Napoli, dove può arrivare Alex Meret?

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Federico Principi

Alex Meret, nuovo portiere del Napoli (foto Getty)
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Che tipo di giocatore è il nuovo portiere del Napoli Alex Meret, che potrebbe rompere la storica diffidenza della Serie A verso i portieri più giovani

«Sono orgoglioso e onorato di aver vestito la maglia della mia terra, alla quale sono e sarò sempre legato». Alex Meret ha chiuso così la sua carriera all'Udinese, e per adesso la sua permanenza a Udine, attraverso un messaggio sul suo profilo Instagram intriso di una vena nostalgica, nonostante la sua decisione di imporsi definitivamente come uno dei portieri dell'élite del nostro calcio al Napoli di Carlo Ancelotti.

La cessione di Meret ha trovato quindi la volontà di tutte le parti in causa: quella del giocatore, che voleva mettersi in mostra su un palcoscenico ritenuto all'altezza delle sue qualità (ma qualcuno sicuramente obietterà che questa opportunità è arrivata troppo presto); quella dell'Udinese, che aveva già programmato da tempo di monetizzare un talento cresciuto in casa praticamente a costo zero; e ovviamente quello del Napoli, che voleva assicurarsi uno dei portieri italiani più promettenti.

Ma questo momento di passaggio nel percorso della carriera di Meret interessa anche il calcio italiano nella sua totalità, all'indomani dell'addio di Gianluigi Buffon alla Nazionale. Come tutti i suoi più illustri colleghi e connazionali - Mattia Perin, Salvatore Sirigu e Marco Amelia su tutti - Meret ha avuto bisogno di un anno di apprendistato in Serie B che, dopo l'arrivo massiccio dei portieri stranieri negli ultimi 20 anni, sembra sempre più necessario per la crescita dei nostri giovani estremi difensori, con l'eccezione di Gianluigi Donnarumma. E il fatto che Meret arrivi in una piazza così importante soltanto pochi mesi dopo aver esordito in Serie A, e dopo più di metà stagione saltata per colpa della pubalgia, la dice lunga sul tipo di sfida che si ritrova ad avere di fronte dal punto di vista mentale.

Il percorso è stato reso ancora più impervio dall’ennesimo infortunio recente, patito stavolta durante il ritiro a Dimaro, una frattura composta dell'ulna del braccio sinistro ridotta tramite operazione chirurgica. Per il secondo anno consecutivo Meret esordirà a stagione già iniziata, dopo che qualche mese fa ha concluso in anticipo il campionato per un altro infortunio, alla spalla sinistra. «Mi è servito a crescere mentalmente», ha detto il portiere a proposito del suo lungo periodo di stop per la pubalgia, «la cosa più difficile è stata continuare a ragionare da giocatore, fare i sacrifici di prima».

Il destino ambivalente

La storia di Meret può essere in qualche modo vista accanto a quella di Simone Scuffet, non solo per la sfortuna in carriera (chi per gli infortuni, chi per scelte infelici), ma anche per essere cresciuti in un club che preferisce puntare sulla compravendita che sulla valorizzazione dei giovani della Primavera. «Si punta di più sui giocatori stranieri perché un italiano che si mette in mostra viene subito tenuto d'occhio dai settori giovanili delle grandi, costa di più ed è difficile da prendere. Per questo l'Udinese ha mantenuto la squadra di osservatori per l'estero e ha invece fatto a meno di noi che lavoravamo sui giovani italiani» ha dichiarato Stefano Strappa, ex osservatore dell'Udinese.

Nel settore giovanile della squadra friulana, almeno fino agli allievi, si lavora su un organico praticamente a chilometro zero: «Anche fino ai giovanissimi e agli allievi l'Udinese tende a non prendere giocatori da fuori ma a far crescere i giovani talenti radicati nel territorio», prosegue Strappa. «C'è molto legame tra di loro perché crescono insieme. L'Udinese ha una serie di accordi e collaborazioni con alcuni settori giovanili di alcune società locali, tra cui il Donatello Calcio dove sono cresciuti proprio Scuffet e Meret, e i ragazzi italiani del settore giovanile dell’Udinese sono tutti radicati nel territorio friulano. Il fatto che l'Udinese si sia improvvisamente trovata questi due talenti in casa, senza sostanzialmente aver mai prodotto altri giocatori di quel livello dal settore giovanile, è stata una grande fortuna, una straordinaria coincidenza».

La casualità favorevole è stata doppia per l’Udinese, che ha potuto beneficiare di due grandi talenti quasi coetanei - Scuffet è classe 1996, Meret un anno più giovane - e che si potevano allenare insieme e in disparte come solo ai portieri è concesso fare, isolandosi dal contesto circostante e soprattutto migliorandosi reciprocamente.

