Masini: "Portiamo avanti i valori di Sic e Fausto. In Gresini si corre con il sorriso"

Alle medie, anche se aveva un anno di meno, giocava a pallone nel cortile della scuola con Marco Simoncelli. Si conoscevano, giocavano, ma è stato l’essersi reincontrati dopo qualche anno nel Team Gresini, il caso che li ha legati e fatti diventare molto amici: era l’inverno del 2009, Michele Masini e il 'Sic' hanno cominciato a lavorare insieme e sono diventati sempre più legati, tant’è che con suo padre ha per anni organizzato la 'Spurtleda' in ricordo di Marco, per raccogliere fondi in favore della Fondazione Simoncelli. Adesso è team manager per la squadra Gresini Racing della MotoGP. Il più giovane del paddock, ma è un vincente. Mica male come carriera per un ragazzo di Riccione da sempre appassionato di moto, gran lavoratore, attento e capace di imparare, intelligente e molto 'romagnolo', come la squadra che dirige. Un 'clima', quello del team, che ha addirittura ricaricato, ringiovanito e rigenerato Marc Marquez e che ha messo anche il fratello Alex nelle condizioni di esplodere, di mettere in pista tutto il suo potenziale e di vincere delle gare. Il segreto del Team Gresini, in fondo, è quell’atmosfera appassionata, professionale, coesa, tosta e allo stesso tempo sorridente, scherzosa, umana, divertente, leggera. Qualcosa di appariscente, evidente, ma impossibile da copiare perché legata al territorio, alla cultura, alla storia della Romagna 'del mutòr'. Al carattere del suo fondatore Fausto Gresini, agli eredi come Nadia Padovani e da persone come Michele Masini, il 'Maso'. Ciao Michele, partiamo dall’inizio. Come sei arrivato nel motomondiale e a essere uno dei grandi amici del Sic? “La passione per i motori è nata nel salotto di casa mia. Mio papà non si perdeva una gara, che fosse di Formula 1 o di moto. L’amore per le due ruote è nato con l’era di Valentino, il mio babbo mi portava tutte le volte a vedere la gara a Tavullia, alla cava. Così nel '96, a 8 anni, me ne sono innamorato. A scuola giocavo con Marco, ognuno con le sue croste sulle ginocchia: lui per le moto, io perché facevo atletica leggera e pallavolo. Quando ho compiuto 14 anni ho fatto qualche lavoretto estivo per pagarmi le minimoto, che compravo dal babbo di Mattia Pasini, e con Sic andavamo a girare nei circuiti della zona. Ci giravano anche futuri campioni come Enea Bastianini, ne ho visti crescere con le minimoto. Io sognavo di fare il pilota ma in quegli anni mio papà mi aveva fatto avvicinare a Fabrizio Cecchini, che allora gestiva il reparto corse della Gresini Racing. Andavo spesso da lui a chiedere se d’estate avesse avuto bisogno di aiuto per mettere in ordine l’officina: non ho mai ricevuto un no. Mi disse di continuare a studiare e di fare un corso d’inglese: ho fatto entrambi. Finché un giorno Cecchini mi invitò al compleanno di Melandri a Mirabilandia e mi presentò Fausto Gresini. Era il 2005 o il 2006". Quando inizia davvero la tua carriera? “Nell’inverno 2007, a dicembre. Mi chiamò Fabrizio dicendomi che dovevamo parlare perché si era aperta un’opportunità. A Fausto servivano due giovani: io ero uno di quei due”. Cosa dovevi fare? “Curare da gennaio 2008 le moto per il Trofeo NS 100 che Fausto aveva preso in gestione. Facevamo il Campionato Italiano, ma già allora ero più portato alla parte gestionale, per esempio dei ricambi. Non avevo la manualità di un meccanico. Devo dire ancora grazie a Cecchini perché capiva bene le persone e le indirizzava. Per due anni mi dedicai al trofeo Honda Italia e all’Italiano mini GP, dove c’erano Locatelli, Fenati