Senna aveva tutto: ho corso con lui in F1, ma è sui kart che ne compresi la grandezza
IL RICORDOImmenso, impareggiabile, inimitabile, immortale. Questo era ed è il pilota Senna. Quello che ha fatto nella sua carriera è noto, ma la grandezza di Ayrton a me fu chiara già nel 1979, vedendolo girare sui kart. Da avversari abbiamo corso in F1, ma di lui conservo soprattutto un ricordo che risale all’inverno 1992: festeggiammo l’arrivo del nuovo anno nella sua casa di Angra Dos Reis. Vidi l’Ayrton privato. Ragazzo semplice, unico e che amava la vita
Immenso. La grandezza di Ayrton l’ho scoperta quando il mio meccanico dei kart, Vittorio Cò, per festeggiare la nostra vittoria nel Campionato Italiano Cadetti, mi invitò alla gara del Mondiale del 1979 all’Estoril in Portogallo. Seduti sulla tribuna principale per guardare i piloti che stavano girando, mi disse. "Dimmi da quale pilota devi imparare tutto quello che fa". Erano 100 i kart impazziti nelle traiettorie che tra rettilineo principale e retrobox si scatenavano per trovare assetto e velocità. In mezzo a tutta quella frenesia collettiva, un casco giallo spiccava, per postura adottata nella seduta e per la fisicità con cui guidava. Era l’unico ad “ingrassare” il motore in fondo al rettilineo, aumentando la portata di miscela, tenendo in frenata una sola mano sul volante e la destra sul carburatore con il kart in derapata. Ayrton Senna Da Silva, nato con la velocità nel sangue, dimostrava di essere speciale fin dai primi giri e non a caso tutti lo guardavamo e tutti cercavano di imitarlo; in verità con poco successo. L’arrivo in Formula 1 è stato naturale perché un talento come il suo ha destato immediato interesse nelle squadre più blasonate. Non a caso fece dei test con Williams, Brabham e McLaren. Eppure, alla fine del 1983 scelse la Toleman. Monoposto che lo stesso Ayrton indicava con buon potenziale ma per arrivare sul podio, non per vincere. Una scelta che mostrava quanto fosse attento, intelligente ed umile. Imparare in una squadra più piccola per essere pronto alla grande occasione.
Impareggiabile. Come la sua prima vittoria all’Estoril sul bagnato dove il secondo, Michele Alboreto arriva a più di un minuto e Patrick Tambay terzo, ad un giro di distacco. La qualifica record nel 1988 a Montecarlo dove rifila 1 secondo e 4 decimi ad un certo Alain Prost con la stessa monoposto. Il Gran Premio del Brasile del 1991 dove la forza dell’uomo vince sulla macchina. Con la sesta marcia bloccata, negli ultimi giri facendo uno sforzo immane, vince la gara davanti alla sua gente. Al Gran Premio d’Europa a Donington del 1993 sotto l’acqua battente, il primo giro è il decalogo della perfezione alla guida. Supera 4 vetture tra cui Schumacher, Wendlinger, Hill e Prost e vince con più di un minuto sul secondo ed un giro sul terzo. La seconda vittoria nel suo Gran Premio di casa del 1993 e l’abbraccio a Juan Manuel Fangio durante la premiazione, dimostrano tutta la sua intelligenza, emotività e rispetto.
Inimitabile. Ayrton aveva il "fisique du role". Affascinante nei modi di fare e nell’aspetto. Capace di sentire la monoposto ed indicare ai suoi tecnici come trovare i giusti correttivi. Interprete della velocità come nessun’altro. Senza paura quando c’era da affrontare un doppiaggio scomodo o un sorpasso vero ad un avversario. Irraggiungibile in condizioni di bagnato. Capace di trovare la tenuta di strada dove gli altri alzavano il piede dall’acceleratore. Citerò una cosa scontata, ma ognuno di noi si ricorda perfettamente dov’era e cosa stava facendo quel 1° maggio 1994. Io ero al circuito dell’Avus in Germania, impegnato nel Campionato ADAC. Non ebbi fortuna e mi dovetti ritirare al primo giro ed appena arrivato ai box vidi con stupore nelle televisioni l’elenco delle imprese di Ayrton. Anche se guardavo un canale in tedesco era purtroppo intuibile a cosa si riferiva e le immagini successive da Imola non fecero che confermare il triste presagio. Le poche parole spese con la mia squadra o con gli appassionati mi accompagnarono in albergo. Con l’automatismo di sempre arrivato in camera accesi il televisore, abitudine nata per ricordarmi in che paese fossi sentendo l’idioma locale. In ogni canale la notizia era solo una. Un pianto misto di rabbia dolore e sconforto mi prese alla gola. Il pilota più forte che io abbia mai incontrato era stato tradito dalla sua stessa monoposto. Da quel preciso istante per tutti coloro che si erano appassionati alla Formula 1 o che si sarebbero innamorati di questa disciplina negli anni a venire, Ayrton Senna Da Silva sarebbe diventato eterno.
Immortale. Così come appare in ogni scatto fotografico. Un’espressione. Un dettaglio. Un episodio. Ce lo riportano in mente regalandoci emozioni e nuove immagini di cui siamo gelosi. La mia risale all’inverno 1992 quando con Mauricio Gugelmin, mio compagno di squadra alla Leyton House, festeggiammo l’arrivo del nuovo anno nella sua casa di Angra Dos Reis. Tra moto d’acqua, sci nautico, feste sul mare e balli brasiliani, vidi l’Ayrton privato. Ragazzo semplice. Immenso. Impareggiabile. Inimitabile e che amava la vita.