L’utilizzo chirurgico che l’Udinese ha fatto dei due portieri, poi, era puntato a massimizzarne l’esperienza sul campo. Scuffet, in questo processo, ha potuto mettere nelle gambe e nella testa molte partite con ragazzi più grandi, risultando quindi più precoce di Meret non solo, banalmente, per l’anno in più di età. «Non venivano messi in competizione nelle giovanili, ma venivano disposti sempre in categorie diverse per farli giocare sempre», sottolinea Strappa. «Scuffet giocava come “sotto età”, quindi con i classe 1994 e 1995, quando le annate 1996 e 1997 si ritrovavano nella stessa categoria». Per questo motivo l’Udinese decise, in apparenza prematuramente, di lanciare Scuffet in Serie A a inizio 2014, mettendo da parte gli sloveni Brkic e Kelava e l’esperto Benussi, mentre Meret ha dovuto aspettare molto più tempo.

Una piccola battuta d’arresto su questo programma quasi scientifico, tuttavia, si è avuta nel momento in cui Scuffet nel 2014 rifiutò il trasferimento all’Atletico Madrid per ragioni personali. Scuffet, nel clamore generale e grazie ad alcune grandi prestazioni aveva attirato su di sé allettanti offerte che l’Udinese stessa aveva programmato e auspicato, in modo da lasciare spazio gradualmente anche a Meret senza sovraccaricarsi di talenti nello stesso ruolo. La scelta di Scuffet di rimanere a Udine, in questo senso, ne ha rallentato la crescita, con il club friulano che ha deciso di metterlo da parte a vantaggio di Karnezis. Di conseguenza, alla fine è stato Meret il primo a portare in cassa la plusvalenza e a tagliare il cordone ombelicale con il club d'origine, invertendo la tabella di marcia.

L’inserimento di Meret nel calcio di alto livello è stato più graduale e meno scioccante di quello di Scuffet: «Non ho mai pensato di fare altro oltre al calciatore» sottolinea Meret in questa intervista di Federico Aquè, «fortunatamente non c’è mai stato un momento in cui ho pensato di non riuscire a farcela. È stato tutto un crescendo in modo graduale». Meret ha completato la gavetta nelle giovanili a 18 anni, nel 2015, e nella stagione 2015-16 l’Udinese ha approfittato del prestito di Scuffet a Como per promuovere il più giovane dei due nel ruolo di secondo portiere dietro Karnezis. Meret non esordirà mai in Serie A con la maglia a cui deve tutta la sua carriera, ma dopo due presenze in Coppa Italia verrà girato l’anno successivo in prestito alla SPAL in Serie B. La promozione in A degli spallini renderà ancora più agevole l’esordio nella massima categoria anche per Meret, martoriato da un'ernia inguinale e dalla successiva pubalgia ma tutelato profondamente da un ambiente che già conosceva bene e che lo considerava uno dei principali eroi del ritorno in Serie A.

L’ascesa

La strada verso l'élite di Meret ha avuto un’accelerazione improvvisa con il debutto in Serie A, che però partiva da basi più solide rispetto all’altrettanto folgorante esplosione di Scuffet. Meret è apparso subito maturo, solido psicologicamente e con un tipo di comunicazione non verbale piuttosto rilassati, determinato senza essere compassato. «Voglio divertirmi, il calcio è un gioco», ha detto Meret in un’intervista, sottolineando come la componente ludica nella sua professione rivesta un ruolo per lui assolutamente pragmatico: «Quando vai in campo devi pensare che è solo una partita, altrimenti la pressione può condizionarti». Questo atteggiamento è funzionale alla qualità più importante per un portiere secondo Meret, ovvero quella della lettura del gioco e della capacità di prendere decisioni giuste: «Anche come tipo di persona ho uno stile più razionale», sottolinea Meret, «è sempre bene rimanere tranquilli e prendere le decisioni in modo corretto, anche se in alcune parate ci vuole l’istinto».

I tifosi della SPAL fin da subito, nel debutto in Serie A a gennaio contro l’Inter, gli hanno manifestato il loro affetto e la loro vicinanza, applaudendolo calorosamente praticamente in ogni intervento compiuto. Meret, per colpa del lungo periodo di purgatorio, ha mostrato qualche incertezza - soprattutto sui palloni alti, in particolare nella sua seconda partita, a Cagliari - che ha progressivamente superato, offrendo un rendimento convincente per fare il salto direttamente come portiere titolare in un top club come il nuovo Napoli di Ancelotti.

In generale, Meret ha dato l’impressione di non volersi prendere troppi rischi al suo primo anno in Serie A, prediligendo nettamente le uscite di pugno alle prese alte: a fine stagione, tra i portieri con almeno 10 presenze, è risultato il secondo in Serie A per uscite di pugno ogni 90 minuti (0.62) dietro solamente Belec del Benevento, e il quinto per uscite totali ogni 90 minuti (3.26), con un’ottima efficacia. In realtà Meret possiede delle ottime doti nella presa con le braccia in allungo che fanno presagire importanti miglioramenti nelle uscite alte nel corso degli anni, una volta presa sicurezza.