e tanti altri pilotini che adesso sono in MotoGP e SBK. Quando Gresini nell’agosto del 2009 firmò il contratto con Simoncelli per portarlo in MotoGP dalla 250, mi promosse e mi nominò responsabile dei ricambi. Passai dalla NS 100 alla RCV. Con Marco ci siamo ritrovati nell’inverno 2009: dalla stessa scuola alle corse. Passavamo tutti i giorni insieme, anche quando non lavoravo". Me lo ricordo bene. “Marco amava circondarsi di persone che gli davano qualcosa. Io con lui mi sono sempre trovato benissimo, perché una persona così vera è difficile da trovare. Magari per come guidava poteva dividere le persone, ma poi quando lo incontravi fuori ti dava proprio una sensazione di genuinità: uno dei pochi sorrisi sinceri in un mondo difficile come il motomondiale. Lui ti trasmetteva la voglia di stare insieme e la passione”. Quando ci vedevamo a Milano, tu c’eri sempre. “È come se lo conoscessero anche persone che non hanno mai avuto modo di vederlo o di parlarci. Lui era come l’abbiamo descritto, come sembrava mentre lo riprendevano con le telecamere. Era vero. Il suo ricordo lo porto sempre con me, conscio di essere stato uno dei fortunati ad aver condiviso la sua vita privata e anche quella delle gare. In fondo abbiamo contribuito a creare una leggenda”. Il tuo arrivo in MotoGP è stato aiutato dal fatto che con Marco avevi un rapporto precedente. C’erano le basi per una futura amicizia? “Non è stato facile dividere l’affetto privato dalla collaborazione sul lavoro. Di questa cosa parlavo spesso con Fausto, perché Marco comunque era un accentratore. Se per caso una sera cenavo con Melandri, che era il suo compagno di squadra nel 2010, la battutina mi arrivava. Tipo: “Cosa fai, mangi con Melandri…?”. Era un modo per dimostrare il suo affetto, teneva molto alle persone che aveva intorno. Insomma, non è stato sempre facile, ma anche grazie a Fausto ho gestito sempre bene questa dinamica, soprattutto sul lavoro”. Anche Fausto Gresini era in fondo 'innamorato' del Sic. Avendo molta più esperienza di te avrà potuto insegnarti tanto. “Sul lavoro erano tutti super professionisti, anche perché la squadra Marco se l’era cucita addosso, con Aligi Deganello, suo figlio Elvio e tutti i ragazzi che erano già con lui. Se devo confrontare i primi anni con adesso, devo dire che le corse erano diverse: c’erano meno distrazioni, meno impegni per il pilota, si lavorava di più con lui nel box. Non che oggi non lo si faccia, ma una volta eravamo meno persone e forse il gruppo era più unito. Ora l’agenda del pilota è così piena che magari ci parli mezz’ora dopo i turni di prova e poi lo rivedi solo la sera prima di cena, quando gli devi dare tutte le informazioni che hai raccolto durante la giornata. Una volta era tutto più essenziale: montavi quattro pannelli e il box era pronto. Oggi la MotoGP è in continua evoluzione, come il mondo”. Dopo la tragedia di Marco a Sepang in quel maledetto 23 ottobre 2011, per te è stato difficile tornare a lavorare in quel box? “Sì. Però mi sono sentito subito in dovere di fare forza a chi ne aveva meno di me. Ne abbiamo parlato molto con Fausto, perché per Gresini quella di Marco era la seconda perdita nel suo team, dopo quella di Katoh nel 2003. Marco mi ha sempre lasciato quella voglia di lottare. In quei momenti ero ancora più di prima affezionato alla famiglia, alla Kate , a Fausto: dovevamo dare un senso a tutto. Di smettere non l’ho mai minimamente pensato, altrimenti niente avrebbe avuto senso. Che sia uno sport pericoloso purtroppo lo ricordiamo soltanto quando accade una tragedia o un infortunio. Non ci pensiamo, né