Calciomercato, Iñigo Martinez e altri tradimenti baschi

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Daniele V. Morrone

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L'Athletic Bilbao ha pagato la clausola di 32 milioni di euro e ha rubato Iñigo Martinez ai rivali della Real Sociedad. I trasferimenti da una grande squadra basca all'altra sono un tabù, quali sono stati gli altri?

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In ambito sportivo il Paese basco è quasi un mondo a parte, con uno sport nazionale proprio (la palla basca, un derivato della pallacorda) e una visione del calcio diversa da quella spagnola. Il calcio fu portato dai marinai inglesi a Bilbao a fine ottocento e nella regione è rimasto un gusto più anglosassone del gioco, quello delle partite giocate su campi battuti dalla pioggia per sei mesi all’anno, dove lo sforzo e la determinazione viene amato più del controllo e del gesto tecnico.

La squadra principale della regione si chiama Athletic Club, non Atletik in basco o Atlético in spagnolo. I baschi sono ossessionati dalla propria identità e il calcio è ovviamente un terreno elettivo della sua costruzione e mantenimento. La rivalità tra Athletic Club e Real Sociedad è estremamente sentita ma al contempo sacrificabile sull’altare di un’identità più grande delle loro differenze. Ne è un esempio un loro gesto unificatore che è ancora oggi il simbolo della rinascita basca: nel primo derby dopo la morte di Franco i due capitani sono entrati in campo con in mano la bandiera del Paese basco, teoricamente proibita.

Le due square non hanno lo stesso blasone. È vero che l’Athletic Club da anni non lotta per il titolo e in Europa è spesso una meteora, ma per influenza sociale e peso storico può essere considerata una delle grandi della Liga, a differenza della Real Sociedad. La politica societaria esemplifica il legame del club con la terra: l’Athletic non può acquistare giocatori non baschi. Una questione spesso semplificata perché bisogna sottolineare che non è una questione di sangue ma di crescita nel territorio, di giocatori cresciuti calcisticamente nel Paese basco insomma, come mostrato dal francese Laporte, nato in Aquitania.

L’Athletic è una squadra rispettata anche dai neutrali, ma al contempo vista con rancore dalle squadre limitrofe che si ritrovano ad essere incolpevolmente più in basso nella catena alimentare. L’Athletic per sua natura guarda prima in casa, ma quando il profilo che cerca non c’è allora sul mercato ha pochi sbocchi se non squadre come Eibar, Osasuna e la Real Sociedad.

La Real Sociedad è la squadra della seconda città della regione, San Sebastian-Donostia, una città sulla costa e con un bel lungo mare, abbellita dalla borghesia di inizio novecento e ora capitale culinaria della regione (è la città iberica con il maggior numero di ristoranti stellati per abitante). Viene da un progetto di crescita graduale attraverso le giovanili che l’ha portata dalla seconda serie all’Europa League in pochi anni, ma non sta giocando un campionato al livello della rosa a disposizione.

Pochi giorni fa l’Athletic club ha pagato la clausola di rescissione di 32 milioni di Iñigo Martinez, una delle colonne della Real Sociedad, ed è stato un terremoto nel calcio basco. Tutti i giocatori cercati apertamente dall’Athletic Club avevano rifiutato di andarsene, convinti del progetto attuale (Oyarzabal e Illarramendi su tutti), ma Iñigo Martinez ha ceduto. Se è vero che l’Athletic Club viaggia su un altro livello in termini di massa sociale e potenziale economico, il trasferimento è stato comunque inaspettato. La società ha detto ai tifosi che hanno comprato la maglia di Martinez che possono cambiarla gratuitamente con quella del giocatore che preferiscono.

Il trasferimento di Iñigo Martínez

Iñigo Martinez è un difensore di 26 anni nel picco della sua carriera. In passato è stato cercato da grandi squadre come Real Madrid e Barcellona e in questa sessione si parlava anche di un interessamento dell’Inter.

