Quando passa Nuvolari

Ahi Bulåggna, meravigliosa città, patria d’arte e cultura, 'grassa e dotta', spartita fra calcio e basket in egual misura, medievale e creativa — fra i fumi dell’alcool — lungo quei quaranta chilometri di portici brulicanti di osterie e botteghe, teatri e artisti. Nel cui centro, stando a Lucio Dalla, non si perdeva almeno fino a mezzo secolo fa neanche un bambino. Ahi Bulåggna, mamma affettuosa del geniale Roberto Roversi, scrittore e poeta musicato dalla capricciosa fantasia di quel figlio che pareva un fangén, buono a magnèr, durmîr e bôna lé… E diventato invece uno fra i musicisti più amati al mondo. Non stupisce affatto che dalla cuna bolognese che vezzeggiò due menti così superiori, sia nato un giorno un omaggio autentico e magnifico al passaggio storico dalla civiltà contadina alla cultura e alla civiltà industriali, il cui fragoroso big bang venne un dì visualizzato nel mito assoluto di Tazio Nuvolari… Una favola nata in epoca pre-televisiva, alimentata da mistero e voci riportate, da grandi attese, da brevi apparizioni, proposta in immagini soltanto pochi mesi dopo la sua morte, avvenuta l’11 agosto del 1953 in conseguenza di un secondo ictus, che finì per estenuare il già martoriato fisico del glorioso pilota ancora sessantunenne. Ecco, per Roversi e Dalla, Tazio Nuvolari era un uomo come noi, proprio identico a coloro che ne creavano e alimentavano la leggenda, tuttavìa inconsapevole precursore dei tempi, già divo di un domani che non avrebbe suo malgrado vissuto. Ed emblema del suo tempo, perché la storia non va rimossa ma va contestualizzata e riletta con la lente dei saggi e giammai dei tifosi. Dunque, volente o nolente, quello connesso alla politica di quegli anni, al fascismo, ch’era contrapposto al realismo sovietico. Dei quali, in entrambi i casi, non rappresentava affatto il prototipo né la fisicità. Così come Roversi e Dalla già anticiparono nei primi versi della magia che gli dedicarono. Non la storia di un uomo possente. Tutt’altro… "Nuvolari è basso di statura, Nuvolari è al di sotto del normale. Nuvolari ha cinquanta chili d'ossa, Nuvolari ha un corpo eccezionale. Nuvolari ha le mani come artigli, Nuvolari ha un talismano contro i mali. Il suo sguardo è di un falco per i figli, i suoi muscoli sono muscoli eccezionali!" Sì, Nuvolari era un uomo comune ma diverso, anomalo, anonimo, ma al tempo stesso mitologico perché vinceva e dominava le corse in automobile, perché era il primo anche quando arrivava terzo, perché se usciva di strada non si fermava e riprendeva a correre, perché era fuori da ogni regola ed era egli stesso il simbolo della macchina, del nuovo che avanzava, che sconfiggeva la lentezza del tempo. Nuvolari come la nuvola, come il cielo, il vento, come la velocità. Vittorio Jano lo volle a tutti i costi all’Alfa Romeo, Ferdinand Porsche lo definì "il più grande pilota del presente, del passato e dell’avvenire", Enzo Ferrari diceva di lui che fosse "un fascio di nervi proteso alla vittoria". E per il Drake quell’uomo si rivelò ben presto una incredibile genuina e irrefrenabile ossessione. Era esattamente tutto ciò che cercava in un pilota: era aggressivo, disinvolto al volante e aveva fede nell’affrontare il rischio più estremo. Dopo Nuvolari, Ferrari usò Tazio come pietra di paragone verso ogni possibile candidato a guidare una rossa. Solo Stirling Moss gli sembrò "quasi degno". "Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari, la gente arriva in mucchio e si stende sui prati. Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari, la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore. E finalmente quando sente il rumore, salta in piedi e lo saluta con la mano, gli grida parole d'amore, e lo guarda scomparire, come guarda un soldato a cavallo, a cavallo nel cielo di Aprile!" No, Nuvolari non era un uomo alto, né bello, né elegante, ma era magnetico. Era nato a Castel d’Ario, un buco di borgo nel mantovano nel quale si producevano foraggi, riso e ortaggi, al quale aveva dato nobile nome Giosué Carducci — dopo lunghe storiche ricerche, su calorosa richiesta dell’amico sindaco — nel 