ce ne rendiamo conto perché siamo lì a mettere tutti insieme i pezzi per raggiungere un sogno. Questo è un lavoro, tutti guadagnano nel motomondiale, ma è il pilota che vive un sogno”. Guido Meda ha intitolato il documentario sul Sic di Sky “La regola di Marco”. Un titolo perfetto perché lui aveva come caposaldo un team di persone che gli volessero bene e alle quali voleva bene. Era davvero così? “Lui ti dava tutta la sua fiducia. Tu sapevi che avresti dovuto ripagarla e non tradirla. Abbiamo passato anche dei momenti sportivamente difficili tra il 2010 e l’inizio del 2011, perché sia Honda sia Fausto avevano investito molto su Marco. Lui però è sempre stato deciso, testardo, a voler continuare con le sue persone. Sapeva che magari ci avrebbe messo un po’, ma che avrebbe raccolto i frutti di questo modo di lavorare. E difatti il 2011 è poi stato la svolta”. Un’altra cosa che Marco mi ha insegnato è la consapevolezza della fortuna che è fare il lavoro che ami. In un mondo dove c’è gente costretta a vivere vite difficili, rendersi conto della propria fortuna è molto importante. Lui lo aveva capito. “Come circondarsi delle persone che gli volevano bene, anche in questo era fantastico. Umile, normale, divertente, allegro, consapevole di vivere il suo grande sogno. E restava nel suo mondo, magari facendo qualche cavolata la sera o facendo finire qualche macchina in un fosso, però cose sempre da poter raccontare a una tavolata, ridendo. Mai uno stravizio, mai. La cosa più preziosa che aveva era il suo tempo libero e lo dedicava sempre a noi. Il suo star da solo a rilassarsi per lui era stare con noi. Quando ci muovevamo eravamo un plotone, sei persone almeno. A sciare ci andavamo minimo in dieci. Era semplice, ma mai banale. Era intelligente”. Tu e tuo babbo siete stati tra gli organizzatori della Spurtlèda, la gara coi kart in ricordo di Marco per raccogliere fondi per la fondazione. “La prima l’abbiamo fatta nel 2011, lui era arrivato secondo dietro di me. Gli aveva dato fastidio da matti. Ho ancora la coppa. Poi ho pensato di portarla avanti: nel 2012 l’abbiamo fatta a porte chiuse, dal 2013 aperta a tutti con biglietto. Da lì hanno aderito tantissimi piloti e siamo sempre riusciti a raccogliere un bel gruzzolo, interamente dato alla fondazione Simoncelli. Col Covid si è rallentato tutto e io non avevo più tempo per seguirla. Devo comunque ringraziare mio babbo che si è sempre impegnato per l’organizzazione, sempre più complicata man mano che l’evento cresceva come pre del GP di Misano. La parola Spurtlèda è azzeccatissima, perché ricorda col sorriso una sportellata tra amici. Che poi in pista di amici ce ne sono pochi: le sportellate le prendevi ma le davi anche, perché nessuno vuole arrivare ultimo”. Chiudiamo questo capitolo bellissimo e tristissimo e andiamo avanti. “Ho continuato in MotoGP fino al 2013, poi Fausto decise di spostarmi in Moto2 e Moto3 come Team Coordinator. Ero addetto alla logistica, al personale, agli spostamenti e tutto quanto. Sono rimasto lì fino al 2015, quando Fausto mi chiese di tornare in MotoGP per il 2016. Allora era l’Aprilia Team Gresini, perché le cose nelle due cilindrate inferiori andavano piuttosto bene, mentre in MotoGP c’era qualcosa da sistemare. Era un progetto ambizioso ma difficile, con Aprilia sono stati sette anni di collaborazione non proprio facili, perché non arrivavano i risultati. Era la RSV derivata dalla serie, c’erano prima Melandri e Bautista, poi Bradl e Bautista. Pian piano siamo andati meglio. Siamo riusciti a raggiungere dei bei risultati con Aleix Espargaro, che è