L’impostazione di Meret è tipicamente italiana, con la posizione di attesa con entrambe le ginocchia piegate e mai a croce iberica come i portieri del Nord Europa, ma con le gambe aperte a una giusta distanza per avere il massimo della spinta possibile.

Certo, le imperfezioni non mancano: Meret, ad esempio, in uscita dovrebbe imparare ad andare accorciare meglio la distanza con la palla, anche con il busto. Troppo frequentemente, invece, tende a indietreggiare con il corpo e a buttarsi a terra, fidandosi ciecamente della sua grandissima forza esplosiva nelle gambe e dei suoi straordinari riflessi.

Nella partita persa 1-0 in casa del Napoli in questa stagione, ad esempio, sull’inserimento di Allan, Meret cerca di mettere in pratica la scuola italiana, che predilige un’uscita bassa per cercare proattivamente il pallone anziché avanzare a croce iberica, senza però riuscire ad evitare il gol del brasiliano.

Anche nel gioco con i piedi, Meret dimostra di avere un’ottima precisione nel calcio lungo con il suo piede forte, il sinistro, sia nel calcio secco e teso - specialmente verso le fasce - sia nei lanci più morbidi. È meno abituato, invece, a gestire il pallone sul gioco corto, un’abilità sempre più richiesta ai portieri moderni e sulla quale a Napoli raccoglie la pesante eredità di Reina, anche se con il gioco di Ancelotti probabilmente verrà meno stimolato in questo aspetto rispetto a quanto succedeva con Sarri. Nell’errore che ha portato al primo rigore del Genoa a Marassi, si nota ad esempio come Meret non abbia grande visione di gioco sul corto e orienti male il primo controllo, con conseguenze nefaste.

La riluttanza di Meret a giocare corto (Viviani e Felipe sono molto liberi, Viviani addirittura chiede la palla sbracciando). L'ex portiere della SPAL riuscirà lo stesso a pescare la testa di Grassi tra le linee di difesa e di centrocampo dell’Inter.

Le capacità mentali che Meret trasmette con il suo temperamento sembrano perfette per scacciare le pressioni che inevitabilmente arriveranno a Napoli, e al tempo stesso per lavorare sui suoi punti deboli, perfezionando il suo stile e modellandolo verso una maggiore modernità. Meret non è un portiere che rivoluziona i paradigmi del concetto del ruolo, ma rappresenta l’ultima evoluzione, una delle più riuscite, della scuola italiana dei portieri. Un'impostazione tecnica restia alle rivoluzione e che si sta limitando ad affinare generazione dopo generazione le caratteristiche dei suoi migliori alfieri. È difficile dire oggi se la scuola italiana riuscirà a stare indietro coi tempi, vista la rivoluzione del gioco con i piedi del portiere che sta avvenendo in questi anni, con conseguenze che è ancora difficile immaginare.

La fiducia di un top club italiano verso l’acquisto di un portiere titolare molto giovane sul mercato, in questo senso, rappresenta una grande sorpresa nel trend attuale. A vantaggio di Meret, probabilmente, ha giocato l’impressione di una grande capacità mentale di resistenza alle pressioni, o forse più semplicemente l'impossibilità di arrivare a portieri più esperti come Leno e Rui Patricio.

Adesso, comunque, c'è da chiedersi se, dopo l'infortunio, Meret partirà subito titolare oppure se il Napoli riterrà necessario fargli fare altra gavetta alle spalle del più esperto Karnezis. È un dibattito che divide il calcio da sempre, tra quelli che preferiscono che i giovani facciano esperienza prima nelle serie minori e chi invece preferisce che i migliori vengano subito investiti dalle responsabilità e dalle opportunità offerte dalle grandi squadre.

«Non so se in un altro Paese avrei già esordito in Serie A, ma in Italia è più difficile emergere rispetto ad altri Paesi, anche se negli ultimi anni abbiamo avuto la dimostrazione che anche i giovani possono fare bene in Serie A stanno esordendo in molti e non stanno per niente sfigurando, bisognerebbe avere più coraggio e fiducia nei giovani».

Così parlava Meret a maggio 2017, quando ancora militava in Serie B, auspicando senza presentimenti una sua opportunità in un grande club arrivata forse perfino prima di quando si aspettasse. In effetti, a parte Donnarumma che ha comunque debuttato a campionato in corso, nessuna squadra di vertice negli ultimi anni ha impostato il proprio mercato sull’acquisto di un portiere giovane, e in questo senso l’andamento della stagione a Napoli di Meret potrebbe invertire la tendenza.

In un certo senso, Meret si è preso la responsabilità di un’intera categoria, quella dei portieri giovani, come un capo sindacalista, con un’unica missione: dimostrare l’efficacia dell’investimento sul mercato sui giovani prospetti anche in porta e inaugurare una nuova fase di apertura verso lo sviluppo delle carriere potenziali, senza sprechi di talento.