Nel 2014 Iñigo rise davanti ai microfoni dell’idea che l’Athletic Club si potesse presentare con i 32 milioni della sua clausola rescissoria e che lui avrebbe anche accettato il trasferimento. Questo nonostante la sua famiglia sia tutta tifosa dell’Athletic Club. Il calcio ci insegna che parole del genere spesso non reggono neanche le sicurezze di una rivalità così radicata nel territorio.

In estate Iñigo doveva andare al Barça su richiesta espressa da Valverde alla dirigenza, l’unica del tecnico appena arrivato in Catalogna. Il trasferimento saltò all’ultimo perché Mascherano aveva chiesto di rimanere un altro anno. Iñigo aveva già trovato l’accordo preliminare solo per trovarsi con niente in mano a fine mercato. A gennaio Guardiola e il City lo hanno corteggiato, per poi preferirgli Laporte, il suo alter ego più giovane.

I soldi arrivati all’Athletic dalla cessione di Laporte - 65 milioni di euro - dovevano essere subito reinvestiti su un sostituto diretto, e il pensiero a Martinez è stato immediato, anche per lo stile così simile a quello del centrale francese.

A livello simbolico, Iñigo ha scelto di indossare la maglia numero 4 del francese. È un centrale che ama impostare il gioco, grazie a un sinistro (stesso piede di Laporte) perfettamente calibrato per il calcio moderno, con lanci che riescono ad essere sia lunghi che precisi, anche sotto pressione. Senza palla gli piace la difesa aggressiva e votata all’1 vs 1, dando il meglio nei contrasti aerei pur non arrivando ai 185 cm (solo Godín gli è superiore nei numeri in questa stagione). Non è veloce, perde spesso la concentrazione e ha grandi lacune in marcatura, guarda caso gli stessi tre difetti di Laporte.

Iñigo dice di non essere intimorito dal cambio di maglia: «È un orgoglio, mi sento orgoglioso di essere il calciatore più caro della storia di questo club. Credo che la mia epoca alla Real fosse terminata e ora ho davanti a me una sfida ambiziosa con una squadra ambiziosa come l’Athletic». Il presidente della Real, Jokin Aperribay, ha invece descritto il cambio di maglia come una scelta monetaria e non di carriera: «Se fosse un giocatore ambizioso avrebbe optato in estate per una squadra che gioca la Champions».

Quello di Iñigo Martinez è un trasferimento che si inserisce in un filone di scambi fra le due squadre basche così raro da costruire una narrativa a sé, fatta di tradimenti, ambizione e risentimento. Sono 27 i giocatori che hanno vestito entrambe le maglie, tra giovanili e prima squadra. La stragrande maggioranza dei giocatori che hanno vestito entrambe le maglie lo hanno fatto per andare all’Athletic Club. Nella catena alimentare quindi la Real Sociedad è la squadra che deve difendersi dall’Athletic Club. Strano pensare che il pioniere di queste storie di tradimenti ha fatto il percorso opposto.

Negli anni ’50 l’attaccante Rafael Iriondo, che sembrava destinato al ritiro dopo la scelta di scendere nelle serie inferiori a 35 anni, dopo una carriera decennale con l’Athletic Club (con cui aveva vinto il campionato del ’43 e quattro Coppe nazionali), ha deciso di tornare in Primera con la Real Sociedad.

A rendere più accettabile il tradimento di Iriondo è stato il passaggio intermedio. Un percorso simile a quello di Goikoetxea, passato attraverso il Barça di Cruyff prima di finire all’Athletic Club nel 1994. Un altro tradimento accettabile è quello che si consuma a livello giovanile, dove lo scambio è quasi normale, vista la zona di competenza che combacia e la facilità con cui uno scartato passa dall’una all’altra squadra. Un esempio celebre di questo tipo è Balenziaga, cresciuto nella Real Sociedad e passato dieci anni fa dal Real Sociedad B all’Athletic Club.

Molti meno sono i giocatori che giocano in prima squadra e che passano dall’una all’altra squadra.  Sono movimenti assolutamente tabù e cambi di maglia del genere, come quello recente di Martinez,  portano di solito ferite che ci mettono anni a rimarginarsi. Prima di Iñigo sono in realtà sono solo sei i giocatori ad aver fatto il grande passo, e segnano tutti un prima e un dopo nei rapporti tra le due squadre.