stato con noi 5 anni”. E poi? “Poi la vita ci ha giocato un altro brutto scherzo. Ho avuto la fortuna avere un capo-amico. Un boss come Fausto vorrei che potessero avercelo tutti, perché era uno che riusciva a tirar fuori il meglio in qualsiasi momento. Sapeva quando e con che modi era il caso di darti la strigliata e sapeva anche come farti svagare. Aveva sempre tempo per tutti, ti posso garantire che fuori dai GP era sempre via per lavoro con la sua macchina a cercare sponsor, a cercare qualsiasi connessione che potesse servire per migliorare. Dal 2008 a quando se ne è andato Fausto è cambiato tanto, ma come è cambiata anche la sua azienda. Credo sia stato un vero imprenditore: sono orgoglioso di portare i colori della Gresini Racing”. Secondo me il segreto della Gresini Racing, quello che è riuscito a portare di nuovo il sorriso sulla bocca di Marc Marquez e di far fiorire suo fratello Alex, è l’ambiente, l’atmosfera, il clima che si respira da voi. “Io lo dico sempre: questo è un team super professionale, ma quello che ha più degli altri, grazie a Fausto e all’eredità che ci ha lasciato, è la leggerezza. Che non è superficialità, ma è il modo con il quale affrontiamo i problemi che ci consente di venirne fuori più forti. Anche questa stagione, con Alex, è figlia di alcuni problemi che abbiamo saputo affrontare l’anno scorso, quando avevamo Marc nel box. È una pressione che soltanto il fratello poteva sopportare, riuscendo a uscirne più forte. Così è stato, però è vero che noi usiamo tanto come valvola di sfogo il sorriso. È un modo per alleviare la pressione, di toglierla soprattutto dai piloti e dalle persone che lavorano tutto il giorno per te. Anche in questo ci stanno copiando tanto”. Il Team Gresini ha una lunga storia, ha avuto piloti eccezionali e ha vinto dei mondiali, eppure forse il segreto è questo vostro essere riusciti a restare così romagnoli. “Grazie! È una cosa della quale vado molto fiero, perché se dai questa sfumatura al lavoro, poi tutto ti peserà meno. Nadia ci ha fatto fare un bel passo avanti in questo: cercare di capire prima le persone e poi arrivare al problema tecnico. Credo che nel nostro box ci sia tutto. Quando hai un pacchetto tecnico di primaria importanza col supporto che abbiamo da Ducati, tutto il resto ce lo deve mettere il gruppo di persone: vuol dire tanti caratteri, tante teste diverse che poi fanno capo al pilota, alla sua psicologia, alle sue caratteristiche”. Adesso hai cominciato a parlare da team manager. “Non va bene?” Benissimo. Ci sei arrivato pian piano, ma sei il più giovane team manager del motomondiale. Cosa ti piace e cosa no del tuo ruolo? “Mi sta piacendo ogni cosa. Quando Nadia me l’ha offerto non ci ho pensato un secondo ad accettare, perché mi piacciono le sfide. È un lavoro mai banale, ti mette sempre alla prova, con persone e caratteri diversi, spesso non facili. A volte magari devi scendere a patti, altre ti devi risparmiare e devi andare a letto col magone perché avresti voluto portare a casa qualcosa di più. Però ti chiedi già come riuscire la prossima volta a farlo meglio. È un lavoro sempre diverso. Quello che forse mi piace un po’ meno è che sono stato per tanti anni a contatto con tanti piloti, anche perché sono poco più giovani di me. In questo lavoro l’amicizia spesso la devi mettere da parte, devi essere lucido, freddo. È un po’ il prezzo da pagare, ma non posso che essere orgoglioso di dove sono adesso. E mi riferisco anche a Nadia. Sia alle gare sia a Faenza stiamo tutto il giorno insieme, tutto quello che si decide è sempre il meglio per la Gresini