Il pilota della Mercedes si racconta sulle pagine del numero di aprile di GQ. Parla dei suoi sogni, del suo talento ("un dono di Dio"), del suo rapporto con la fede e della differenza tra lui e la "vecchia guardia"
Un Lewis Hamilton tra il sacro e il profano. Dopo il secondo posto conquistato al Gp dell'Australia, primo impegno della stagione 2017, il pilota della Mercedes si è raccontato sulle pagine di GQ di aprile. Sulla copertina sembra James Dean: stesso sguardo e stessa t-shirt bianca. Espressione che ha suggerito il titolo: "L'arroganza del talento". Nel magazine si parla di questo ma soprattutto del suo sogno: "Diventare il migliore di sempre, come Muhammad Ali".
Il talento e la fede
Riuscire a guidare come faccio io, in mezzo a venti piloti affamati, è un dono - racconta Hamilton -. È un regalo di Dio che non ho voluto sprecare: per me stesso, per la mia famiglia, in onore del destino. Sono cattolico, sono un uomo di fede e prego più volte al giorno: quando mi sveglio, quando vado a letto e prima di ogni pasto. Ho una relazione stretta con Dio, lo ringrazio, chiedo aiuto per gli amici in difficoltà. E domando appoggio per me stesso quando lo stress diventa troppo forte".
La differenza con la "vecchia guardia"
Il tre volte campione del mondo di F1 ha parlato anche di quando era giovane, quando era difficile emergere e di come ce l'ha fatta, non proprio ricalcando l'idea di pilota della "vecchia generazione". "Sono cresciuto sentendomi ripetere che non ce l'avrei mai fatta. E da quel giorno, provare alle persone che si sbagliano mi dà gran gusto. È una delle energie che mi muovono. La vecchia generazione di piloti viveva così: sveglia, gara, cena, letto. Stop. L'unico modo per essere competitivi, dicevano, è quello lì. Ecco, mi vorrebbero quadrato, omologato. Per me, invece, andare alle sfilate di moda a Milano, una settimana prima dell'inizio della stagione, non è accettabile? Io ci vado. Uscire la sera che precede un Gran Prix? Lo faccio e poi mi presento in pista e corro al meglio. Evadere dagli schemi, spostare i limiti, è il mio obiettivo".
La pressione da sopportare
Hamilton ha raccontato cosa significa essere sempre al top: per vincere ed essere sempre nelle prime posizioni bisogna gestire tanta pressione. Gara dopo gara. "Se il tuo obiettivo è diventare il più grande, la pressione da gestire è quasi inimmaginabile. C'è la competizione, feroce in sé, e poi ci sono i media che nella sconfitta cercano di approfittarne e infieriscono. Nel cuore e nella mente è come se si liberasse l'energia di una bomba atomica, da assorbire in un mondo dove esiste solo il primo posto. Se arrivi secondo, hai perso".
Obiettivo: "Essere il più grande di tutti"
Hamilton non ha intenzione di ritirarsi a breve. L'obiettivo è "diventare il migliore di sempre, come Muhammad Ali. Se saranno cinque anni, saranno cinque anni in cui migliorerò senza sosta. Alla naturalezza con cui guido voglio aggiungere nuovi strumenti. Ma adesso ho ancora strada da fare".