Gabriele Minì, l'anima siciliana dei motori

Il poeta siciliano Ignazio Buttitta era legatissimo alla sua terra, la Sicilia. Nato nella celebratissima ‘Baarìa’, la popolosa ‘Bagherìa delle ville’, anima e cuore della vasta città metropolitana di Palermo, amava i dialetti dell’isola e i temi legati alla vita popolare. Che con enfasi descrisse, raccontando persino dello storico arrivo dei pirati via mare in una mirabolante poesia che l’indimenticabile cantautrice Rosa Balistreri mise poi in musica con grinta e passione. Ricordo che diceva così… “Arrivaru li navi, tanti navi a Palermu, li pirati sbarcaru, cu li facci di ‘nfernu”. “Arrivarono i pirati, con tante navi a Palermo, e sbarcarono i pirati con le facce feroci che prefiguravano l’inferno…”, tanta era la voglia di conquista, di razzìa, di fare proprio quel pezzo di terra in mezzo al mare Mediterraneo, così vulnerabile da tutti i lati, facile al commercio, indifesa per quanto fortificata, suolo ricco e fertile che faceva gola a turchi, algerini, tunisini. La Sicilia è ricca di contaminazioni culturali anche per questo, a causa delle tante dominazioni subite nel corso dei secoli: dalla lingua alla cucina, dall’architettura alle colture, alla cultura. E forse anche nel carattere, nella rabbia, nella grinta. Ecco, la prima volta che ho visto Gabriele Minì in pista, ho rivisto in lui tutto quello che rappresenta la Sicilia. La voglia di crescere, di emergere, ma anche la voglia di riscatto, la rabbia del pirata che ha sete di conquista, che non teme l’arrembaggio, che non disdegna il corpo a corpo, che cade e si rialza, che è nel proprio intimo sicuro di sé stesso, che davanti alle avversità si piega ma non si spezza e ritorna più forte di prima, che ‘sbarcò nelle categorie minori con la faccia del bravo ragazzo, pronta a trasformarsi in una maschera infernale una volta indossato il casco e gettatosi nella mischia’. Gabriele Minì è palermitano, figlio di quella immensa città metropolitana che non nega un abbraccio a nessuno. Come Buttitta. Un po’ più in là di Buttitta. Di Marineo, poco meno di seimila abitanti abbarbicati sotto a una monumentale Rocca calcarea, lungo la quale spuntano ovunque rarissimi e colorati Iris dal gambo corto. Cresciuto a latte e motori, frequentatore ancora infante della carrozzeria del babbo - che ne sarebbe presto diventato il primo meccanico, in parte erede di un DNA programmato per le corse - essendo stato anche il padre Fabrizio, da giovane, un discreto pilota. Sebbene la colpa - o il merito - di cotanta passione la si debba al nonno, appassionato di motori e spesso al volante dei rally disputati in terra di Trinacria. Ho immediatamente compreso, dal primo giro in cui l’ho seguito, quanto Gabriele Minì abbia un naturale talento e una naturale predisposizione per le corse. Anche se al giorno d’oggi il talento non basta e serve qualcosa di più, servono anche molte certezze economiche. Dalla sua ha l’affetto della sua intera comunità, ma non basta. Quel che è certo che sulla sua strada ha avuto la grande fortuna di incrociare un nome storico dell’automobilismo mondiale: Todt. Dopo gli esordi sui kart e una vittoria nel campionato WSK Super Master 2017 in classe 60 mini e in OKJ, nel 2019 Gabriele ha partecipato al campionato europeo FIA di categoria OK, terminandolo al secondo posto. Tanto è bastato per vincere il trofeo da Rookie dell’anno e mettersi in evidenza. Cominciano a credere in lui dalle parti di Grisignano di Zocco, in provincia di Vicenza. E nel 2020 il Team Prema lo mette sotto contratto per disputare il campionato Italiano di F4. Vince a Misano, Mugello e Monza , Imola. E il titolo. Gabriele chiude la stagione con 4 successi e dodici