Il 26 giugno del 2013 l’argentino cominciava la sua avventura in bianconero. Il primo giorno, tra l’aeroporto di Malpensa e Torino, è stato un continuo bagno di folla. Culminato con la consegna della maglia che era stata di Alex Del Piero
Un inizio da star. L’arrivo in Italia e subito il bagno di folla all’aeroporto. I primi cori da parte dei tifosi. Selfie e autografi con la sciarpa bianconera al collo. E poi la consegna della maglia, in sede: quella numero 10 che era stata di Alex Del Piero e che da quel momento, e per le successive due stagioni, sarà sua. Cronaca di un autentico colpaccio di mercato. È il 26 giugno del 2013. Carlos Tevez è un nuovo giocatore della Juventus.
Il top player
Pur di averlo, Antonio Conte si era impuntato. Lo aveva seguito, studiato nei dettagli e preteso ad ogni costo. Era lui la prima scelta e lui doveva essere. Perché era convinto che avesse il profilo giusto per mettersi sulle spalle l’intero attacco della Juventus. Uno come lui assicurava qualità e quantità. Gol, personalità e quella cattiveria che, si sa, ad uno sanguigno come Mister Antonio, come lo chiamano oggi, piace sempre. Insomma, per dirla con il presidente, Andrea Agnelli, Tevez era un top player. Era quello che i bianconeri stavano cercando. E che, giusto quattro anni fa, è arrivato dopo aver salutato, senza rimpianti, il Manchester City. Costo dell’affare: 12 milioni di euro, inclusi tre di bonus. All’argentino, un ingaggio di 5,5 milioni a stagione e un contratto di tre anni. In più la società, consegnandogli la 10 di Del Piero, aveva deciso di farlo diventare uomo-simbolo. E per uno come lui, a cui piace sentirsi importante e responsabilizzato, non è poco.
«L’attacco va rivoluzionato»
Il trasferimento dell’Apache alla Juve è stato tutto sommato veloce, ma non scontato. Le cose sono andate così. Alla fine del campionato 2012-13, che aveva portato ai bianconeri il secondo scudetto di fila, Antonio Conte era stato categorico con dirigenza e proprietà: «L’attacco va rivoluzionato». La Juve, che puntava diventare grande in Europa, oltre che a confermarsi in Italia, cercava gente grossa, di spessore. Ed è così che si arriva a fare il nome di Carlos Tevez, oltre a quello, riferiscono i giornali di allora, di Stevan Jovetic, anche lui del City, e Gonzalo Higuain, in quel momento al Real ma in procinto di trasferirsi altrove, ovvero al Napoli.
Sei mesi di telenovela
Tevez in quel 2013 aveva l’Italia e la Serie A nel destino. L’Apache in Inghilterra non voleva più rimanere. Dopo sette stagioni aveva voglia di rimettersi in gioco e provare una nuova esperienza. Al City non era la prima scelta e viveva ai margini del gruppo. Roberto Mancini, noto nemico dell’Apache, con cui si è spesso scontrato, e allenatore dei Citizens, durante i primi giorni della finestra di mercato invernale disse: «Spero che Tevez possa chiudere con una squadra in questa settimana. Non gioca da 3 mesi, è giusto che torni a farlo». La telenovela dell’addio dell’argentino al City, però, è andata avanti per tanto tempo. È cominciata a gennaio ed è terminata quasi a fine giugno.
A caccia di Carlitos
Sei mesi di voci, rilanci, abboccamenti e tentativi. A farsi sotto per primo, è il Milan. Adriano Galliani, che ha sempre nutrito un viscerale amore per Tevez, a inizio anno vola a Rio per intavolare la trattativa. Ne parla con il giocatore in persona. Tra loro sorrisi, un buon pranzo, vino bianco per brindare all’incontro e la promessa di rincontrarsi nella sede del Milan per consegnargli la maglia rossonera davanti a scatti e telecamere. Di quel summit di mercato rimane la foto, consegnata ad agenzie e giornali, tra Galliani, Tevez e il suo procuratore Kia Joorabchian. «Abbiamo molta fiducia nel felice esito della trattativa tra Milan e Manchester City», dice l’agente. Intanto l’Inter non sta a guardare e prova ad inserirsi. Si profila un derby milanese per l’Apache. Solo che poi i giorni passano, il mercato chiude e Tevez resta al City da separato in casa. Tutto saltato perché, rivelerà poi l’attaccante al quotidiano la Stampa, «Galliani non aveva i soldi per convincere il City». Una vicenda che ha tormentato i sonni dell’ex ad rossonero per tanto tempo: «Tevez è assolutamente il mio più grande rimpianto».
Bianconero
E se Milan e Inter hanno tentennato in inverno, la Juve aspetta l'estate e affonda il colpo. Il primo sondaggio per l’Apache Beppe Marotta e Fabio Paratici lo fanno nel mese di maggio, come scrive il giornalista di Sky Sport esperto di mercato, Gianluca Di Marzio, sul suo sito web. Poi, a giugno, dopo quasi un mese e mezzo di corteggiamento, la dirigenza bianconera accelera e chiude. Marotta e Paratici partono per l’Inghilterra e tornano a Torino con il sì del giocatore. L’Apache è bianconero.