Prima del 1986 era quasi impossibile il passaggio diretto tra le due squadre, anche perché la legge spagnola prevedeva il diritto di bloccare da parte di una squadra che aveva cresciuto un giocatore il trasferimento ad un’altra. Per mantenere la propria identità, e per non cannibalizzarsi a vicenda, le due squadre basche si erano impegnate in un patto tra cavalieri di non comprarsi giocatori a vicenda. Un patto durato poco.

La prima volta: Loren

Lorenzo Juarros, detto Loren, con 482 partite giocate è ancora nella top-10 delle presenze della storia della Liga. Nel 1989 l'Athletic pagò la sua clausola di 1.8 milioni di euro, che lo ha reso per un breve periodo il calciatore spagnolo più caro della storia della Liga.

Loren non era neanche basco, nato a Burgos, in piena Castiglia, solo da bambino si trasferisce con la famiglia sulle montagne fuori Donostia e viene notato subito dalla Real. È un difensore centrale forte fisicamente e un vero portento di testa, nonostante non superasse i 182 cm. Per questo nel suo passaggio in seconda squadra viene riconvertito in punta centrale, un passaggio normale in un calcio che storicamente voleva un riferimento alto con quelle caratteristiche. La riconversione ha un enorme successo: come punta centrale, accanto alla famosa coppia di attaccanti esterni Bakero e Begiristain (poi passati entrambi con successo al Barça di Cruyff), aiuta la Real ad un secondo posto in Liga e alla vittoria della Coppa nazionale (ultimo trofeo vinto dalla squadra). Loren non è un goleador ma si danna l’anima e aiuta sempre la manovra della squadra, al momento in cui l’Athletic Club cerca il colpo per tornare grande non ci pensa due volte e paga la clausola.

Nel 1989, a 23 anni, è la punta del risorgimento dell’Athletic. Il trasferimento provoca nella Real una vera e propria rivoluzione societaria che porta addirittura a modificare la sua politica degli acquisti, abbandonando l’idea di avere solo giocatori cresciuti nel Paese basco perché nessuno attaccante poteva reggere quel ruolo. Viene preso l’irlandese John Aldridge, che ha poi avuto un grande successo. Esattamente la sorte opposta a Loren, che con tutto il lavoro del mondo non vede la porta abbastanza per soddisfare il pubblico di San Mames e porta uno sconsolato Clemente a decidere addirittura di riconvertirlo nel suo vecchio ruolo di centrale difensivo alla seconda stagione.

Nel derby riuscirà a marcare bene Aldridge, togliendosi una piccola soddisfazione in un biennio complessivamente magro. A fine stagione Loren viene svenduto al Burgos, una situazione che porta ad uno scontro tra Loren e la dirigenza: il seme che gli permetterà di tornare più avanti alla Real come figliol prodigo. Ancora oggi fa parte dello staff della squadra.

Lo scontro a mezzo stampa: David Billabona

L’acquisto di Loren aveva confermato il peso più grande dell’Athletic Club negli equilibri della regione. E allora l’anno successivo i biancorossi pagano la clausola (l’equivalente di 300 mila euro) per portarsi a casa uno dei centrocampisti baschi più promettenti: David Billabona. Un ragazzo di 21 anni che ha appena chiuso la prima stagione da titolare nella Real dopo aver esordito a 17 anni. Il suo passaggio apre lo scontro aperto mezzo stampa. Il presidente della Real esordisce dicendo che l’Athletic Club è il peggior nemico del suo club. La sua idea è che l’Athletic voglia abbassare il livello della Real e non tanto aumentare il proprio.

Il presidente dell’Athletic risponde invitando il collega a una seduta psichiatrica per superare il complesso di inferiorità. Billabona sembra un ottimo investimento, ma alla fine, dopo due ottimi anni, verrà accantonato e venduto al Racing Santander, dove avrà una buona e lunga carriera.

