"Come i corridori sono diventati delle star": parla l'agente di Pogacar

Ci sono luoghi comuni che alla fine luoghi comuni non sono, ma semplici e inesorabili verità. Come, per esempio, la frase che spesso si sente ripetere a proposito dei grandi campioni: “Sono sempre competitivi, anche quando giocano a briscola”. Lo abbiamo visto di persona, ammirando Tadej Pogacar primeggiare anche sul campo di padel. Un momento conviviale organizzato in provincia di Brescia da Alex e John Carera, fratelli e soci della A&J, una delle più importanti agenzie nel mondo del ciclismo. Sono i procuratori del fenomeno sloveno e di tanti altri, come Nibali che dopo essere stato per anni nella loro scuderia ne è diventato da poco socio. Come ogni anno, a fine stagione ciclistica, i fratelli Carera organizzano una festa per celebrare l’anno appena trascorso in compagnia dei ‘loro’ atleti. In questa occasione la novità è stata, come detto, l’organizzazione di un torneo dell’ormai immancabile padel. Un momento prezioso per guardare da vicino tanti campioni del presente e del passato in un contesto meno ingessato e decisamente più rilassato e gioviale. Cunego, il ‘Piccolo Principe’, rimasto ancora con la faccia da eterno ragazzino. Fa capolino anche un maestro dei Ds come Martinelli. Poi Ciccone, Tiberi, Pellizzari, le nostre speranze azzurre anche per la prossima stagione, apparsi sereni e molto determinati. La prima sensazione che si ha è che il ciclismo abbia raggiunto lo stadio finale di una lunga, talvolta dolorosa, traversata nel deserto. Grazie ai fenomeni che contraddistinguono la nuova generazione di corridori, il ciclismo è tornato a vivere un’epoca d’oro come forse solo negli anni ’70 dei mitici Merckx, Gimondi, De Vlaeminck…Pogacar, Evenepoel, van der Poel, Van Aert, Vingegaard infiammano le corse e le rendono sempre spettacolari. Soprattutto, sono vere e proprie star. C’è un momento che più di altri fa capire quanto questi campioni, e in particolare uno, abbiano fatto breccia nel grande pubblico. Giro dell’Emilia, sotto una pioggia battente e un freddo autunnale. Centinaia di persone assiepate alla curva delle Orfanelle sulla salita di San Luca. Aspettano l’arrivo di Pogacar, fresco di maglia iridata, e al suo passaggio parte un vero e proprio coro da stadio in suo onore, che si sente anche dalla TV. "Perché i corridori sono diventati star globali" Certo negli ultimi anni l’ingresso nel ciclismo di vere e proprie corazzate economico-industriali ha portato a investimenti un tempo impensabili nel ciclismo. Con il risultato che gli ingaggi non solo dei capitani, ma anche dei gregari, siano diventati simili a quelli di grandi squadre di calcio. Ma gli investimenti non sono mai casuali. Come ci spiega Alex Carera, a cui abbiamo proprio chiesto di spiegarci le ragioni che hanno portato, negli ultimi 10-15 anni, a far diventare i corridori vere e proprie star globali come succede in altri sport: “Il cambiamento è avvenuto per un motivo molto semplice ma importantissimo. Prima i corridori arrivavano alla maturazione psicofisica e quindi ai grandi risultati in tarda età, quindi non riuscivano ad avere appeal sulle nuove generazioni. L’apice delle loro carriere era tra i 27 e i 30 anni. Oggi la nuova generazione, Evenepoel, Pogacar, van der Poel, è fatta di grandi campioni che riescono a vincere e a realizzare grandi imprese a 20 anni, quindi sono anche molto più longevi sportivamente parlando. Succede anche negli altri sport: quando il super talento è così precoce riesce ad avvicinare e a diventare una star non solo nel suo sport, ma anche al di fuori del suo sport”. Un cambiamento che ha portato anche a grandi trasformazioni economiche, come ci spiega sempre Alex Carera: “Questo ha fatto una