1867. Con la sola eccezione del periodo bellico della seconda guerra mondiale, Nuvolari ha corso per circa un trentennio, a cavallo fra il 1920 e il 1950, cavalcando bolidi a due ruote e guidando automobili. Per la sua velocità venne chiamato il 'Mantovano Volante', ma anche più affettuosamente 'Nivola'. Al volante era impetuoso, aggrediva ogni curva mettendo le ruote di traverso e sfruttando ogni centimetro di strada — asfalto o terra che fosse — pur di andare al limite. Ai tanti appariva un pazzo, per gli appassionati di corse era un ardimentoso per natura. Ah, se solo avessero invece saputo che il coraggio Tazio lo aveva acquistato da piccolo solo grazie al padre Arturo e lo zio Giuseppe… In realtà padre e zio erano davvero abili ciclisti, ma allo zio piaceva tanto il suono del motore e per questo lo mise sin da bimbo a cavalcioni di una motocicletta, mentre al babbo piacevano i cavalli. A mamma Elisa non piacevano né l’una né gli altri, e forse un po’ di ragione in cuor suo l’aveva. E si preoccupò molto il giorno in cui, quando Tazio aveva ancora poco meno di otto anni, venne scalciato e colpito alla testa da un quadrupede nell’aia di Corte Ronchesana. L’incidente sulle prime traumatizzò il piccolo. Ma babbo seppe dargli motivazioni sufficienti per riscattarsi, lanciandogli una moneta d’oro fra gli zoccoli dei cavalli legati nella stalla alle chétenelles. Tazio allora si fece forza e si chinò a raccoglierla fra le zampe dei destrieri, ricevendone in dono anche una leggera frattura a una gamba. Cosa che da grande, lo condusse a maturare una convinzione: "Fu proprio quel giorno che io smisi di avere paura anche della stessa paura". E infatti nel corso della sua storia sportiva non ebbe mai paura: neppure di rompere l’amicizia con Enzo Ferrari, per poi ritrovarsi ancora. Il 20 giugno 1920 presso il Circuito di Cremona si iscrisse alla sua prima corsa in moto con il suo secondo nome: Giorgio Nuvolari. Aveva 27 anni ed era in sella a una Della Ferrera. La numero 24. Il motto della casa fondata dai due fratelli torinesi Federico e Giovanni era: "Quando la Della Ferrera partecipa a una corsa, vince!". La sua no. Si ritirò per un guasto. La sua prima auto fu una Ansaldo 4CS, una vetturetta sportiva a telaio corto che a stento toccava i 90 km/h, eppure vinse la Coppa Veronese di regolarità: il suo primo successo. Tazio era un grillo: passava da selle a sedili, cambiava cilindrate come canottiere. "Nemo propheta in patria", si dice, e infatti incominciarono ad apprezzarlo moltissimo in Spagna. In Italia invece si accorsero di lui quando vinse al Circuito del Tigullio nel 1924, al volante di una Bianchi 18: fu un trionfo straordinario fra uscite di pista, frenate a picco sul mare e persino un capottamento a San Lorenzo. Il meccanico che era in macchina con lui rimase stordito e Tazio, dopo aver chiesto aiuto al pubblico, arrivò al traguardo sui cerchioni, senza sedile né volante. "Gli uccelli nell'aria perdono l'ali quando passa Nuvolari! Quando corre Nuvolari mette paura? Perché il motore è feroce mentre taglia ruggendo la pianura. Gli alberi della strada strisciano sulla piana, sui muri cocci di bottiglia si sciolgono come poltiglia, tutta la polvere è spazzata via!! Nuvolari era tutto questo, anzi Nuvolari era questo e altro. Era il pilota superuomo che tornava uomo in ospedale, con le braccia ingessate dopo un incidente nei test prima di un Gran Premio di Monza, nei quali voleva assolutamente ottenere il posto che era stato del povero Antonio Ascari. E, mentre l’Alfa Romeo si dimenticava di lui, solo nove giorni dopo, con un busto di gesso e cuoio si presentò in pista al Gran Premio motociclistico delle Nazioni, con i meccanici che ai rifornimenti gli reggevano la Bianchi 350 perché da solo non ci riusciva, per andare a vincere il trofeo davanti alle 500 che — in teoria — dovevano andare più forte di lui. E tornava superuomo in un attimo. Nuvolari giocava con la morte e la prendeva in giro in una partita a scacchi che — al confronto — l’affresco di Albertus Pictor nella chiesa di Täby era una lepidezza. Nel 1926 corse a Ravenna sette giorni dopo essersi