
Meteore Serie A degli Anni 80: i giocatori che si sono rivelati promesse incompiute
Una stagione e via, ma ciò non ha impedito loro di entrare nella storia del campionato italiano. Nella giornata che #SkySportClassic dedica agli Anni Ottanta, ricordiamo meteore e bidoni che hanno segnato quel decennio, da "Er moviola" Andrade al mitico Luis Sivio, da Aaltonen a Maradona: il fratello, naturalmente

Hugo Maradona (Ascoli, 1987-88).
Fratello di Diego. Difficile pensare a un miglior biglietto da visita per presentarsi in Serie A, ma poi bisogna fare i conti con il campo. “È più forte di me”, assicura il Pibe, e l’Ascoli se ne convince. Al termine delle 12 presenze che gli vengono concesse, con appena 3 presenze dal primo minuto e ovviamente nessun gol messo a segno, tutti hanno la certezza che non era esattamente così. Dopo un solo anno in Italia sparisce: lo ritroveremo in giro per il mondo tra Venezuela, Giappone, Austria e Spagna

Eloi (Genoa, 1983-1985).
Di lui dicevano che palleggiasse con i limoni. Brasiliano scuola San Paolo, si mette in luce con il Santos, quando ha la fortuna di segnare una doppietta contro il Milan al Mundialito dell’81, e i club italiani si incuriosiscono. Al suo arrivo in A si presenta come una via di mezzo tra Zico e Falcao, ma non riesce a evitare la retrocessione del Genoa. Ritorno in patria, dopo aver fallito anche la risalita (34 presenze in tutto in due stagioni), senza lasciare il segno

Nikos Anastopoulos (Avellino, 1987-88)
Quando arriva in Italia, forte delle reti segnate con l’Olympiakos (4 volte capocannoniere) e con la nazionale greca, i tifosi sognano. “Il baffo del Pireo”, però, in Serie A non riesce mai a segnare

Andrade (Roma, 1988-89)
Accoglienza da campione, in breve tempo diventa “Er Moviola” per il suo modo di interpretare il ruolo del regista: da fermo, praticamente. Una stagione negativa, con appena 9 presenze all’attivo, e il ritorno in Brasile

Luis Silvio Danuello (Pistoiese, 1980-81)
Alla riapertura delle frontiere in Serie A è uno dei primi stranieri ad approdare nel nostro campionato. Meteora vera (6 presenze e stop) ma anche bidone per eccellenza, titolo conquistato anche grazie a un fiorire di leggende sul suo conto che vanno da quella che lo voleva impegnato a vendere i gelati alla domenica allo stadio di Pistoia fino all’equivoco che ne segnò la carriera in Italia: “Sei una punta?”, gli venne chiesto appena acquistato. “Sì, yo soy ponta”, la sua risposta. Peccato che “ponta” in portoghese significhi “ala”…

Hugo Rubio (Bologna, 1988-89)
Pare che la dirigenza rossoblù fosse indecisa tra lui e un altro giovane cileno, in quella estate di mercato. E alla fine scelsero lui: più maturo, più pronto per il calcio italiano. Durò una stagione. E ancora oggi ci si chiede cosa sarebbe successo se invece il Bologna avesse scelto l’altro cileno, Ivan Zamorano

Mika Aaltonen (Bologna, 1988-89)
Arriva al Bologna nella stessa estate di Rubio: l’Inter l’aveva acquistato un anno prima (dopo aver preso gol da lui in una partita di coppa Uefa) ma subito girato in prestito al Bellinzona, su “invito” del Trap, e dodici mesi dopo lo manda in prova al Bologna. Qui non va oltre le 3 presenze, ma il calcio non è tutto nella vita. E appesi gli scarpini al chiodo, Aaltonen è tornato in Finlandia, dove è diventato il professor Aaltonen, docente di economia all’università

José Perdomo (Genoa, 1989-1990)
La sentenza di Boskov accompagnerà per sempre il suo nome, con quel “mio cane in giardino gioca meglio di Perdomo” che costò un deferimento e una multa all’allenatore della Sampdoria. Non che i tifosi del Genoa la pensassero molto diversamente: una stagione anonima e la cessione, al Coventry City

Ian Rush (Juventus, 1987-88)
Accolto con enorme entusiasmo dopo quanto aveva mostrato con la maglia del Liverpool, il gallese in Italia non si adatterà mai, facendo ritorno ai Reds dopo appena una stagione. “Per un anno mia moglie Tracy e io abbiamo pensato solo alla fuga”, confesserà nella sua autobiografia

Waldemar Victorino (Cagliari, 1982-83)
Arrivato dopo aver impressionato con il suo Uruguay in una partita contro l’Italia, in A non va oltre le 10 presenze in campionato, costruendosi la fama del bidone e dando vita a numerose leggende sul suo conto: c’è chi raccontava che avesse 10 anni di più di quelli che diceva di avere, chi affermava che quello arrivato in Italia fosse in realtà il fratello, chi dice che il Cagliari a fine stagione abbia addirittura pagato il Newell’s Old Boys pur di convincere il club argentino a prenderlo, liberandosene

Renato Portaluppi (Roma, 1988-89)
Nella Capitale diede il meglio di sé, ma quando calava la notte. Tra vizi ed eccessi, il brasiliano che si vantava di aver avuto una donna per ogni gol di Pelè diventò presto “il pube de oro”. Ormai mitiche alcune sue sparate, da quando “corresse” Liedholm, che ne aveva caldeggiato l’acquisto (“È secondo solo a Gullit”, le parole dell’allenatore; “Sono più forte di Gullit e di Maradona”, la sua risposta) all’avvertimento che fece agli avversari appena arrivato in Italia: “Più che i terzini, dovranno essere le loro mogli a stare attente a me”. “A’ Renato, ridacce Cochi!”, lo striscione con cui lo salutarono i tifosi

Francois Zahoui (Ascoli, 1981-83)
Un record ce l’ha e nessuno glielo toglierà mai. Primo africano a esordire in Serie A, lo prese l’Ascoli di Costantino Rozzi alla riapertura delle frontiere. Mazzone, però, lo vedeva pochissimo, e gli concesse la miseria di una decina di apparizioni in due anni

Geovani (Bologna, 1989-90)
Investimento da 9 miliardi di lire, con cui il Bologna fa il grande colpo di quella sessione estiva. Il presidente Corioni esulta: “Ho preso uno dei primi 5 giocatori al mondo”. A fine stagione l’addio senza rimpianti