Tevez-Day
Carlitos comincia la sua nuova avventura juventina nel primo pomeriggio del 26 giugno di quattro anni fa. L’aereo con l’Apache a bordo atterra all’aeroporto Malpensa alle 15.18. Nella sala d’attesa ci sono tanti tifosi bianconeri con sciarpe e striscioni. Tutti lì per il fuoriclasse nato a Fuerte Apache. Che appena compare da dietro le porte, maglia grigia, immancabili orecchini e faccia un po’ stanca e moderatamente sorridente, è subito travolto dall’entusiasmo. La Juve e gli juventini hanno il loro top-player.
Bagno di folla
Il Tevez-day, dalla Malpensa si sposta a Torino, dove ad attendere il calciatore c’è lo stato maggiore bianconero, con in testa il presidente Agnelli. L’Apache passa velocemente in un albergo del centro città dove alloggia, incontra il procuratore per un breve colloquio e poi via. Nuova tappa, Corso Galileo Ferraris, sede della Juventus, dove trova un gruppo di oltre 200 tifosi che lo incita fin sull’uscio del portone d'ingresso. Anche la solitamente calma e morigerata Torino è impazzita per l’Apache.
Il giorno del 10
Nella sede bianconera, Tevez prende i primi contatti con il mondo-Juve. Strette di mani, presentazioni, pacche sulle spalle. Per strada, intanto, i fan continuano ad arrivare per salutarlo. La folla cresce col passare dei minuti grazie al passaparola e al tam tam sui social. Si canta e si battono le mani in una calura quasi insopportabile. Sudore, sorrisi e fuori la voce. Il coro è sempre lo stesso: "Carlitos Tevez lalalalalala Carlitos Tevez". E ancora: "Siamo noi i campioni dell'Italia siamo noi". Poi, il momento tanto atteso, quello per cui è valso la pena aspettare e rimandare l'aperitivo. Alle 19.07, riportano i giornali di allora, si apre la finestra della sede juventina che affaccia su corso Galileo Ferraris. Un momento dopo compare l’Apache: capelli pettinati di tutto punto, jeans, camicia celeste portata fuori dai pantaloni e giacca color sabbia con tanto di pochette intonata. Carlos ha con sè pure la sua nuova maglia. Con il numero che gli è stato assegnato: il 10. La sventola. La mostra orgoglioso e felice al pubblico che è lì, sotto di lui. Ed è subito ovazione.
Nel segno di Alex
Erano stati tanti quelli che, saputa la notizia del suo attivo alla Juve, avevano sperato di vedere Tevez con il 10. E così è stato. Con l’Apache i tifosi bianconeri avevano un’altra volta un 10 da osannare, dopo una stagione in cui la prestigiosa maglia era rimasta negli armadietti di Vinovo senza un proprietario. Carlos non era l’erede di Del Piero: Alex non ne ha. Ma uno degno (eccome) di indossarne il numero. D’altra parte Tevez non ha mai temuto le maglie pesanti. «Avere il 10 che è stato di Del Piero è per me un grande onore, è una bella responsabilità che ho già conosciuto al Boca Juniors, indossando la maglia di Maradona», ha dichiarato. Chiaro il messaggio, no?
Tutti stregati
Dopo l'entusiasmo della presentazione, Tevez ha poi impiegato poco tempo per stregare non solo i tifosi ma anche i vertici bianconeri. Segno che l'investimento era stato giusto e mirato. Nedved: «Che fenomeno, Carlos. È un trascinatore. Ha una grinta che ricorda me e Conte». Ma ad esser più contento di tutti per l’arrivo dell’Apache è proprio Conte, che qualche mese dopo l'arrivo dell'Apache a Torino dirà: «Ok il turn over. Ma è difficile rinunciare ad uno come lui». E questo perché Carlitos, arrivato con la fama di giocatore dal carattere difficile, si è dimostrato correttissimo e sempre ligio. Non è mai stato protagonista di uno screzio e non ha mai ricevuto un provvedimento disciplinare nei suoi due campionati alla Juve. Il Tevez bianconero era un giocatore maturo e consapevole di esserlo diventato.
Alto rendimento
Nella sua prima stagione a Torino Tevez firma 21 gol in 48 partite tra campionato e coppe e mette in bacheca lo scudetto e la Supercoppa italiana. Rendimento che migliora nel 2014-15, con Max Allegri in panchina. Segna 29 reti in 48 gare e vince scudetto e Coppa Italia. Una stagione da protagonista indiscusso. In campionato è stato un vero leader. Ma dove il suo apporto si è fatto sentire di più è stato in Champions. Se la Juve ha raggiunto la finale nel giugno 2015, è stato soprattutto grazie a lui, sempre in gol dagli ottavi in avanti. Poi c’è stata la partita di Berlino e la sonora sconfitta contro il Barcellona, che ha alzato la coppa al cielo. Una delusione. Cocente. Proprio nel giorno della sua ultima in maglia bianconera.