Addio Michele, uomo squadra in uno sport individuale

Ciclismo

Francesco Pierantozzi

Michele Scarponi al Giro d'Italia (foto getty)

L'EDITORIALE. Un tragico incidente priva il ciclismo italiano di uno dei suoi migliori scalatori. Michele non era solo il capitano dell'Astana: era un ragazzo dalla battuta intelligente, capace di rivestire qualunque ruolo. Il buon umore di fianco alla parola Scarponi non andrà mai in fuga

La battuta intelligente, la forza dell’ironia, una di quelle persone che vorresti avere come vicino di scrivania o a tavola, perché con un sorriso, in fondo, va tutto meglio.

Michele Scarponi era davvero “forte”, e non si parla di sola bicicletta: dissacrante, acuto, uomo squadra in uno sport individuale, capace di vestire qualunque maglia, anzi ruolo, da capitano a gregario. Uno che una maglia rosa l’ha vinta senza indossarla a Milano ma a tavolino, nel 2011, proprio un modo insolito, alla Scarponi verrebbe da dire, per la squalifica di Contador. Uno che un giro l’ha fatto vincere a Nibali, giusto un anno fa, e che avrebbe riprovato a correrlo da protagonista per assenza del leader della sua squadra Aru.

Un commentatore ideale, a patto di essere pronti e di stare allo scherzo, un talent perfetto come si dice nella televisione di oggi, per un lavoro che avrebbe potuto fare senza bisogno di stage o prove. L’uomo giusto da sentire per capire l’umore del gruppo, per sapere chi fosse il corridore con la gamba giusta, la strategia ideale, per avere un suggerimento, un consiglio, la chiave di lettura. E senza frasi scontate, ricordiamoci che il buon umore di fianco alla parola Scarponi non può andare in fuga nemmeno nel momento della tragedia.