Rossi e "pigne", 5 storie che hanno creato il mito di Montero

Calciomercato

Vanni Spinella

L'ossessione per Zidane, le "pigne" rifilate ad avversari e tifosi, le frasi celebri che hanno contribuito a rendere l'ex difensore della Juventus un mito. Che ora torna in Italia: allenerà la Sambenedettese

Per Ancelotti era “un galeotto mancato, ma con un suo codice d’onore”. Secondo Lippi un kamikaze del contrasto”. Parola di due allenatori, tra i più grandi di sempre, che l’hanno allenato e ammirato. La tecnica magari lasciava un po’ a desiderare, ma sotto il profilo della personalità, del coraggio e dell’agonismo, Paolo Montero non conosceva rivali. Adesso torna in Italia da "collega" di Ancelotti e Lippi, per allenare la Sambenedettese. E inevitabilmente riaffiorano alla mente quelle storie che, tramandate come leggende, hanno contribuito a renderlo un mito.

Di Biagio, la "pigna" e l'Avvocato

Dici “Montero” e pensi “Pigna”, il suo soprannome oltre che uno dei suoi “colpi”. La più famosa, intesa come pugno, quella sferrata in pieno volto a Gigi Di Biagio, in attesa di un corner durante un Inter-Juve del 2000. Mucchio in area, tutti i giocatori con lo sguardo rivolto verso la bandierina in attesa che parta il pallone; a partire, però, è il gancio destro di Montero, diretto verso la faccia dell’interista, senza un perché. Il replay mostra proprio lo spostamento della mandibola di Di Biagio (verrà usata la prova tv: squalifica di 3 turni per il bianconero), con i fotogrammi della scena che diventano presto immagini di culto per i seguaci del monterismo. Tra i quali anche un insospettabile. "Dopo il pugno a Di Biagio l’Avvocato Agnelli mi vede e scuote la testa", raccontò Montero: "«Paolo, non mi sei piaciuto per niente». Io mi preoccupo: chissà che predica. «Paolo, non mi sei piaciuto perché non l’hai preso bene: un bravo pugile con un gancio così l’avrebbe fatto cadere!»". Passione "tramandata" all'attuale presidente della Juventus, Andrea Agnelli, che recentemente ha svelato quale fosse il suo giocatore preferito: "Paolo Montero è stato il giocatore che ho ammirato di più", ha detto a sorpresa. "Quando giocavo ero un difensore ruvido e non sempre abile, ma provavo a ispirarmi a lui".

Il bodyguard di Zidane

L’altra, altrettanto celebre pigna, finì per stendere addirittura un tifoso della Juventus, perché nel “codice Montero” la pigna non conosce colori e chi è meritevole di riceverla deve accettare il proprio destino. Si narra che Montero avesse una vera e propria venerazione per Zidane, all’epoca compagno di squadra in bianconero, tanto da scattare immediatamente appena qualcuno glielo toccava. Dentro… ma anche fuori dal campo. Un duro con il cuore tenero, se si trattava di difendere Zizou. L’aneddoto lo raccontò Ancelotti, e anche questo divenne presto leggenda: “Una mattina, alle quattro, eravamo all’aeroporto di Caselle. Tornavamo da Atene, avevamo appena fatto una figuraccia in Champions League contro il Panathinaikos ed abbiamo trovato ad aspettarci un gruppetto di ragazzi che non ci volevano esattamente rendere omaggio. Al passaggio di Zidane l’hanno spintonato ed è stata la loro condanna. Non a morte, ma quasi. Montero ha visto la scena da lontano, si è tolto gli occhiali con un’eleganza che pensavo non gli appartenesse e li ha messi in una custodia. Bel gesto, ma pessimo segnale, perché nel giro di pochi secondi si è messo a correre verso quei disgraziati e li ha riempiti di botte”. Come per ogni leggenda tramandata oralmente c’è anche il finale alternativo, quello in cui Montero, dopo essersi tolto gli occhiali con calma olimpica, semplicemente sferra un gran pugno sul naso del tifoso contestatore, spaccandoglielo.

Metodo Montero

Ma a temerlo erano soprattutto gli attaccanti avversari, con i suoi compagni che al contrario se la ridevano. “La sua tecnica era: il primo intervento deve essere duro per far capire immediatamente che aria tira. E poi parlava agli avversari in continuazione, li faceva impazzire, era davvero temutissimo”, ha svelato il suo compagno nella Juventus, David Trezeguet. “Vedevo il terrore negli attaccanti avversari: si spostavano dall’altra parte, se c’era Paolo nei paraggi”

Amico dei granata (e dei giornalisti)

Altro episodio, altra “leggenda”. Una volta alcuni ultras juventini lo trovarono in compagnia di un gruppo di tifosi granata e non gradirono. Cercarono di farglielo presente, per tutta risposta Montero decise di incontrare al bar i capi ultras per chiarire una volta per tutte: «Non me li sceglie mia mamma gli amici, figuriamoci voi». Un’altra volta, sempre al bar, Montero ci era finito nel corso di una delle sue scorribande notturne che si concedeva ogni tanto con l’amico Mark Iuliano. “Beccato”, questa volta, da un giornalista, mentre tutti i compagni correvano a nascondersi in bagno o dietro al bancone sperando di non essere riconosciuti, lui uscì tranquillamente allo scoperto. Saluto al giornalista, una pacca sulla spalla e un “avviso”: «Tanto, se esce qualcosa, so che sei stato tu…»

Un rosso tira l'altro

Non fatevi però un’idea sbagliata del Montero-calciatore. I suoi interventi erano il più delle volte di una pulizia esemplare, la sua leadership in difesa contagiava tutti i compagni. Un maestro nella marcatura a uomo (questo era facilmente immaginabile), ottimo senso della posizione e un carattere messo in mostra fin dal suo arrivo in Italia, all’Atalanta, quando “suggerì” a Lippi (che poi se lo portò alla Juventus) in che ruolo farlo giocare. Per l’allenatore era un terzino, lui rispose “O centrale o non gioco” e alla fine giocò, benissimo, una stagione da centrale. Certo, c’erano anche le occasioni in cui il fallo brutale diventava necessario, tradizione nata – sarà un caso – in un Inter-Atalanta del 1992. Il primo ad assaggiare il metodo Montero fu Nicola Berti, lanciato a rete in campo aperto e abbattuto senza pietà da Montero. Dopo quel suo primo assaggio di rosso, Montero non riuscirà più a farne a meno, arrivando a collezionarne 17 in Serie A, un record ancora lontano dall’essere battuto per il nostro campionato.