grandissima differenza. Prima le aziende non potevano investire sulla lunga durata, non potevano entrare nel ciclismo perché l’atleta che vinceva il Tour o il Giro aveva già 28 o 30 anni. Oggi invece questi fenomeni così precoci permettono alle grandi aziende di investire a lunga gittata, consentono di programmare un progetto sportivo. Per questo il ciclismo oggi ha un così grande appeal su sponsor così forti, grazie a questi cinque fenomeni, e uno in particolare…”. Grandi investimenti, quindi anche grandi aspettative. Che hanno inciso anche sulla preparazione dei corridori, sulle loro scelte e sulle loro vite sportive e non solo. Se guardate gli arrivi di Pogacar, Girmay, Ciccone, quando vincono vengono subito abbracciati dal loro staff e dagli immancabili agenti. Anche nel ciclismo, quindi, accade ormai quanto è naturale e abitudine da anni in altri sport, più individuali come il tennis ma anche di squadra come il calcio. La bici è forse lo sport di squadra più individuale e lo sport individuale più di squadra. Per questa sua particolarità, abbiamo chiesto a Carera quanto è diventato importante per un corridore la costruzione di uno suo staff personale all’interno poi di squadre sempre più grandi dal punto di vista del numero, per fare sì che gli ingranaggi siano oliati alla perfezione: “La parola chiave è proprio staff particolare. Oggi una squadra World Tour ha 30 atleti più altre 120 persone circa del personale. Oggi tu non hai la possibilità di incontrarle tutte e conoscerle bene. Il grande campione quindi si crea all’interno della squadra un piccolo gruppo di persone di fiducia, un mini-team. Questo permette di essere molto più uniti: fai i massaggi con lo stesso massaggiatore, l’addetto stampa è sempre lo stesso, il Direttore sportivo è sempre lo stesso, il manager anche…crea un team, perché l’aspetto psicologico ai massimi livelli fa la differenza, ti permette di sbagliare meno e oggi i particolari ti permettono di vincere o ti fanno perdere un grande evento”. Non potevamo non chiedere ad Alex, che con la sua agenzia investe molto sui giovani, una sua idea sullo stato del ciclismo italiano che sembra aver perso competitività rispetto ad altre nazioni: “Abbiamo dei talenti che hanno bisogno di maturare. Per nostra cultura, normalmente in Italia il corridore matura leggermente più tardi rispetto ai ragazzi del nord o est Europa. Bisogna avere un po’ più di pazienza, ma il talento ce l’abbiamo. Avremmo bisogno di più strutture per allargare la massa dei partecipanti soprattutto in età giovanile. Se tu hai più sicurezza, più piste ciclabili, come nel nord Europa o persino in Slovenia, tu hai più bambini che gareggiano e di conseguenza più atleti che possono ambire al professionismo in futuro. Quindi il talento singolo ce l’abbiamo, da Tiberi a Pellizzari e Ciccone, ma ci manca la base. E la base si costruisce dando più sicurezza ai genitori, facendo sì che il ciclismo sia sicuro, bello e che possa diventare interessante per il futuro dei loro figli”. Ci stiamo per salutare, ma la curiosità è tanta anche sul ruolo dell’agente. Bisogna essere un po’ squali, con l’esterno, e molto protettivi con i propri atleti: “Il tuo cliente è sempre e solo l’atleta. Con lui devi essere sempre trasparente, professionale, serio, diretto, a volte anche un po’ psicologo. Ma quando dall’altra parte del tavolo ci sono i team manager…con loro devi essere tanto professionale, poco trasparente e molto ‘squalo’, altrimenti non fai l’interesse del tuo cliente”. Risposta sincera e diretta. Il tempo è finito, ci sarebbero altre mille domande, ma c’è la festa e prima il torneo di padel. Inutile dire che Tadej Pogacar ha alzato una coppa anche lì.

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