scudetto riaperta. Nakata in panchina (e Totti in campo), ma fino a due giorni prima, probabilmente, non sarebbe stato neanche lì. Il 4 maggio 2001, infatti, la Figc ha cambiato la norma che regola l’utilizzo dei giocatori extracomunitari, cancellando il tetto dei 3 tra campo e panchina. A beneficiarne è soprattutto la Roma, che rafforza la panchina con due rincalzi di lusso: Nakata, appunto, e il suo fin lì compagno di sventura Assunçao.
Facile immaginare la pioggia di polemiche, che diventa tempesta nel momento in cui proprio Nakata (certo che quando il destino si vuole divertire…) diventa protagonista della sfida più delicata. Entra al 60° al posto di Totti e all’80° fa 2-1 con una fiondata dalla distanza. Al 90°, poi, calcia di nuovo in porta, van der Sar respinge male (contribuendo ad alimentare le voci sulla sua presunta miopia) e Montella si avventa facendo 2-2. Distacco immutato in classifica, assalto bianconero respinto e scudetto che finirà sulle maglie della Roma. Anche su quella di Nakata, costata 30 miliardi di lire un anno e mezzo prima e quasi mai usata.
di Vanni Spinella
I trenta miliardi di lire che nel gennaio del 2000 la Roma versò al Perugia di Gaucci per assicurarsi Hidetoshi Nakata, sul momento, non avranno avuto molto senso per parecchia gente. Certo, c’era tutto il lato commerciale della faccenda da considerare (il giapponese si trascinava dietro orde di connazionali a ogni passo che muoveva), ma sul piano tecnico che significato poteva avere? I tifosi della Roma lo capiranno circa 16 mesi dopo, quando quei 30 miliardi si riveleranno noccioline a fronte della conquista di uno scudetto. Non senza qualche polemica…
Ma torniamo al gennaio 2000, quando Sensi dà l’ok all’operazione, mettendo sul piatto anche il cartellino di Alenichev. Nakata non è più una scommessa, reduce da una prima stagione in A in cui si rivela tranquillamente all’altezza del nostro calcio, alla faccia dei tanti scettici che vedevano in lui la classica operazione di marketing alla Gaucci. Dieci gol il primo anno (e Perugia condotto alla salvezza), altri 2 nella mezza stagione che segue, finché non arriva la Roma. In giallorosso è chiuso, chiusissimo, visto che la posizione che predilige è quella dietro le punte, giusto dove in quegli anni si ergeva il monumento di Totti. Difficile far cadere il capitano, più semplice accomodarsi in panchina o ancor più frequentemente in tribuna, visto che esiste un tetto di 3 extracomunitari convocabili per ogni gara e il trio Cafù-Samuel-Batistuta appare intoccabile. Nakata diventa il simbolo vivente dello sperpero di denaro. Trenta miliardi per un giocatore che può vedere il campo solo a seguito di particolari combinazioni astrali (tipo contro l’Udinese: Totti squalificato e Samuel infortunato).
Con la proverbiale pazienza orientale, Nakata accetta tutto, sapendo che il suo momento arriverà. Accade il 6 maggio 2001, durante lo scontro diretto con la Juventus che tallona la Roma in classifica e che vincendo può dimezzare lo svantaggio, portandosi a -3 e rilanciandosi in vista del gran finale. Un’occasione d’oro che i bianconeri di Ancelotti non possono farsi sfuggire: a Torino scendono in campo più carichi che mai, dopo 6’ sono già 2-0 (Del Piero, Zidane). Lotta scudetto riaperta. Nakata in panchina (e Totti in campo), ma fino a due giorni prima, probabilmente, non sarebbe stato neanche lì. Il 4 maggio 2001, infatti, la Figc ha cambiato la norma che regola l’utilizzo dei giocatori extracomunitari, cancellando il tetto dei 3 tra campo e panchina. A beneficiarne è soprattutto la Roma, che rafforza la panchina con due rincalzi di lusso: Nakata, appunto, e il suo fin lì compagno di sventura Assunçao.
Facile immaginare la pioggia di polemiche, che diventa tempesta nel momento in cui proprio Nakata (certo che quando il destino si vuole divertire…) diventa protagonista della sfida più delicata. Entra al 60° al posto di Totti e all’80° fa 2-1 con una fiondata dalla distanza. Al 90°, poi, calcia di nuovo in porta, van der Sar respinge male (contribuendo ad alimentare le voci sulla sua presunta miopia) e Montella si avventa facendo 2-2. Distacco immutato in classifica, assalto bianconero respinto e scudetto che finirà sulle maglie della Roma. Anche su quella di Nakata, costata 30 miliardi di lire un anno e mezzo prima e quasi mai usata.