Ayrton, poesia al volante: storia di un mito eterno

Formula 1
Ayrton Senna ha conquistato in carriera tre titoli mondiali in Formula 1
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1° MAGGIO 1994. Esattamente venti anni fa, a Imola, moriva in un tragico incidente uno dei campioni più amati di sempre. Le imprese in pista, il lato spirituale e l'amore sconfinato per il suo Brasile

di Lucio Rizzica

Nel momento in cui l'ho visto così immobile e stretto nell'abitacolo dopo l'impatto, il capo adagiato su un lato del corpo, ho pensato subito "è morto". Un brivido mi ha percorso la schiena, ho abbassato gli occhi e la tristezza si è impadronita di me. Come un flash il pensiero è corso al povero Roland Ratzenberger già vittima sul circuito di San Marino, nel weekend apertosi con lo spaventoso incidente dal quale Rubens Barrichello era però uscito fortunatamente vivo. Quell'anno Imola era maledetta e si era capito subito. E quel casco che reclinava, la fissità di Ayrton e l'agitazione tutta intorno fatta di gesti sempre più disperati ma sempre più lenti dei soccorritori non lasciavano oramai più spazio all'immaginazione né alla speranza, tantomeno ai miracoli.

Poesia al volante - Penso a Vinicius De Moraes: "il materiale del poeta è la vita… la più umile delle arti, ma la più eroica perché la vita per tutti è un fatto quotidiano. E l'apparente inutilità della poesia dà al poeta la forza di non compromettersi mai con i padroni della vita, poiché il suo unico padrone è la vita stessa". Poi mi dico: Ayrton Senna al volante era poesia. Padrone di se stesso, anche di fronte alla morte. Ai medici che tentarono di salvarlo apparve come sempre: bello, sereno, con lo sguardo triste.



Il campione silenzioso - Metodico e geniale, competente, amato dai meccanici per la sua partecipazione intelligente alla preparazione delle monoposto, Senna aveva l'animo allegro e lo sguardo triste del brasiliano venuto a sciorinare bellezze: come Pelé, come Gisele, come Caetano. Solo più silenzioso. Si esprimeva attraverso il rombo delle macchine che faceva volare, al sole o nella pioggia, portandole al limite, là dove nessuno sapeva condurle.

L'uomo dietro al pilota - Ayrton non amava i giornalisti, ma amava gli amici suoi e di papà Milton: poco importa se nella vita fossero giornalisti. Prima veniva l'amicizia. Sullo stesso piano della fede e dell'amore per il prossimo più bisognoso. E c'erano le corse, le motociclette, le belle donne, la meticolosità, l'attenzione per i particolari. Quell'attenzione che gli aveva fatto dire 24 ore prima della sua ultima gara: "Al Tamburello ci sono troppe ondulazioni, l'asfalto ha un colore diverso, la pista è peggiorata". Una battuta. Forse una premonizione.

La tragedia - Ma nonostante tutto si fidò di se stesso e sfidò il pericolo, come sempre. Amava vincere, divertire il pubblico, dare sfogo al suo istinto fortemente competitivo. Avrebbe vinto moltissimo Senna, ci avrebbe regalato duelli memorabili con Michael Schumacher in futuro. Se solo fosse sopravvissuto a quel maledetto 1° maggio di venti anni fa. Un piantone dello sterzo, una Williams imbizzarrita, un braccetto che penetra nella visiera, il buio. Ayrton non era mai banale, sulla Ferrari sarebbe stato imbattibile, raramente commetteva errori. Morì per colpe non sue: una modifica per passare i controlli, una boccola che si stava rompendo. Senna era l'uomo delle intraversate, sempre appeso a un filo invisibile, talentuoso per natura come nessuno, quando non esistevano i computer e l'elettronica esasperata. Quando tutto dipendeva da un giro di vite, da una traiettoria, da un piede sensibile o cattivo.

Il saluto del Brasile - Senna era divino, sia detto senza irriverenza. Passionale. Non era un solo un pilota ma un sentimento nazionale: una presa di posizione in difesa del lavoro duro e della religione, degli umili, del successo sudato. Un idolo positivo e affidabile negli anni in cui il Brasile viveva la sua maggiore crisi di autostima. Il suo corpo vegliato nella Camera Municipale di San Paolo fu visitato da una fila interminabile di persone che volevano ringraziarlo perché "Senna aveva insegnato ai brasiliani a non aver vergogna di essere brasiliani".



Orgoglio verdeoro - Disse una volta: "Prego regolarmente perché mi fa progredire e non per abitudine. La morte? Arriverà. Potrebbe essere oggi o da qui a cinquant'anni, l'unica cosa certa è che verrà". Quando la morte arrivò per Ayrton, arrivò per tanti e morì per sempre anche un bel pezzo di quel Brasile migliore che si ispirava a lui.​