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Gheddafi, il colpo pazzo per il Perugia di Gaucci

Calciomercato

Gianluca Maggiacomo

Saadi Gheddafi il 29 giugno 2003, giorno del suo arrivo al Perugia (Ansa)

Esattamente 14 anni fa il presidente umbro acquistò il figlio dell’allora dittatore libico. Fu un’operazione commerciale. Rimase per due stagioni, giocando solo una scampoli di partita con la Juve. Ora è in carcere a Tripoli e rischia la pena di morte

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Un Gheddafi alla corte di Gaucci. Era il 29 giugno del 2003, giusto 14 anni fa, e Saadi, figlio del Colonnello, diventava un giocatore del Perugia. Il primo libico a metter piede in Serie A. Tutti a bocca aperta. L’arrivo nel nostro campionato del terzogenito del dittatore di Tripoli era realtà. La più pazza operazione nella storia del calciomercato era andata in porto. A metterla a segno, Luciano Gaucci. E chi sennò? Lo stesso che poi proverà, senza riuscirci, a portare a Perugia una calciatrice da mettere in rosa. Quello che ingaggerà Carolina Morace alla Viterbese, prima donna su una panchina di una società maschile. Il presidente che metterà fuori rosa Roberto Baronio solo perché indossava la maglia numero 13 che, a detta del patron, portava sfiga. Quello dei giocatori in ritiro forzato e quello che, negli anni Novanta, dopo aver esonerato l’ennesimo allenatore, con il Perugia in B, durante una gara contro l’Udinese andrà lui stesso in panchina ad impartire ordini alla squadra. Insomma, l’istrionico. L’irregolare. Il bizzarro. Quello che in oltre 10 anni nel mondo del calcio non ha mai lasciato a bocca asciutta i cercatori di personaggi e di situazioni da raccontare proprio perché sfuggivano ai canoni. E a quest’ultima categoria appartiene pure l’acquisto di Gheddafi Jr. Gaucci ne aveva combinata una delle sue. E per renderla pubblica non ha lesinato a spese, con una cerimonia di presentazione faraonica organizzata nel castello di famiglia a Torre Alfina, in provincia di Viterbo. Un party di benvenuto sfarzoso. Flash, telecamere e tanta curiosità.

 

Acquisto storico

Su una cosa, di sicuro, Guacci non aveva torto, in quell’estate del 2003: “Con questa operazione entreremo nella storia del calcio”. Infatti non è da tutti e non accade tutti i giorni di ingaggiare e tesserare per la Serie A il figlio di un capo di  Stato. E pazienza se Saadi non avesse i requisiti tecnici, tattici ed atletici per misurarsi con il nostro calcio. Questi, a ben guardare, sono dettagli.

 

L'ok di papà Muhammar

La storia dell’ingaggio di Gheddafi pare sia cominciata con una domanda: “Presidente, pensa che potrò mai giocare in Serie A, magari nel suo Perugia?”. Risposta: “Ne sono straconvinto”. A riferirlo è il quotidiano La Repubblica nel giugno di 14 anni fa. Immaginiamo la scena: da una parte c’è Gaucci, dall’altra Gheddafi Jr. Quella domanda, magari posta per scherzo, fa accendere la lampadina nella testa del numero uno del Perugia, a cui le cose sui generis sono sempre piaciute. E così Lucianone passa dalle parole ai fatti. Tre settimane di trattative per avere l’ok di Gheddafi padre e poi ufficialità e presentazione. Tutto semplice, anche perché non c'era concorrenza da battere.

