Seb & Schumi, italiani di Germania separati alla nascita

Formula 1

Mara Sangiorgio

Impossibile domenica scorsa in Malesia non rivedere i gesti di Schumacher, la gioia di Schumacher e la dedizione di Schumacher. Vettel veloce quando serviva, perfetto e freddo nella gestione della strategia. Analogie e differenze tra due grandissimi

Così uguale, ma anche così diverso. Impossibile domenica non rivedere i gesti di Schumacher, la gioia di Schumacher e la dedizione di Schumacher. In molti in questi ultimi mesi hanno continuato a sottolineare quanto in meticolosità e approccio al lavoro Seb e Michael siamo praticamente identici, uno la copia carbone dell'altro, per rubare proprio le parole al team principal Maurizio Arrivabene. Mai stanchi di capire, analizzare, stare nel box.



Schumacher voleva essere perfezionista in tutto. Difficile, se non impossibile, trovare qualche sua dichiarazione in italiano nonostante i 14 anni alla Ferrari. Il minimo errore in una lingua che alla fine non era la sua era per lui inaccettabile. Vettel in questo è molto simile. Anche se poi a tradirlo è l'emozione e l'entusiasmo: nelle chiacchiere con i meccanici a fine serata - in italiano - nei grazie e nei team radio.



Entrambi, prima Michael e poi Seb, incorporati, come inglobati nelle rispettive monoposto. Bravi a ottimizzare una macchina che dovevano e devono sentire cucita su di loro. Molto diversi ad esempio da Fernando Alonso, capace di andare al di là, tirare fuori qualcosa di più anche da una monoposto lontana dalla perfezione.

Anche nella gestione della gara di Vettel in Malesia è stato possibile rivedere molto di Schumacher: veloce quando serviva, perfetto e freddo nella gestione della strategia. Il corpo a corpo è forse una delle poche cose in cui i due tedeschi sono diversi: animale e instintivo Schumacher, razionale e meno cattivo Vettel, cresciuto più al simulatore che in pista. Due epoche della Formula Uno e due piloti. Uguali e diversi, ma con lo stesso grande obiettivo: far sognare guidando una Ferrari.