schiantato violentemente in Germania, alla Solitude. Per poco quella volta non gli amputarono un dito. Cadde a Roma e corse con un calmante, a Forlì limitò i danni di una caduta aggrappandosi a un paracarro. All’età di 35 anni abbondanti Tazio Nuvolari fondò una sua scuderia automobilistica forte di ben quattro Bugatti, due delle quali poi rivendute al piemontese Achille Varzi, figlio di famiglia agiatissima e nipote del senatore del Regno Ercole. I buoni rapporti fra i due non durarono molto, la rivalità ebbe la meglio. Nel 1930 Vittorio Jano lo chiamò per correre la Mille Miglia su un’Alfa 6C 1750. Nuvolari accettò. In corsa partì dieci minuti dopo Varzi, lo raggiunse guidando al buio per non farsi vedere e lo sorpassò a fari spenti. O almeno così raccontò il co-pilota Giovan Battista Guidotti, la cui versione Tazio non corresse mai: la leggenda continuò pertanto ad alimentarsi di mistero. Da lì in avanti con Jano e in scuderia Ferrari iniziò il periodo magico di Nuvolari, tanto che nel 1932 'il sommo vate' Gabriele D’Annunzio lo invitò al Vittoriale degli Italiani, sulla sponda bresciana del Lago di Garda, residenza ed esilio dello scrittore, poeta e patriota abruzzese. Proprio qui il 28 aprile Nuvolari, accompagnato da Prospero Gianferrari , si trattenne per circa sette ore, dopodichè D'Annunzio lasciò una dedica con foto al pilota. "A Tazio Nuvolari del buon sangue mantovano, che nella tradizione della sua razza congiunge il coraggio della poesia, la più tranquilla potenza tecnica al più disperato rischio, e infine la vita alla morte nel cammino della vittoria". Tra gli amuleti che D'Annunzio regalò a Nuvolari, una piccola tartaruga d'oro con incise le iniziali T.N: "All'uomo più veloce, l'animale più lento" furono queste le parole dello scrittore per il pilota, al quale D’Annunzio chiese di vincere la successiva prestigiosa Targa Florio in Sicilia, la più antica corsa automobilistica di durata al mondo. "Quando corro lo faccio sempre per vincere" fu la risposta di Nuvolari, che una decina di giorni più tardi, rispettò la promessa fatta, tagliando il traguardo davanti a tutti sulla sua Alfa Romeo 8C 2300. "Nuvolari è bruno di colore, Nuvolari ha la maschera tagliente Nuvolari ha la bocca sempre chiusa, di morire non gli importa niente? Corre se piove, corre dentro al sole. Tre più tre per lui fa sempre sette. Con l' "Alfa" rossa fa quello che vuole, dentro al fuoco di cento saette! C'è sempre un numero in più nel destino quando corre Nuvolari? Quando passa Nuvolari ognuno sente il suo cuore è vicino" Tartarughina e maglione giallo dal 1932 dominarono l’immaginario collettivo della figura di Nuvolari che ci arriva ancora oggi nelle foto. Una tartarughina che Nuvolari amò alla follìa, specie quando a Donington, nel Regno Unito, il 1° Marzo 1938 ebbe un incidente a bordo di un’Auto Union type D, quando un cervo gli attraversò improvvisamente la strada. Pur riportando la frattura di una costola, riuscì tre giorni dopo a vincere la gara davanti a Lang e Seaman, confidando ad un giornalista inglese: "E' stata questa tartaruga a salvarmi la vita". Più tardi, LA testuggine portafortuna avrebbe fatto la propria comparsa anche sulla fusoliera dell'aereo personale di Nuvolari, un Saiman 202/1 da turismo con motore Alfa Romeo. A Tazio gli aerei erano sempre piaciuti, di lui bambino si raccontava di un suo volo dal tetto di casa con gli improbabili rottami di un vecchio Blériot, con atterraggio su un pagliaio e inevitabile frattura di una clavicola. Nuvolari esordì in Europa nell’automobilismo il 24 maggio 1931 e corse fino al 26 agosto 1950. Nel 1936 negli Stati Uniti sbaragliò gli americani nella Coppa Vanderbilt sulla terra battuta. Eroe dei due mondi, portò a casa il trofeo più grande della storia, che raffigurava il magnate William Kissam Vanderbilt II alla guida di una Mercedes-Benz al Daytona Beach e Road Course nel 1904. Era alto poco meno di 80cm e pesava circa 70 kg. Corse a Le Mans e a Indianapolis, nella Indy e nella Mille Miglia, guidò Ferrari e Maserati, Bugatti e Alfa, ed è riconosciuto come uno dei maggiori piloti di sempre nella storia