 

Affari e pallone

L’acquisto di Gheddafi Jr, ovviamente, è un’operazione commerciale e, soprattutto, economica. Una manovra di immagine, ammetterà più tardi Gaucci. Non solo. E' un ingaggio volto anche a «migliorare i rapporti nel Mediterraneo», dice il patron vestendosi da appassionato di relazioni internazionali. In realtà, scrive il giornalista Giacomo Giubiliani nel libro 91° minuto (Minimum Fax edizioni, 2016), Gaucci prende il figlio del Colonnello con un solo obiettivo: «scucirgli qualche soldo», visto che i capitali non gli mancano. Quando sbarca a Perugia nelle vesti di giocatore, Saadi era già proprietario dell’azienda petrolifera Tamoil, deteneva il 7 per cento della Juventus e il 33 della Triestina, che nel 2003 militava in Serie B. Per il rampollo libico, affari e calcio viaggiano a braccetto. Il pallone, oltre che un business è un hobby vissuto e praticato con grande passione. Gheddafi Jr è il deus ex machina del calcio libico. E' il numero uno della Federazione e, contemporaneamente, calciatore. Inizia la sua carriera agonistica con il Al-Ahly Tripoli, poi nel Al-Ittihad Tripoli. Ma più che i club, da patriota qual è per educazione e formazione,quel che veramente gli importa è la nazionale, in cui, ovviamente, è capitano e attaccante inamovibile. Lui gioca sempre. È un diktat. E nessuno può mettere in discussione la sua centralità nella squadra. Pare che l’unico che abbia provato a farlo sedere in panca sia stato Franco Scoglio, nel 2002. E, casualmente, dopo pochi mesi, il Professore si dimetterà: «Non amo subire i ricatti di nessuno», dirà il giorno in cui è andato via.

 

Mega accoglienza a Torre Alfina

Malgrado la sua tecnica sia pari a quella di un amatore della terza categoria italiana, Saadi arriva a Perugia. È il 29 giugno del 2003 quando il figlio del Colonnello Gheddafi mette ufficialmente piede in Serie A. Ad attenderlo, gli onori che, di solito, si riservano a un big. Anzi, di più. La cerimonia di benvenuto nel nostro campionato è un vero e proprio evento. Gaucci ci tiene a fare bella figura. Cerca di curare ogni particolare. A Torre Alfina, nel castello del 1200, nulla è lasciato al caso. All’esterno, il perimetro della mega abitazione è ricoperto di divieti di sosta per tutta la giornata. Gli invitati alla cerimonia per la presentazione di Gheddafi Jr sono 500. Tra loro, il sindaco di Perugia, il questore e il prefetto del capoluogo umbro e l’ambasciatore della Libia presso la Santa Sede. C’è pure Franco Sensi, presidente della Roma e intimo amico di Gaucci. All’una, 80 invitati selezionatissimi, prenderanno parte ad un pranzo con il nuovo acquisto dei Grifoni. Per gli altri 420, invece, è a disposizione un buffet freddo nei giardini del castello. A vigilare su tutto, 50 tra poliziotti e carabinieri, che controlleranno tutti gli invitati, inclusi fotografi e giornalisti, sia all’ingresso che all’uscita. In più, Saadi, si presenta con 30 guardie del corpo personali che provvedono alla sua sicurezza. Il figlio del Colonnello arriva in mattinata con un volo privato dalla Sardegna. Camicia scura, solita barbetta incolta e rada ed occhiali alla moda (di allora). Una volta in villa, riceve dalle mani del gaudente Gaucci, la maglia del Perugia con il numero 19. Il contratto che firma è di un anno. Le sue prime parole da neo-perugino: «Mi piace giocare in attacco, dietro le punte».

 

