Milan in maglia verde al Tour: Johnny be…good

His mother told him someday you will be a man And you will be the leader of a big old band Many people coming from miles around To hear you play your music when the sun go down – Chuck Berry, Johnny B. Goode Ed eccolo Johnny, suonare con la sua band il brano più dolce, per l’Italia del ciclismo, sul palco di Parigi, dietro l’Arc de Triomphe. Jonathan Milan conquista la maglia verde al Tour de France. Terzo italiano a vincere la classifica a punti. Quindici anni dopo Alessandro Petacchi, che la vinse nel 2010 alla Lampre, fino al 2016 l’ultima squadra italiana al massimo livello professionistico. Il primo fu Franco Bitossi nel 1968 , detto ‘cuore matto’ per via delle bizze che i suoi battiti cardiaci ogni tanto lo facevano penare. Ciclismo di un’altra epoca, impossibile oggi anche solo da immaginare. Ere geologiche, nelle quali il movimento italiano in generale, pur non primeggiando, contava comunque tantissimo. Eddy Merckx, per dire, fece la propria fortuna prima alla Faema e poi alla Molteni, con costruttori come Ernesto Colnago e Ugo De Rosa. Le squadre italiane erano tra le più ambite e più preparate, dal punto di vista tecnico, tattico, strategico. Il meglio delle aziende costruttrici era nel nord Italia, in particolare a Milano e dintorni. C’era la passione di imprenditori visionari ed era, certo, un ciclismo in cui si poteva competere senza gli investimenti faraonici indispensabili nel mondo contemporaneo. Oggi dell’Italia a pedali restano tanti tecnici davvero in gamba e contesi. Il gran capo della Lidl-Trek, la squadra di Jonathan Milan, è Luca Guercilena. Uno storico direttore sportivo della Soudal-QuickStep, il team del cosiddetto ‘Wolfpack’, e sommo stratega del capolavoro di Valentin Paret-Peintre sul Ventoux, è Davide Bramati. Alla Tudor c’è Matteo Tosatto, alla UAE Emirates di Pogačar ci sono Fabio Baldato e Marco Marcato. Alla Ineos Grenadiers, sin dai tempi del Team Sky, lavora Dario Cioni, preparatore anche di Filippo Ganna. Solo per fare degli esempi presenti a questo Tour. Resistono squadre tenute in piedi dalla passione e da equilibrismi economico-finanziari non indifferenti. E poi c’è qualche talento a cui restare, disperatamente, aggrappati. Uno di questi è Jonathan Milan. Il ‘Toro di Buja’, friulano doc, ha solo 24 anni e già un palmarès di tutto rispetto. Solo per citarne i successi più importanti: oro olimpico su pista nell’inseguimento a squadre a Tokyo 2021 e bronzo a Parigi 2024. Due volte maglia ciclamino al Giro d’Italia, 2023 e 2024, in altrettante partecipazioni e vincendo in tutto quattro tappe: una il primo anno, tre il secondo. La sua prima Grande Boucle è stata il suo esame di maturità: qui era venuto per capire se fosse davvero già uno dei velocisti più forti al mondo. A differenza di certi studenti ignari del concetto di ‘panico epistemologico’, per cui la strada più facile e più spettacolare è tirarsi indietro urlando una protesta, vana, dal sapore autoassolutorio, Milan gli esami all’università del ciclismo li ha affrontati a viso aperto. Perdendo e vincendo. Accettando e analizzando il verdetto della strada, l’unico metro per crescere. Senza un giudizio, non c’è appello. E allora ripercorriamolo questo suo debutto al Tour. La prima tappa era un obiettivo dichiarato: vincere, e indossare la prima maglia gialla, all’esordio assoluto in terra di Francia. Sarebbe stato un sogno spettacolare. Eppure, lungo i 185 km intorno a Lille, sede di partenza e di arrivo, lui e la sua squadra vengono sorpresi dai tanto temuti ventagli. Forse gli unici davvero determinanti di questo Tour. Davanti, la Visma-Lease a bike e la UAE Emirates-XRG tirano e la Lidl-Trek non riesce a ricucire. Tappa e maglia a Jasper Philipsen che in volata brucia Biniam Girmay e Søren Wærenskjold. Jonathan Milan, 39° a 39”, vince lo sprint degli inseguitori ma è rimandato. Amaramente. Alla terza tappa il primo esame di riparazione: frazione da Valenciennes a Dunkerque. Questa volta Jonathan in volata ci arriva nelle migliori condizioni ma commette uno di quegli errori su cui tanto ha lavorato e continua a lavorare. Un errore di tempismo, che consente a Tim Merlier di batterlo di un niente. Bocciatura? Uno che si chiama 'Toro di Buja' non si fa domare così facilmente. Ha le spalle larghe e un fisico imponente: 194 cm di altezza per 84 kg di peso, potenza devastante ma anche la difficoltà di reggere il passo sulle salite più dure, ancor più in un ciclismo in cui gli arrivi dedicati agli sprinter puri sono sempre più rari. Non dimentichiamo, però, nei tanti sprint intermedi, i punti accumulati per la