L’eccezione: Bittor Alkiza

Bittor Alkiza era uno dei beniamini dei tifosi della Real ad inizio anni ‘90, un centrocampista atleticamente dominante e tatticamente polivalente, che nelle tre stagioni giocate in prima squadra viene adocchiato sia dal Madrid che dal Barça. La dirigenza, in un momento economico poco florido ci fa buon occhio e mette una clausola alta (equivalente a 3.6 milioni di euro attuali) sperando nel colpaccio. Quando però i due titani decidono di virare su altri obiettivi si trova con in mano nulla se non un giocatore che a quel punto vuole cambiare aria. Accetta suo malgrado quindi l’offerta al ribasso dell’Athletic Club di 1.3 milioni, scatenando ovviamente le ire di una tifoseria che non se la prende con il giocatore ma con una dirigenza troppo frettolosa nello svendere un patrimonio della società ai rivali.

Alkiza è una mezzala che somiglia più ad un giocatore di rugby che al centrocampista spagnolo tecnico che tendiamo ad immaginare. Diventa però un punto fermo dell’Athletic Club, dov’è famoso per gli inserimenti dalla seconda linea, per il tiro da fuori e per i contrasti duri. Perfetta la frase del tecnico Irureta per descriverlo: «Ti garantisce che se gli passi bene la palla non ti dà indietro un melone». Titolare fisso per quasi un decennio, raggiunge anche la Nazionale spagnola (gioca l’Europeo del 2000). A carriera quasi finita decide di fare nuovamente il salto della barricata per chiudere a casa sua, a Donostia, per giocare la Champions con la Real Sociedad. Viene salutato con un’ovazione sia da San Mames al momento dell’addio che da Anoeta al momento del ritorno. Ancora oggi fa parte dello staff della Real.

Il futuro comprato: Joseba Etxeberria

Joseba Etxeberria, dopo solo sei mesi dal debutto con la Real Sociedad, passò all’Athletic per una cifra all’epoca record per un minorenne: qualcosa di più di 3 milioni di euro attuali. Etxeberria era il gioiello della corona del settore giovanile della Real, considerato il giocatore basco più promettente e degno rivale dell’elegante Julen Guerrero, la stella nascente dell’Athletic Club.

Ad 17 anni è stato il capocannoniere del Mondiale U-20 del 1995, dove ha rubato la scena a Raúl, Viduka e Nuno Gomes. Al ritorno a casa dichiara che non vuole rinnovare il contratto e che quindi alla squadra conviene accettare l’offerta dei rivali. El País al momento del trasferimento di Etxeberria fa uscire un articolo dal forte tono moralista contro i soldi spesi per un minorenne, che oggi suonerebbe attuale.

Le relazioni fra i club si interrompono senza rimedio, la Real inizia addirittura a far mettere per iscritto sui contratti clausole anti-Athletic. Forse solo il trasferimento di Figo dal Barça al Madrid può essere paragonato per risonanza.

Nel 2001, sei anni dopo il cambio di maglia, l’Anoeta ancora lo considera un traditore, preparando cori contro al suono di mercenario e uno striscione che lo vede ritrae da banconote. Etxeberria segna una doppietta che decide la partita, ma non riesce certo a festeggiare visto che dopo il primo gol una pioggia di bottiglie viene scagliata in campo nella sua direzione. Non si era visto nulla di simile tra le due squadre prima. Etxeberria era visto come il germe di un futuro glorioso che l’Athletic Club gli aveva rubato. Negli anni Etxeberria diventerà una delle migliori ali della Liga a cavallo tra i due secoli: un giocatore veloce, tecnico e intelligente. Gioca più di 50 partite con la Spagna pre Generazione d’Oro e più di 400 con l’Athletic Club di cui è uno dei migliori giocatori della storia.

A 32 anni, per ringraziare il club per la sua esperienza a Bilbao, decide di non voler prendere lo stipendio nel suo ultimo anno da giocatore. Decide di ritirarsi per dare spazio ai giovani di Lezama e giocare quindi un anno effettivamente solo per la maglia.

Le relazioni tra i due club però nel frattempo pian piano riescono a tornare verso una competizione che punta alla non belligeranza. In parte perché la Real, per la prima volta dopo tanto tempo, ha una squadra realmente competitiva e può quindi lottare alla pari contro l’Athletic Club; in parte perché il tempo, è vero, lenisce ogni ferita. Se non fosse che un decennio dopo Etxeberria tutto ricomincia.

