Mino Raiola: Donnarumma minacciato di morte, il Milan non lo ha difeso

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L'agente del portiere rossonero ha raccontato la sua verità sul mancato rinnovo di contratto con il Milan: "Inizialmente Gigio voleva rinnovare, ma poi ci siamo sentiti minacciati e poco difesi dal club: lo hanno perso loro. In ogni caso mi prendo tutte le responsabilità". Sul futuro non esclude nulla, nemmeno che possa riaprirsi tutto

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E dopo tre giorni Mino Raiola parlò. L'argomento, ovviamente, il più chiacchierato del calcio mercato, ovvero il no del suo assistito Donnarumma alla proposta di rinnovo di contratto fatta arrivare sul tavolo dell'agente nella sua casa di Montecarlo. Quello che avrebbe dovuto legare Gigio alla squadra del suo cuore, che però, alla fine, il portierone rossonero ha deciso di rifiutare. E allora, dopo tre giorni di congetture, insulti dei tifosi, ipotesi di mercato e ragionamenti sulle motivazioni di Donnarumma ecco che il procuratore più famoso del mondo ha voluto raccontare in una mini conferenza stampa le ragioni del rifiuto rossonero.

Le minacce di morte e il ruolo del Milan

"Mi prendo tutte le colpe, ma lascino in pace Gigio. Sono arrivate addirittura minacce di morte alla sua famiglia, è incredibile. Noi ci stiamo già organizzando, approntando un servizio di sicurezza. Tocca a noi pensarci nel disinteresse generale. È assurdo. Una parte dei tifosi s’è messa contro di lui e la società non l’ha tutelato. Lo striscione sotto la sede non è stato rimosso, così come non gli è mai stata espressa solidarietà.

La trattativa per il rinnovo e il ruolo di Mirabelli

“Mancavano ancora quattro partite alla fine del campionato, eppure Mirabelli ha cominciato a stressare Gigio. C’è stato un momento in cui il ragazzo lo evitava a Milanello. Lo hanno trattato come un asset non come una bandiera. Per lusingarlo sono arrivati a dirgli: firma, poi se vuoi andare via. Ma non lo hanno lasciato sereno. La fretta, le pressioni, il diktat del 13 giugno come data ultima per dare una risposta: ho sbagliato a non fermare subito questa macchina infernale. Con quel martellamento non potevamo dire sì. Non c’erano i presupposti per un’intesa. Avevamo chiesto tempo e discrezione per lasciare Gigio sereno. Il Milan ha informato la stampa di ogni passaggio. E i risultati si sono visti. Al Milan mi sa che hanno acquistato il brand ma non lo stile. Non puoi dire "ti stronco la carriera o passerai la stagione in tribuna se non firmi". In una grande società questo non avviene più, mi ricordo certe scene tanti anni fa in piccole realtà del Sud. Mirabelli? Non discuto la persona, ma i suoi metodi. Ad esempio nessuno nota che Conti ha minacciato di non presentarsi agli allenamenti dell’Atalanta per dire sì ai rossoneri. Gigio, invece, è sempre stato al suo posto, non ha mai avuto pretese economiche. E poi se hai in casa un top player come lui perché vai ad offrire il doppio o il triplo a Morata o Aubameyang? Non è coerente".

"Niente guerra, ma c'è puzza di mobbing"

"Gigio inizialmente era convinto di restare al Milan, anche perché ricordo che a 14 anni scelse lui questi colori, dopo i contatti con l’Inter, nonostante la sua famiglia lo sconsigliasse dopo la delusione per la cessione del fratello Antonio. Gli ultimi tempi, però, sono stati tremendi. In particolare lo ha colpito
quella frase di Mirabelli: se non firmi vai in tribuna. Vediamo che succede ora, ma qui c’è puzza di mobbing. Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio. Io ho un buon rapporto con Marco Fassone, lo conosco da tempo e lui sa bene che può contare su di me, anche se non mi va dire il perché. Io non faccio la guerra al Milan. Mi hanno chiesto Matuidi, come l’Inter e la Juve. Vediamo. Ai bianconeri un anno fa saltò per problemi politici. Magari stavolta..."

Il ruolo di Montella e le critiche esterne

"Credo abbia un buon rapporto con Gigio. Per questo sarebbe stato meglio che gli parlasse in privato. Capisco, col cambio di società ha dovuto adattarsi: come una bandiera, al vento. Sacchi non è stato morbido. Non capisco certi moralismi. Ha parlato con il ragazzo? Aveva ragione Ibra, Arrigo parla troppo..."