Poco campo e nandrolone

Dopo la presentazione, di Gheddafi si perdono le tracce. Per un po' di lui si parla, ma come un fenomeno da baraccone. Uno che va in ritiro con le guardi del corpo e che di tanto in tanto fa regali sfarzosi ed inaspettati alla squadra. Il campo? Lo vede col binocolo dalla tribuna. Malgrado ciò, gode della stima del presidente. Per Gaucci è un esempio di dedizione al duro lavoro di calciatore. Molto meglio lui dei suoi compagni, secondo Lucianone: «Questi quando vedono i soldi perdono la testa. Prendano esempio da Gheddafi […] un uomo eccezionale per i sacrifici che fa, malgrado una statistica lo collochi fra i cinque uomini più ricchi del mondo. Eppure si sacrifica e lavora come un matto. Lo facessero gli altri che vogliono diventare signori, quando lui signore già è». Saadi conquista le pagine dei giornali a novembre, quando il suo primo campionato in Serie A è cominciato da poche settimane. Dopo Perugia-Reggina del 5 ottobre 2003, il figlio del Colonnello viene trovato positivo all’anti-doping: nandrolone. Dopato senza mai giocare. Verrà squalificato per tre mesi. Ma in quella stagione Saadi si prende la sua piccola soddisfazione, esordendo in A il 2 maggio nella gara al Curi contro la Juve, sua squadra del cuore e società di cui è azionista.

 

Perugia-Udine-Genova

Finita qui? Macchè. La passione di Saadi per il pallone è forte e continua a provarci. Nella stagione 2004-05 resta a Perugia, in Serie B, senza mai scendere in campo. Poi va all’Udinese, di nuovo in A, con Serse Cosmi, dove gioca contro il Cagliari per 13 minuti. In Friuli, più che per gol ed assist, Gheddafi Jr si distingue per le sue scorribande fuori dal rettangolo di gioco e per la vita non  proprio da atleta. Saadi vive in un lussuoso albergo in periferia con il resto della sua corte di circa quindici persone, a cui si aggiunge la sua fedelissima dobermann Dina. Costo giornaliero: circa 30mila euro. A tavola, da buon principe, solo il meglio: cibi di prima scelta, vino Sassicaia e champagne. Il portiere dell'hotel ha raccontato che Saadi aveva sempre un aereo personale pronto a decollare da Ronchi dei Legionari per portarlo, assime ad alcuni compagni di squadra, al Crazy Horse, noto locale di spogliarelli a Parigi. E quando non usciva di stanza, sapeva bene come passare il tempo, tra bagordi, lusso e bunga bunga, sempre a detta del personale dell'albergo. Nel 2006-07, poi, grazie ai buoni rapporti tra la sua Tamoil e la Erg della famiglia Garrone, sbarca alla Sampdoria, dove, ovviamente, non viene mai schierato.

 

Dal campo al carcere

Chiusa la parentesi calcistica, a 34 anni, Saadi tornerà in Libia, dove continua ad occuparsi degli affari di famiglia. Riprende a fare l’ingegnere a tempo pieno. Si occupa di petrolio e di cinema. La sua parabola, così come quella del padre e della dinastia Gheddafi, si conclude nel 2011 con le Primavere arabe. I ribelli spazzano via il regime del Rais di Tripoli e Saadi è costretto alla fuga. Nell’agosto del 2011 viene diffusa la notizia, poi rivelatasi falsa, della sua cattura. Pochi mesi dopo, invece, si viene a sapere che l’ex calciatore di Perugia, Udinese e Sampdoria si trova in Niger. Il 29 settembre 2012 l’Interpol si mette sulle sue tracce. L’accusa: appropriazione indebita con l'uso della forza e intimidazione armata quando guidava la Federcalcio libica. Il 6 marzo 2014 è stato estradato in Libia. Pochi mesi dopo, nel maggio del 2015, va a processo con l'accusa di omicidio per aver ucciso nel 2006 il calciatore libico Bashir al-Riani. Oggi Saadi vive in un carcere di Tripoli. L’ultima volta che giornali e tv hanno parlato di lui è stato circa due anni fa, quando è stato diffuso un video in cui l’ex calciatore viene torturato. Nel filmato si vede il suo aguzzino che lo picchia sulla pianta dei piedi perché, pare, avesse osato guardare una partita di calcio in tv. Per le accuse a lui mosse, rischia la pena di morte. I fasti del suo arrivo in Serie A, il 29 giugno di 14 anni fa, sono lontani.