Accadde oggi: Lentini-Milan, un colpo che sconvolse l'Italia

Calciomercato

Vanni Spinella

1° luglio 1992: dopo la firma del gioiello del Torino con i rossoneri, la rivolta dei tifosi granata. Sede del club presa d'assalto, scontri con la polizia, lancio di monetine sul giocatore. Una trattativa-choc, finita in tribunale, in cui tutti mentono e scaricano responsabilità

In un tempo in cui le bandiere non si toccavano, si arrivò persino alla rivolta di piazza. Chiariamo subito: Gianluigi Lentini, giovanotto dall’aspetto ribelle nato a due passi da Torino e cresciuto nel vivaio granata, non era ancora ciò che definiremmo bandiera, quando nell’estate del 1992 fu ceduto al Milan. Ma per il popolo granata rappresentava la grande speranza, il futuro, l’occasione di riscatto. Tutto svanito con una trattativa choc di cui improvvisamente parla l’Italia intera. Una vagonata di miliardi in ballo, per non dire di quelli offerti al ragazzo; e poi quel gioco di accuse reciproche, menzogne, responsabilità scaricate. L’affare Lentini superava il confine della semplice trattativa di mercato, diventando affare "sociale” senza bisogno dei social. Se ne discute in ogni bar, riempie le pagine di tutti i quotidiani, ne parlano persino le signore sotto il casco del parrucchiere, perché Lentini è bello, famoso, affascinante, giovane e ricco.  

Un figlio del Filadelfia

Il popolo granata stentava a crederci: il miglior talento del calcio italiano, in quel momento, indossava la maglia del Toro e tifava Toro. L’aveva lanciato in prima squadra Gigi Radice nel 1986, appena diciassettenne. Una stagione in B all’Ancona per maturare e rieccolo a casa, pronto a esaltare la sua gente con progressioni in cui coniugava tecnica sopraffina e potenza atletica, con giocate da fantasista puro, con quel fare da genio giovane e ribelle – i capelli lunghi, l’orecchino ben in vista – che evocava dolci ricordi. Tre stagioni in crescendo, poche per elevarlo al rango di bandiera, abbastanza per vedere in lui il simbolo della squadra negli anni a venire.

La prima è quella della promozione in Serie A, da protagonista, e dell’avvento del nuovo presidente, Gian Mauro Borsano, che al momento di insediarsi fiuta benissimo l’ambiente e si lancia in una doppia promessa: “Faremo di Lentini la nostra bandiera in vista della pronta risalita in A”. Il secondo anno coincide con l’arrivo in panchina di Mondonico, uno che sa come prenderlo e che lo guiderà in un percorso di crescita fatto anche di sacrificio, di corse indietro per dare una mano ai compagni, e non solo di dribbling puntando la porta. Lentini è maturo, esordisce in Nazionale, con il Torino giunge quinto, che significa partecipazione alla Coppa Uefa. Trofeo solo accarezzato l’anno dopo, nella terza stagione in granata (1991-1992), quella della doppia finale con l’Ajax di van Gaal, immeritatamente persa per la regola dei gol fuori casa (2-2 a Torino, 0-0 ad Amsterdam, dove però il conto dei pali colpiti fu di 3-0 per i granata). In campionato la squadra chiude al terzo posto, ma proprio quando i tifosi iniziano a sognare arriva il brusco risveglio.

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Il pre-accordo della discordia

Nel marzo 1992, infatti, mentre Lentini è in ritiro con la Nazionale, Borsano firma un accordo con Berlusconi, promettendogli la cessione del suo gioiello per la cifra neanche così astronomica di 14 miliardi. Nella versione poi riferita da Borsano si tratta di un preliminare di accordo che sarebbe scaduto a mezzanotte del 30 giugno e che era comunque legato alla volontà di Lentini di trasferirsi.

Il presidente informa il giocatore della possibilità, lui risponde di voler restare al Torino e così “di fronte al rifiuto di Lentini ritenevo che l’intesa fosse da considerarsi nulla. E infatti il Torino ha condotto la sua campagna acquisti e vendite sulla base della permanenza in granata del giocatore”. Tradotto: per salvare il bilancio, il presidente ha già ceduto capitan Cravero (luì sì, bandiera, che sventolava da quasi un decennio e che la prende malissimo) e Policano, sacrifici necessari per tenere in squadra Lentini. Che però, la sera del 30 giugno, firma per il Milan.