podi. E contemporaneamente vince anche una gara nel campionato ADAC di F4 e finisce decimo correndo solo in sei appuntamenti. Dicevamo della famiglia Todt. Già dal 2018 Nicolas Todt, figlio di Jean - ex plenipotenziario della Ferrari degli anni d’oro ed ex boss della FIA - lo aveva voluto nella sua All Road Management. E’ il momento di spingere e nel 2021 viene chiuso un accordo con la ART Grand Prix per partecipare all’intera stagione del campionato FIA di Formula 3 Regional Europea. Finirà settimo in classifica generale e secondo tra i rookies. Da queste parti - dove è storica la Targa Florio - l’unico siciliano ad aver partecipato a un mondiale di Formula 1 è stato Giovanni Gabriele Maria Lavaggi da Augusta, di nobili origini, ingegnere, progettista e costruttore anche di una sport prototipo, che corse per due stagioni al volante di una Pacific prima e di una Minardi poi. E fra il 1995 e il 1996 collezionò dieci presenze e per sette volte prese il via a un Gran Premio, con il miglior risultato - su Minardi - di ventiduesimo. Non una traccia indelebile. E’ insomma da un trentennio che la Sicilia attende un nuovo beniamino nella massima categoria dell’automobilismo. Ed è per questo che quando nell’inverno il programma sportivo si intensifica, un intero popolo comincia a credere in una nuova favola. Nel 2022 Gabriele Minì è al via della Formula Regional Asiatica alla guida di una monoposto dell’ottimo team britannico Hitech. Vince a Yas Marina, salta tre gare e chiude comunque quarto, districandosi fra più impegni e diversi campionati. Tutto fa brodo e porta esperienza. Del resto, ‘l’esperienza si fa proprio con l’esperienza’. Lo diceva il filosofo del diritto Giuseppe Capograssi. Chi siamo noi per contraddirlo? Men che meno ci pensava allòra e ci pensa oggi Gabriele che, nella sua seconda stagione di F3 Europea, sempre con l’ART GP, fa ancora meglio dell’anno prima e chiude da vice campione della serie. In tutti questi anni, a turno, Gabriele batte fior di piloti che oggi corrono ancora contro di lui o addirittura sono già saliti in Formula 1. Il che lo convince, qualora ve ne fosse bisogno, che Nicolas Todt non aveva tutti i torti quando parlando di lui vantava il suo “talento straordinario, la sua intelligenza, la sua fame, la sua velocità in corsa”. Il ritorno in Hitech nella Formula Regional Middle East serve solo a non arrugginirsi prima di debuttare in Formula 3. Infatti corre poco e raccoglie meno. In testa ha solo i test di Jerez de la Frontera e la Dallara F3 2019. Alla sua prima stagione in Formula 3 Gabriele Minì è subito competitivo e nella prima qualifica stagionale in Australia si prende la pole position. Vince anche la gara sprint, ma lo penalizzano e viene retrocesso ottavo. Ecco, è questo il biglietto di presentazione di Minì nelle categorie propedeutiche e questa diventerà la sua caratteristica - purtroppo - dalla quale ancora oggi fatica ad affrancarsi. Veloce, combattivo, mai domo, il siciliano alterna momenti di fuoco a prestazioni difficili ed è bersagliato da decisioni della Direzione Corse spesso discutibili e da una sfortuna davvero notevole. E non è una scusa: esplode un motore ed è il suo, un pilota tampona ed è quello dietro di lui, un altro va in testa coda proprio dopo una curva cieca e lui non può evitarlo, c’è un tamponamento multiplo e la sua auto non si spegne ma lo fanno spostare oltre il guard rail e lui esegue ma poi per regolamento da lì non può più ripartire. Punti che volano via, sfortune che si accumulano. Amarezze mai mitigate né dal settimo posto assoluto nella sua prima stagione in F3, né dal terzo posto alla sua prima esperienza a Macao. E che nel 2024 si ripetono puntualmente, fino