Ciao Jules, ragazzo dallo sguardo gentile e leone in pista

Formula 1

Carlo Vanzini

Jules Bianchi non ce l'ha fatta: il pilota ha lottato a lungo dopo l'incidente dello scorso anno a Suzuka (Foto Getty)

IL RICORDO di Carlo Vanzini. Chi era Bianchi oltre quel maledetto 43° giro in Giappone? Uno che lottava su ogni pallone, su ogni punto, quando ci si trovava, prima di ogni gara, a giocare a calcio oppure a tennis. E così faceva anche nel suo quotidiano

"Allora abbiamo il campo, a che ora giochiamo?". Jules vogliamo ricordarlo in modo diverso, per il ragazzo che amava la vita, amava muoversi, non stare mai fermo, come invece il destino tragico l'ha costretto da quel terribile 43° giro del Gran Premio del Giappone. Lottava sempre su ogni pallone, su ogni punto, quando ci si trovava, prima di ogni gran premio, a giocare con lui a calcio o a tennis. Organizzava sempre lui, ci teneva, a quello che era diventato un appuntamento ormai fisso. Non voleva mai perdere, guai, e allora giù a spronare i compagni.

Noi un po' più vecchiotti facevamo fatica a stargli dietro, e qualche fallo ci scappava. Ma anche lui, pur richiamandoci all'attenzione sul fatto che doveva guidare, non disdegnava a mettere la gamba, deciso. La sua voglia e la sua determinazione le vedevi lì, vedevi la sua voglia anche di cercare il gesto o il colpo a sorpresa, ma sopratutto vedevi il lato umano di un pilota, lontano dal jet set, dalla mondanità e da quel chiudersi, come molti fanno, nella gabbia dorata del Paddock. Il lato umano, poi a mangiare un piatto di pasta o un pizza, come tutti i ragazzi dopo una partita a calcetto, a discutere delle  azioni, delle giocate, dei contrasti duri, fatti o subiti e a ridere, a parlare della vita, senza mai toccare l'argomento F1. Un ragazzo come tanti, come tutti, ma che di mestiere e passione aveva scelto il rischio della velocità, aveva scelto di fare il pilota di F1.

Ed ecco la frase puntuale, "vado a dormire", a ricordare che, ovvio, non era lì per giocare a pallone, ma era pronto con le stesse determinazione ed entusiasmo a salire in macchina, il giorno dopo, per le prove che dovevano iniziare. Lo sguardo gentile, ma la furia in corpo a voler dimostrare che pur guidando una Marussia, scendeva in pista ogni volta per vincere, non poteva farlo, ma l'approccio era quello, con la massima serietà e dedizione, aspettando la chiamata importante dalla Ferrari che se lo coccolava, perché rappresentava l'ormai prossimo futuro. Ogni qualifica e ogni gara erano una sfida, battere il compagno di squadra e le Caterham la sua pole e la sua vittoria. Anche qui si è spinto oltre, conquistando con una magia i primi punti a Monaco, un'impresa.

Lo ricordava Vergne, dopo l'incidente in Giappone: "è abituato alle imprese, ne farà un'altra". L'impresa l'ha fatta ancora, restando aggrappato alla vita, mentre tutti lo davano già per morto, quella stessa domenica, gli stessi dottori giapponesi, ancora a voler dimostrare che il suo spirito non ha mai smesso di lottare. Lottando contro l'impossibile ci ha lasciato, si ci ha lasciato fisicamente, ma ci ha lasciato soprattutto quella sua voglia di vivere, quella sua voglia di lottare sempre ma soprattutto ci ha lasciato quel suo essere vero! Ciao Jules, ragazzo dallo sguardo gentile.