maglia verde. Oltre al successo di tappa, l’altro grande obiettivo della sua squadra. Finalmente il primo squillo, 8ª tappa: da Saint-Méen-le-Grand a Laval . Qui l’errore di Dunkerque non viene ripetuto, nelle riprese dall’alto si vede proprio come Johnny stia per partire e poi invece aspetti quell’attimo in più che gli consente il giusto tempismo che sulla spiaggia del Nord gli era mancato. Una vittoria imperiosa. Dopo 113 tappe e sei anni un italiano torna a vincere una frazione al Tour de France. La necessità, non solo dei media, di rimarcare la durata dell’attesa dimostra già quanto il ciclismo italiano debba agire per fare qualcosa. Quasi un "Do something…" draghiano per quanto sia urgente, inevitabile, non più rimandabile. Il giorno dopo Laval, Milan perde l’occasione di fare una doppietta memorabile, battuto ancora da Tim Merlier. Qui c’è un altro ribaltamento, le scelte giuste del giorno prima diventano sbagliate il giorno dopo. Sono così le volate: a volte si azzeccano, altre si commette quel minimo errore di tempismo, di decisione, che può costarti la vittoria. Ma nella 17ª tappa, la Bollène-Valence, ultima occasione per gli sprinter, Milan e compagni compiono il capolavoro della sua consacrazione. Prima i suoi, sotto la pioggia battente, guidati da 'Capitan America' Quinn Simmons e da Jasper Stuyven, rintuzzano fughe e attacchi. Poi ci pensa lui, Johnny. Merlier gli sta a ruota, lo teme, e questo costa al belga il coinvolgimento nella caduta all’ultimo chilometro in cui finisce a terra Bini Girmay. Sotto l’acqua, Milan stacca di mezza bici un altro belga, Jordi Meeus. Braccia alzate, doppietta proprio come Petacchi nel 2010 e Bitossi nel 1968. A quel punto, tra lui e Parigi, restavano solo due scogli. Primo, il cannibalismo di Tadej Pogačar; un paio di vittorie dello sloveno avrebbero potuto compromettere il dominio di Milan nella classifica a punti. Secondo, le durissime salite della terza settimana. La maglia gialla però, forse stanca, forse stufa, non esercita sulle Alpi la stessa voracità mostrata sui Pirenei con le vittorie a Hautacam e sul Peyragudes. A questo punto, a favore di Milan entra in gioco la squadra. Non solo preziosissima nel preparargli il terreno verso le volate, ma anche e soprattutto per scortarlo fino all’arrivo lungo frazioni durissime, specie per uno con quel fisico. Simone Consonni, amico e compagno di squadra anche in nazionale olimpica, Thibau Nys, il già citato ‘Capitan America’ Simmons , Toms Skujiņš, Jasper Stuyven e Dylan Teuns. Occorre ribadirlo, una volta di più: il ciclismo è lo sport individuale più di squadra, e quello di squadra più individuale che esista. Il team risulta sempre più fondamentale, essenziale . Una squadra, la Lidl-Trek, che ha come general manager Luca Guercilena. Noi di Sky Sport eravamo andati a trovarlo a casa, un paio di giorni prima della partenza della Grande Boucle. Ci aveva spiegato molto di quanto poi abbiamo visto. E soprattutto ci ha raccontato dello spirito di un team, che certo non ha un budget paragonabile a quello della UAE Emirates-XRG o della Visma-Lease a bike, ma che sa stare al tavolo dei grandi con estrema competitività, senza complessi di inferiorità. Guercilena ci aveva poi anche indicato, in modo dettagliato, cosa serve, con la massima urgenza, al ciclismo italiano per tentare – almeno tentare – di tornare grande. Oggi un velocista tra i migliori al mondo ce l’abbiamo. E con lui anche qualche giovane di belle speranze , per quanto ancora tutte da verificare, per le grandi corse a tappe. Di sicuro ci mancano finisseur, corridori da classiche, alla Paolo Bettini per stare all’ultimo fuoriclasse azzurro del settore. Ma ora in testa risuonano le note romantiche e malinconiche di una bella festa appena finita, come quella della Grande Boucle. E se Parigi è così immensa e tu non hai paura come me, per queste strade di Francia io vengo con te… – Daniele Silvestri, Strade di Francia Ora solo champagne, di quello buono. Parigi val bene un Pas Dosé, di quelli rari e pregiati. Da stappare in onore di Jonathan Milan, un ragazzo friulano che ha superato l’esame del Tour, laureandosi a pieni voti. "Solo nei prossimi giorni mi renderò davvero conto di quello che ho fatto" ha dichiarato dopo l’ultima tappa. Si renderà conto di aver compiuto un’impresa, cadendo e rialzandosi, perdendo e poi vincendo: così si impara, da sempre. Ha una maglia verde, gli dona tantissimo come le due ciclamino conquistate al Giro d’Italia. Se le è meritate. Il verde, banalità, è speranza. E Johnny, da oggi, è ancora di più certezza.

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Alberto Pontara