Racing. Lei sta sempre nel box a disposizione, ha tempo di ascoltare tutti”. La cosa geniale da parte di Nadia è stato tenere tutto come quando c’era Fausto. Ha tenuto te, Carlo Merlini, l’anima del team. “Nadia ha iniziato senza sapere a cosa sarebbe andata incontro, a quale mole di lavoro. Ma ha mantenuto il gruppo di quelli che c’erano da tanti anni. Se Fausto aveva creato un bell'ambiente di lavoro è giusto che questo gruppo si rimboccasse le maniche. Nadia per più di un anno ha ascoltato tutti, ha cercato di capire. La sua umiltà ha portato a questo successo di squadra. Un successo che va avanti dal 2022, un anno sempre meglio dell’altro”. Cosa ti ha stupito di Marc Marquez? “Mi devo ripetere, ma è l’umiltà. Sia lui, sia il fratello, sono ragazzi semplicissimi, persone d’oro che vivono la loro vita interamente per il loro sogno: correre in moto e vincere. In loro rivedo un po’ Marco, perché anche ai Marquez piace far ridere e che la gente li faccia ridere. Cercano di godersi ogni momento. Da fuori ci sono le torte e lo champagne spruzzato, ma dall'interno portano un livello di professionalità molto elevato”. Anche quando vinceva non rideva come adesso. Forse aveva bisogno dell’anima Gresini. “Lui la cercava, l’anima Gresini. Quando abbiamo cominciato a parlare nel 2023, stava proprio male. Ha scelto di fare un salto nel buio con una moto che non fosse la migliore e l’ha fatto con noi. Alla fine di un meeting, Nadia mi disse: "siamo pronti ad avere Marc Marquez nel box?". Io le ho risposto di sì, anche perché non voglio vivere col rimpianto di aver potuto avere Marc nel box e non averlo preso. Era un’occasione più unica che rara, ma quest’anima Gresini ha fatto sì che lui l’anno scorso ci abbia lasciato il cuore. Anche adesso ci viene a trovare, quando vuole prendersi una boccata d’aria da noi la porta è sempre aperta. Tutti i mercoledì sera viene a cena da noi in hospitality. È proprio una di quelle storie genuine delle corse che non lo sembrano, ma che sono vere”. Come vedi il futuro? Un Gran Gresini? “Lo vedo benissimo, perché secondo me stiamo concretizzando al meglio tutto ciò che abbiamo seminato. Se pensiamo a quando abbiamo scelto Alex il primo anno, a quando l’abbiamo rinnovato e quanto ci sta ripagando. È un ragazzo che ha bisogno di fiducia. Non è uno di quei piloti che si adagia perché sa di essere a posto con il contratto. Lui è uno che ti ripaga con ancor più impegno, risultati, fatica. Adesso nell’altra parte dei box abbiamo Aldeguer, giovanissimo e con un grande talento. Quando le prove libere sono andate peggio del previsto lo vedi che cambia l’espressione: dobbiamo sempre riconrdargli che ha vent’anni ed è al primo anno in MotoGP. Ogni venerdì è un’impresa con un rookie così giovane. Comunque se guardiamo i risultati, vediamo che è stata una gran bella stagione. Siamo molto contenti di lui: il futuro lo vediamo raggiante”. A 37 anni sei il più giovane team manager del motomondiale. Cosa sogni per il tuo futuro? Un posto alla Vasseur? “Lo stesso sogno dei nostri piloti. Cerchiamo di fare il possibile per riuscire a dare sempre il massimo e poi vedere dove saremo. In fondo il secondo pilota in classifica è uno dei nostri. L’importante è riuscire a stare lì, senza cali. Mi è piaciuto riuscire in questa intervista a tirar fuori cosa significhi l’anima Gresini. Da tre dolori così grandi siamo riusciti a tirar fuori una versione ancora migliore di noi stessi”.

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Masini: "Portiamo avanti i valori di Sic e Fausto. In Gresini si corre con il sorriso"

Paolo Beltramo