dell'automobilismo. In realtà non annunciò mai il suo ritiro, ma era chiaro che la sua salute andava sempre più peggiorando. Col passare degli anni allontanò progressivamente dalla vita sociale. Già era un uomo taciturno, estremamente semplice e gentile ma di poche parole, piegato da una vita intensa e da tante battaglie. Non si lamentava mai di nulla, mangiava poco, si accontentava di qualche bicchiere di vino appena durante i pasti, di vestire in modo elegante e rimanere ordinatissimo e totalmente impermeabile al suo 'status' di personaggio popolarissimo. A casa trascorreva il tempo con pochissimi amici e con l’amata moglie Carolina Perina, sposata con rito civile dopo averla 'rapita consensualment'. Fu affezionatissimo ai due figli maschi poi perduti prematuramente, lui che tanto avrebbe desiderato una bambina. Gli occhi nascosti dalle persiane di quella casa commissionata all’ingegner Sante Pecchini per evocare la vittoria in Germania e difenderne il riserbo: tinta delle mura paglierina, come la sua maglia, recinzione che richiama i box del circuito del Nürburgring. Era "el su casoto". E guai a chi glielo toccava. Nel 1952 un ictus, al ritorno da una gita al mare, gli comportò una grave paralisi parziale. Quella volta per Tazio fu impossibile tornare al "su casoto" in viale Rimembranze, dove custodì per anni gioie e dolori. Le sue ultime gare furono un continuo duello fra la vita e la morte. O forse anche una temeraria inconsapevole ricerca della fine della leggenda in pista. Ma a volte la sorte non asseconda i nostri desideri. O forse Tazio era troppo bravo anche per la stessa morte. E per i circuiti e gli ostacoli che lei provava a disegnargli. La moglie e alcuni amici fidati lo assistettero nella clinica di San Clemente, dove venne ricoverato forzosamente. Fra quegli amici non poteva certo mancare Decimo Compagnoni, meccanico di fiducia, che ne aveva condiviso l’intero percorso sportivo e di vita. Un anno dopo un secondo ictus se lo portò via, complice la broncopolmonite sopraggiunta alla grave cardiopatia di cui già soffriva. Alle 6,30 dell’11 agosto si spense. Tazio "si era consumato per lo sport". All’ultimo saluto non volle mancare Enzo Ferrari: "Non appena mi giunse notizia della sua fine partii per Mantova. Nella fretta mi persi in un dedalo di strade sconosciute della città. Scesi di macchina, chiesi a un negozio di stagnino la via per villa Nuvolari. Ne uscì un anziano operaio, che prima di rispondermi fece un giro intorno alla macchina, per leggere la targa. Capì, mi prese una mano e la strinse con calore. "Grazie di essere venuto", mi bisbigliò commosso, "Come quello là non ne nasceranno più".". Nuvolari se n’era andato via fra le nubi del cielo. Un uomo diventato mito nonostante il suo aspetto quasi malinconico. All’inizio di questo racconto ho detto che bisogna contestualizzare la storia. Nuvolari non fu un testimonial del fascismo, ma ci sono periodi nei quali si vive dai quali è impossibile stare fuori. Se ne viene risucchiati. Successe anche a lui e ne uscì rimanendo mito anche quando tutto cambiò dopo la guerra. Anomalo, proiettato nel futuro. E fu simbolo e speranza di un'intera epoca. Campione di motociclismo passato alle macchine, col senso innato di ciò che sarebbe stato il mondo del domani. Correva forte quasi per lasciarsi alle spalle tutto, anche il suo tempo. E la sua immagine era più forte di ogni potere che volesse impadronirsene, il suo maglione giallo era un raggio di sole nell’immaginario collettivo. E non sfuggiva alla regola prima del successo che lega sempre la fama alla solitudine, ai drammi familiari — nel suo caso la perdita del primogenito 19enne Giorgio per miocardite e del secondo Alberto per nefrite — che ne segnarono l’animo e il volto triste. Lasciandolo solo a correre veloce, lontano anche da sé stesso. "In gara Verona è davanti a Corvino con un tempo d'inferno, acqua, grandine e vento. Pericolo di uscire di strada, ad ogni giro un inferno, ma sbanda striscia è schiacciato lo raccolgono quasi spacciato! Ma Nuvolari rinasce come rinasce il ramarro batte Varzi, Campari, Borzacchini e Fagioli Brilli-Peri e Ascari…"