A Milano senza benzina

Decisivo un incontro ad Arcore qualche giorno prima, con Berlusconi che fa prelevare con un elicottero Lentini, lo accoglie nella sua villa e lo ammalia con cifre da capogiro, alle quali, ammetterà lo stesso giocatore, “era impossibile dire di no”. Non mancano i tentennamenti dell’ultimo minuto, con il procuratore Pasqualin che racconterà di aver portato il suo assistito a Milano per la firma e di non essersi fermato nemmeno a fare benzina, temendo che potesse fuggire dall’auto, tanto era tormentato dai dubbi. Alle 19.20, però, Galliani è in Lega a depositare il contratto, su cui ci sono le firme di tutti.

Il giorno dopo, scoppia la rivolta. Al mattino si inizia con pacifiche raccolte di firme fuori dal Filadelfia per chiedere le dimissioni di Borsano, ma in serata è caos. Circa duemila ultras si ritrovano davanti alla sede della società in corso Vittorio Emanuele, sfondano due cancellate, sfasciano un paio di automobili parcheggiate all’interno di un cortile, spaccano i vetri delle finestre del piano terra, danno fuoco ai cassonetti dei rifiuti. Un vigile del fuoco resta ferito alla testa e viene trasportato in ospedale, le forze dell’ordine devono ricorrere ai lacrimogeni per disperdere la folla inferocita. “Se Lentini se ne va bruceremo la città”, il coro più gettonato assieme a “Borsano vendi tuo figlio”. Non viene risparmiato nemmeno Gigi, il “traditore” che “l’ha fatto per la grana”, costretto a uscire di nascosto dalla sede dell’Ansa dove ha raccontato la sua versione, sotto una pioggia di monetine lanciate dai tifosi che anticipa di un anno quella caduta su Craxi.

Per colpa di chi?

La mancanza di chiarezza non aiuta certo a rasserenare gli animi, alla ricerca di un vero colpevole. “Se sono del Milan è perché c’è anche la firma di Borsano sul contratto. Mi sono sentito tradito quando giorno dopo giorno ho letto che il Torino stava vendendo mezza squadra e da solo non sarei servito a nulla, non posso fare miracoli”, si difende Lentini. Palla al presidente, che a sua volta la scarica dicendo di “essersi lasciato con il giocatore prima delle ferie con la promessa che al rientro si sarebbe ridiscusso il contratto con un ritocco dell’ingaggio” e di sentirsi beffato “per aver firmato un preliminare di contratto col Milan a marzo, quando i regolamenti lo vietavano”.

Di fatto un’autodenuncia nel tentativo di invalidare tutto, dettata forse dal rammarico per non essere riuscito a scatenare un’asta ancor più ricca, visto l’interesse della Juventus che si sarebbe inserita volentieri. “Non ce l’ho con il giocatore”, aggiunge Borsano, “ma con chi ha il coraggio di proporre cifre così spropositate, immorali”: 32 miliardi per 4 anni al giocatore, più 10 di “buona-entrata”; altri 23 al Torino, per un’operazione da 65 miliardi in tutto. Cifre smentite dal Milan e che saranno oggetto di un’inchiesta (in particolare i 10 milioni versati in nero a Borsano) e di un processo, concluso nel 2003 con il proscioglimento di Berlusconi per prescrizione.

L'anima del mercato

Sempre in tribunale andrà a finire la vicenda di un tifoso, Renato Ferraris, che nel giugno del 1992 aveva comprato un abbonamento in Tribuna Est per 550mila lire per poter seguire le gesta di Lentini e che alla notizia della cessione del suo idolo, sentendosi ingannato, farà causa al Torino vedendo accolto il suo ricorso in Cassazione. “Borsano ha venduto l’anima della squadra”, le parole dell’avvocato, anche lui tifoso granata. L'Italia scopre fin dove può spingersi il calciomercato, ed è solo l'inizio. Presto ci accorgeremo che per quelle cifre c’è anche chi venderebbe la propria anima al Diavolo, senza neppure finire al Milan.