Formula 1 GP Messico 2018. Cosa vuol dire correre in altitudine a Città del Messico

Formula 1

Paolo Filisetti

Sky Sport Tech - L’impatto della rarefazione dell’aria in alta quota sulle prestazioni di una Formula 1: dall’assetto al raffreddamento, dal motore endotermico alla Power Unit ecco tutto quello che c’è da sapere. Il GP è in diretta su Sky Sport F1 e su Skysport.it in live streaming

GP MESSICO, LA CRONACA DELLA GARA

Dove impatta la rarefazione dell’aria?

Città del Messico, posta ad oltre 2200m slm, è la sola località sede di una tappa del Mondiale F1, in alta quota. Ciò determina, per via della rarefazione dell’aria, un impatto tutt’altro che trascurabile, sull’aerodinamica delle monoposto, sullo scambio termico garantito dai radiatori, ma anche sull’efficienza della power unit, sia a livello di propulsore endotermico, sia di recupero dell’energia, ovvero di ricarica della batteria.

Città del Messico come Montecarlo o Monza?

La configurazione aerodinamica adottata è, a tutti gli effetti, quella di Montecarlo, caratterizzata dalla massima incidenza delle ali. Ciononostante è significativo, che il carico generato sia inferiore a quello di Monza, così come la resistenza all’avanzamento. Per chiarire quantitativamente cosa ciò significhi, basta considerare che con questa configurazione, le monoposto raggiungono sul lungo rettilineo di partenza, una velocità massima prossima ai 370Kmh. Solo l’ampia sezione frontale incrementata negli ultimi due anni dalla larghezza degli attuali pneumatici, impedisce un valore migliore. Il carico generato, in ogni caso, a parità di incidenza rispetto ad un tracciato ad una quota inferiore, è ridotto del 30 percento.

Come detto, la bassa densità dell’aria ha un impatto sostanziale, anche per quanto riguarda lo scambio termico garantito dai radiatori. Poiché, ovviamente, non è possibile incrementare le superfici radianti, la soluzione adottata da tutti i team, è rappresentata dall’incremento di aperture/sfoghi per lo smaltimento dell’aria calda in uscita dai pacchi radianti. Si nota, infatti, un incremento delle feritoie poste ai lati dell’abitacolo, della sezione della carrozzeria posteriore (meno chiusa), e l’introduzione di sfoghi verticali sul cofano motore. In condizioni normali, queste modifiche implicherebbero un sostanziale peggioramento del rapporto carico/resistenza, cioè dell’efficienza. In questo caso, però il riscontro negativo, è trascurabile, non costituendo quindi un freno alle performance velocistiche della monoposto.

E’ interessante notare, che anche il raffreddamento dei freni è meno efficace, e considerato quanto sia strategica la gestione della pressione dei pneumatici, non costituisce un fattore secondario nel condizionare le prestazioni della vettura. E’ infatti di estrema attualità la polemica che è scaturita dai mozzi/ cerchioni forati della Mercedes, certamente per la lettura al limite, della norma che impedisce la presenza di elementi aerodinamici mobili (art. 3.8 del regolamento tecnico), ma anche per la capacità dimostrata nel tenere sotto controllo le pressioni dei pneumatici posteriori della W09.

Fine delle polemiche sui cerchi Mercedes?

È recentissima (giovedì sera), la pubblicazione di una risposta dei commissari sportivi del GP del Messico, ad una richiesta specifica della Mercedes, di porre fine alla diatriba sui cerchi “areati”. La soluzione adottata, è stata giudicata legale.  La tempistica adottata dalla Mercedes, per formulare la richiesta in oggetto, è tutt’altro che casuale. Avendo ottenuto l’ok dai commissari di questo GP (la cui giurisdizione, però si limita a questo evento) le W09 potranno adottare qui cerchi e mozzi, aperti, come prima di Austin. Ritornando al ridotto raffreddamento dei freni, è evidente quanto Mercedes, temesse l’eventualità di un innesco delle condizioni ideali per la formazione di blister sui pneumatici posteriori. In ogni caso, la polemica non è affatto chiusa, in quanto la decisione dei commissari locali, come detto, non ha valore di direttiva regolamentare permanente.

Cosa succede alla power unit?

L’ultimo elemento che subisce la rarefazione dell’aria è la power unit. Da un lato, la minore densità e soprattutto quantità di ossigeno presente, riduce l’efficienza della combustione, ma anche la portata del turbo compressore, generando come conseguenza una riduzione della massima potenza erogata. Per ovviare a questo problema, la MGU-H su questa pista, lavora in modalità prevalente di rilascio energetico, per incrementare il regime di rotazione del turbo compressore. In questo modo si riduce il ritardo del turbo ed il calo prestazionale descritto. Questa soluzione, però, paga un prezzo non trascurabile a livello di recupero dell’energia. Infatti, riducendo drasticamente l’intervallo della fase in modalità di ricarica della MGU-H, si riesce ad ottenere in ogni giro, una ricarica solo parziale della batteria. Quest’ultimo fattore dimostra che non esiste, di fatto, una soluzione miracolosa senza controindicazioni e che quindi, come per altri parametri predominati nel bilancio prestazionale di una F1, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un compromesso.