Il giocatore di palla basca mancato: Xabi Castillo

Xabi Castillo era una delle promesse della palla basca quando decide di provare anche con il calcio, che paga molto di più. Viene scovato dall’Athletic Club in una delle sue tante squadre satellite. Il Bilbao gli chiede di abbandonare il suo secondo sport per dedicarsi solo al calcio. Xabi non ne vuole sapere di prendere una decisione definitiva e lascia la squadra andando a giocare per quella del suo paese, che gli permette il doppio sport. Ormai maggiorenne viene avvicinato dalla Real Sociedad e questa volta decide di diventare calciatore professionista. Dopo due anni nel B e un prestito alle Canarie è pronto per la prima squadra, dove spicca per la corsa potente (da ragazzo aveva anche provato la carriera in atletica) e il buon fisico, che gli permette di poter giocare anche centrale difensivo.

Gioca da titolare la sua stagione d’esordio con la Real in Segunda, nel 2007, forse il momento più basso della sua storia recente. Al termine della stagione tanti club fiutano l’occasione, L’Athletic gli propone però un ottimo contratto quinquennale che lo sistema per la carriera e la fascia sinistra titolare vista la partenza di Balenziaga. I tifosi lo trattano con indifferenza, hanno altro a cui pensare vista la situazione della Real e gli 1.6 milioni ricevuti fanno comodo per qualche obiettivo in attacco per provare la risalita. Oltre all’ottimo fisico però non c’è abbastanza tecnica in Xabi Castillo e l’arrivo di Bielsa a Bilbao gli chiede definitivamente ogni speranza, facendogli chiudere mestamente l’esperienza andando in scadenza di contratto dalla tribuna. Xabi prova a rifarsi una carriera in Segunda ma dopo due tentativi decide di dire basta con il calcio giocato e si ritira a 29 anni. Pensando forse che la palla basca sarebbe stata la scelta giusta.

La carriera bruciata: Iban Zubiaurre

L’ultimo trasferimento prima di Iñigo Martinez è anche il più tragico. Al centro del ciclone ci finisce un altro giocatore promettente della Real. Si tratta del terzino destro Iban Zubiaurre che nel 2004, a 21 anni, gioca 14 partite in prima squadra, partendo alle spalle del titolare Rekarte. Viene considerato il futuro del ruolo alla Real ma in estate si accorda con l’Athletic Club, prima ancora di firmare il rinnovo con la sua squadra. Ovviamente la cosa non va già alla Real, anche perché il suo contratto prevede un rinnovo automatico di un anno se fosse passato in prima squadra, come effettivamente avvenuto. Dalle parole ai fatti, si va in tribunale per non far passare liscia la cosa ai rivali e al giocatore. Ci vogliono 15 mesi per dirimere la questione, durante i quali il giocatore non può essere schierato e la Real non lo lascia neanche allenarsi.

Il giudice dichiara il trasferimento non corretto e sentenzia un pagamento obbligatorio da parte dell’Athletic Club di 5 milioni per poter iscrivere il giocatore. Zubiaurre viene quindi presentato un anno e mezzo dopo il teorico trasferimento e giocherà soltanto una partita in tutta la stagione con la squadra prima di essere relegato in tribuna perché considerato non pronto. I mesi persi ne hanno praticamente bloccato la carriera nel calcio d’alto livello, dove non riuscirà mai più ad entrare. L’anno dopo gioca una partita sola. Nel 2008, quattro anni dopo il folgorante esordio con la Real chiede di andare in prestito in Segunda, dove non riesce comunque a giocare. Da lì fino alla scadenza del contratto ogni ritorno all’Athletic Club è un’altra bocciatura. L’anno di Bielsa lo passa direttamente fuori squadra. L’unica stagione da titolare in carriera la gioca l’anno dopo nel Salamanca, in terza divisione. Dopo di che, ad appena trent’anni, forse soddisfatto, si ritira dal calcio.