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Calciomercato Juventus, il Principe saluta la sua Signora: la storia bianconera di Marchisio

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L'esordio in B e la corsa fino alla finale di Berlino. Aforismi da juventino vero e i miti di Boniperti e dell'Avvocato. Quel soprannome simbolo della sua eleganza, in campo e fuori, e i gol segnati dal destino. Dopo venticinque anni finisce la storia bianconera di Claudio Marchisio

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Chissà se nella notte dei “mille pensieri” e delle “mille immagini” Claudio Marchisio abbia pensato in bianco e nero. Un po’ perché quelli sono i colori delle vecchie fotografie, immerse nella nostalgia, e un po’ soprattutto perché sono quelli incisi a fondo nel suo cuore. Amore. Puro, autentico e infinito, che come scrive sempre Marchisio sui social è in realtà il suo numero 8 (indossato dal 2009) visto in orizzontale. Due cerchi perfetti che si chiudono come la sua storia juventina, perché “nonostante tutto, sono ancora convinto che il bene della squadra venga prima di ogni altra cosa. Sempre”. E guai a pensarla diversamente, con onestà e coerenza. Marchisio lo ha sempre detto, e per capirlo basta leggere le sue parole nel corso di quei venticinque anni con la maglia bianconera indosso. Lui, Claudio, bambino, ragazzo e poi uomo nato e cresciuto a Torino e che ha realizzato “il suo sogno più grande”. Virgolettato suo tratto da una vecchia intervista. Aforismi juventini che lo hanno accompagnato in una carriera stupenda. Dove il “noi è sempre contato molto di più dell’io”. Dove “alla Juve ti insegnano prima a diventare uomo che calciatore”. Perché, dice a quei tifosi che sono (e sempre saranno) il suo popolo: “Siete la parte più bella di questa meravigliosa storia”. Quella iniziata nel lontano 1993 con un semplice provino all’età di sette anni.

Dalla B a Berlino

Da lì in poi solo amore. 389 partite e ventiquattro anni bianconeri. In mezzo solo una parentesi, quella in prestito nell’Empoli dove esordisce in Serie A. La partita è quella contro la Fiorentina, quasi un segno del destino per un calciatore che ha fatto della parola “appartenenza” un mantra di vita. E col fato che gli ha restituito altrettanti incroci da juventino, vero. Temprato. La corsa è lunghissima, ma dalla B a Berlino Marchisio scala anche le classifiche della Juve. Il suo sogno solo all’apparenza diventato beffa. Per lui poco contava essere dove i bianconeri non erano mai stati in tutta la loro storia. Contava solo abbassare la testa e ripartire. Come sarà. Vincendo quel quel campionato per poi tornare in A e farlo in prestito all’Empoli, dove esordisce contro gli eterni rivali Viola a cui segnerà poi, nel gennaio del 2009, anche il suo primo gol di sempre in carriera. Destino. Come il fatto che le squadre a cui abbia segnato più gol in carriera siano, alla fine, proprio Inter e Torino (3): una via di mezzo tra derby “della Mole” e quello d’Italia. Alcune, di quelle reti, registrate in quegli anni deludenti, molto più neri che bianchi, dei settimi in posti in campionato, prima che Antonio Conte (capitano e bandiera mentre lui da bambino guardava dal basso all’alto quei campioni) segnerà la riscossa. Marchisio quel nuovo corso, ancora in vita da sette scudetti di fila, lo inaugura con una rete allo Stadium. Nella prima di sempre nella nuova casa e con una magia alla “Pinturicchio”. Lancio di Pirlo e capolavoro al volo di esterno destro alla Del Piero. Altro idolo della storia bianconera, quella recente della scalata culminata proprio con la finale di Champions con Allegri del 2015, poi persa a Berlino contro il Barcellona. Nella stagione dove, in assoluto, l’8 bianconero gioca più partite ed è uno degli uomini centrali del progetto, prima di perdere qualcosa (e qui siamo alla storia ancor più recente) nelle gerarchie dell’euro Juve che sul mercato fa suoi tutti i più grandi talenti del mondo.

L’ultimo saluto

Il rimpianto è allora quello, tremendo. A cui sia aggiunge anche la finale del 2017 contro il Real Madrid. L’Europa solo sfiorata, e col grande CR7 finalmente in campo dalla loro parte ora visto solo alla tv. Lui e Buffon sono i due simboli che curiosamente salutano entrambi nella stessa estate. Pochi dubbi però sul chi tifare la prossima stagione: Juve dentro al cuore per sempre, penserà sicuramente quel Marchisio soprannominato Principino che di classe ne ha sempre avuta da vendere. In campo e fuori. L’ultimo gol è forse l’addio più dolce: non in una finale e nemmeno contro l’Inter. Non alla Fiorentina e non al Torino. Ma a Villar Perosa, nell’ultima partita “in famiglia” nella sua famiglia, dove ha segnato per l'ultima volta con la maglia bianconera e ha alzato la mano per ringraziare i suoi tifosi. Quelli che hanno vinto anche con lui sette scudetti e che sono tornati a far tremare tutti gli stadi d’Italia.

Uomo copertina

Quel soprannome? “Ero già così da piccolo - aveva raccontato lui in passato -, crescendo non potevo che perfezionarmi. Ci tengo, mi piace. Anche all’allenamento mi presento in giacca e camicia, mise non così diffusa tra i ragazzi della mia età”. Chiamato “Piccolo Lord” per la prima volta da Balzaretti (al tempo compagno di Juve e di Nazionale) poi lui, Marchisio, si è sempre accontento a metà di quel nomignolo, perché è anche vero che “se sul campo sei visto come un principino qualcosa non va, magari sei troppo lezioso. Allora io sono 50 per cento fabbro e 50 per cento principe”. Per mettere tutti d’accordo. Come ha sempre fatto in campo, non da “raffinato trequartista” come mai si è definito, ma da centrocampista totale, all’occorrenza regista, sempre indicato tra i top player d’Europa. Corretto (una sola espulsione in carriera al primo anno di B). E anche sulla copertina di Fifa 13 dove insieme a Messi c’è lui. Omaggio mica da ridere. Come i tanti che lo stesso Marchisio ha lasciato sul suo profilo Instagram in questi anni. Mai saltata una ricorrenza, ma dimenticatosi di inneggiare ai colori bianconeri. Prima da tifoso e poi da giocatore di quel club. Le foto, sparse ma presenti, sono quelle di Boniperti e dell’Avvocato Agnelli: “Racconta a un bambino di loro e gli avrai colorato il cuore di bianco e nero per tutta la vita”. Più le foto dei nemici, solo sul campo. Dal Grande Torino, "invincibili ma soprattutto impossibili da dimenticare”, a Paolo Maldini, e gli auguri dei 50 anni per “un fenomeno, un esempio da seguire, una storia da sognare, una leggenda da onorare”. In tre aggettivi: elegante, sportivo e signore. Principe, anche senza quel diminutivo. Autentico simbolo di una Juve che lascia solo sul campo, ma che continuerà a portare nel cuore.