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Formula 1, anniversario Senna: quando il Brasile perse il suo dio

Formula 1

Lucio Rizzica

Sono passati 25 anni dalla scomparsa di Ayrton Senna, uno dei piloti più popolari, amati e rimpianti di sempre. Quando morì il 1° maggio 1994, morì insieme lui un'intero Paese, il Brasile, abituato a tutto ma non a smarrirsi nel lutto della leggenda

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Non esiste un solo appassionato di motori che non conosca il nome di Ayrton Senna. Non esiste un solo brasiliano che non abbia almeno per una volta nella sua vita sentito nominare Ayrton Senna. Non esiste un solo abitante della terra, chiunque e ovunque dimori su questo acciaccato pianeta, che prima o poi nella sua vita, non abbia già fatto o dovrà fare i conti con la figura di Ayrton Senna. Uno dei piloti più popolari, più amati e più rimpianti di sempre. Senna sta al mondo dello sport e non soltanto della Formula 1 come James Dean al cinema o John Lennon alla musica, come Ernest Hemingway alla narrativa, Charles Baudelaire alla poesia. E' il trait d'union ideale fra il mondo sportivo e la dimensione del mito. Ogni volta che piove, che risuona l'inno brasiliano, che sventola la bandiera 'ordem e progresso' e in sottofondo si ode il rombo di un motore, il pensiero non può che correre ad Ayrton Senna. Un bimbo chiamato "Becão" una abbreviazione di quella parola che a 4 anni non sapeva ancora pronunciare, "Caneco", caraffa o più precisamente boccale, ma che ne reggeva uno pieno di latte con una mano, mentre con l'altra sottometteva lo sterzo della sua prima automobilina a pedali al proprio volere. Il segno di un destino già tracciato da vivere a trecento all'ora, una autostrada per la gloria percorsa con talento, coraggio e poche soste, dedicate a qualche amore, alla famiglia, a pochi ma sinceri amici, a Dio, alla sua gente. Un uomo tanto spietato in pista quanto fragile in privato. Temuto, rispettato, venerato ma pur sempre un esempio da seguire, un fratello da amare, un figlio da piangere. Quando pianse per Senna, non pianse solo un Paese, ma pianse tutto il mondo. Con la sua morte quel maledetto giorno di un quarto di secolo fa non spariva solo un campione, ma se ne andava un genio, una divinità, un eroe. Non moriva un minuscolo frammento di un Paese immenso come il Brasile, ma moriva tutto il Brasile. Abituato a tutto. A perdere un mondiale di calcio, sopportare una dittatura, resistere alla povertà, combattere con la violenza, arrampicarsi alla vita. Ma non pronto a smarrirsi nel lutto per Ayrton. Né allora, né oggi, né mai. Perché era esempio, fonte di ispirazione, speranza e riscatto di un Paese intero. E una delizia, un appagamento per chiunque amasse e ami i motori, la F1, lo sport. Il giorno in cui morì Ayrton, non morì un pilota, se ne andava una leggenda.