all’ultima gara quando Gabriele Minì è lì a giocarsi il titolo. A Monza, in gara due è virtualmente campione fino all'ultimo giro, quando il piacentino Leonardo Fornaroli inventa un sorpasso su Christian Mansell proprio in parabolica e guadagna la terza piazza e il titolo di campione della categoria. Eppure, nonostante avesse perso la sua chance, ancora una volta dopo la gara Minì viene squalificato per un'errata pressione delle gomme, pur non perdendo il secondo posto in classifica. E’ lì che per quanto mi riguarda Gabriele Minì diventa -simpaticamente e affettuosamente - il ‘mio’ Calimero delle gare cadette. Calimero era un pulcino animato della pubblicità negli anni gloriosi del ‘Carosello’ televisivo. Era piccolo e nero. Un po’ come noi del Sud veniamo descritti dagli stereotipi letterari. Essendo caduto nella fuliggine si era sporcato e non era stato più riconosciuto dalla mamma, andando incontro a piccole disavventure, al termine delle quali rimaneva sempre turbato. Finché, grazie al detersivo pubblicizzato, tornava candido come la neve e felice. Ecco, Minì è idealmente il Calimero creato dalla fantasia dei fratelli Nino e Toni Pagot. Ma sono certo che presto tornerà candido e vincente. E felice. E smetterà di sentirsi sempre indifeso e costantemente segnato dalla sfortuna, come quando appena finito sotto la monoposto di Amaury Cordeel giratosi davanti a lui nel suo primo campionato di Formula 2, quest’anno, ha esclamato: ”Perché sempre a me?”. Ecco, io spero che Minì, come ha già dimostrato a Spa-Franchorchamps, non si senta più catalizzatore di tutti gli eventi negativi attorno a lui, ma ritrovi un po’ di spensieratezza rifuggendo dalle sindromi. Ha preso il posto di Oliver Bearman in Prema, è un sedile importante e sa che ha anche una seconda opportunità nella prossima stagione. Non deve sprecarla. La sua è una passione autentica “nata grazie a mio papà che per il mio primo compleanno mi regalò un kart. Lo tenevo in cameretta come giocattolo. Poi lo mise in moto e la prima volta quasi mi spaventai. A due anni e mezzo ci salii sopra per la prima volta. E’ iniziato tutto così, fino alla mia vittoria in F4”. Il papà e il nonno correvano cronoscalate e slalom, lui è un asso della velocità. E oramai vive poco nella sua Sicilia, parla più in inglese e italiano che in siciliano. Con buona pace del povero Ignazio Buttitta e delle sue ultime raccomandazioni ai ‘siculi’. “Un populu, diventa poviru e servu, quannu ci arrubbanu a lingua addutata di patri: è persu pi sempri. Diventu poviru e servu, quannu i paroli non figghianu paroli e si mancianu tra d'iddi. Minn'addugnu ora, mentri accordu a chitarra du dialettu ca perdi na corda lu jornu…”. Ovvero: “Un popolo diventa povero e servo, quando gli rubano la lingua ricevuta dai padri: è perso per sempre. Diventa povero e servo quando le parole non figliano parole e si mangiano tra di loro. Me ne accordo ora, mentre accordo la chitarra del dialetto che perde una corda al giorno…”. Ma Gabriele Minì non perderà quelle corde, è figlio della sua terra, figlio orgoglioso. E non è più Calimero, lo abbiamo capito all’Eau rouge nell’ultimo appuntamento in Belgio. Ha ritrovato la strada smarrita e la sicurezza nei propri mezzi, forte di un affetto che non lo ha mai abbandonato e di un’attitudine che presto o tardi tornerà a premiarlo. Il tempo è dalla sua parte, ha solo venti anni del resto. Una battuta d’arresto è parte del gioco. I pirati assaltavano con foga, i cinesi - saggi - dicevano che non era la tempesta a definire un marinaio ma il modo in cui affrontava il mare. E Minì è un piccolo grande pirata saggio…

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Lucio Rizzica