Zanardi, quel 15 settembre del 2001 che cambiò lo sport

Non è una ricorrenza: è un pensiero. Ogni tanto Alex Zanardi torna in mente come le immagini o le emozioni accomodate da qualche parte, come qualcuno a cui si tiene senza vincoli o doveri - quei legami di vita che diventano pensieri perenni, tenaci. Zanardi è un altro tipo d’affetto: lampeggia, silente e presente, come qualcuno che ha lasciato qualcosa, da qualche parte, dentro. Sì, c’è una data ma è storta, è dispari, 23 anni fa scivolò sull’olio, succede, e sopravvisse con un litro di sangue in corpo . Anche il dottore precipitato sulla pista con l’idea di "constatare il decesso”, come si dice, Terry Tramell, scivolò: credeva fosse l’olio motore delle vetture coinvolte e sventrate ma era il sangue di Zanardi, che allagava l’asfalto. Quel litro che restava in corpo lo conservò proprio la prontezza e la dispersione di Tramell, che tamponò anche con le bende e una morsa le due amputazioni ormai avvenute. Questo successe il 15 settembre del 2001 nel particolare e bastardo tri-ovale del Lausitzring, un circuito a nord di Dresda che si sviluppa su due piste: l’anello interno - dove si disputava la corsa del ChampCar, appuntamento in “trasferta” della serie americana, che in onore delle vittime dell’11 settembre fu rinominata American Memorial 500 - e un’appendice esterna, due curve speculari che tengono insieme due lunghissimi rettilinei. Quella strada banale, buona per testare resistenza di motore e meccanica, ci portò via Michele Alboreto, cinque mesi prima dell’incidente di Zanardi. Il milanese stava collaudando l’Audi R8 Sport, uno pneumatico perse pressione fino a cedere, l’Audi volò per 100 metri, atterrando capovolta. Michele ancora oggi è l’ultimo italiano ad aver vinto un Gran Premio di Formula Uno con la Ferrari e fu proprio in Germania al Nurburgring, nel 1985, quando poi fu secondo nel Mondiale dietro alla McLaren di Alain Prost. Dunque, uscendo in sbandata senza controllo dai box, la Reynard Honda di Alex Zanardi sconfina sull’erba ed entra in pista di traverso al senso di marcia. Sopraggiunge ad oltre 300 km/h Patrick Carpentier che scarta d’istinto ed evita l’impatto. Ma un istante dopo la Ford azzurra del canadese Alexander Tagliani entra in modo esattamente perpendicolare nella storia di Zanardi. Tutto si spezza: la macchina, le ossa, la carne. L’inventario dei 40 giorni successivi contribuisce alla leggenda: una estrema unzione , 8 arresti cardiaci, 70 ore di coma, 16 operazioni e una naturalizzazione di fatto con l’80% di sangue in circolo di provenienza tedesca . Poi - come ebbe a dire lo stesso Alex, ingannato dal destino - “solo cose belle”. Cerchiamole, in altre date. Dicembre 2001, tre mesi dopo l’incidente, consegna dei Caschi d’oro al Motorshow di Bologna. Zanardi è fra i premiati, assieme a Michael Schumacher. Chiama il dottor Claudio Costa, il mito dei paddock, che lo segue nella riabilitazione: “Rimettimi in piedi”. Il dottore si accasciò sulla poltrona, ancora il telefono in mano. “Non puoi dire di no ad Alex, a lui bisogna dare speranza, con lui si deve sempre tentare”. Cinque giorni di prove con le protesi, e Zanardi davanti alla folla, in diretta televisiva, si alza con una forza di volontà enorme, nascosta dall’espressione felice di chi sa di aver stupito il pubblico, come dopo un sorpasso impossibile. Seguono i 2 minuti più commoventi di qualsiasi messa in onda che si ricordi. Cercate il video in rete, si trova. E si piange ancora. Lui volò sopra le lacrime: “Che emozione, mi tremano le gambe”. 11 maggio 2003. Zanardi cerca un pareggio impossibile con la sua storia personale. Al momento dell’incidente, dopo 142 giri del Lausitzring ne mancavano 13 alla bandiera a scacchi. Lui vuole finire quella corsa, per lui quella sfida è sospesa nella memoria, non è perduta, non è conclusa. Gli ultimi tredici giri, allora, poi - promette, non manterrà la promessa - il motore si spegne. Si gira la chiave, si esce dagli angusti abitacoli, piccoli come un buco nero, con due gambe di lega leggera e le articolazioni avvitate. È l’orgoglio dello sportivo che vuole decidere da solo quando è finita. Se è l’ora di pensare ad altro, alla famiglia, così sia. Ma la gara va terminata, dopo si scende. Nella testa di un pilota, questo schema di pensiero dev’essere idealizzato dal patto con il destino: accetto la morte, accetto la sconfitta. Non c’è posto per nessun’altra soluzione. L’adrenalina rende tutto estremo, e sublime: la velocità, le emozioni. Il respiro. Nella parabola di Alex si è andati oltre il miracolo cristiano, con le mutilazioni “guarite” dalla forza di volontà̀, la sopravvivenza con parametri sconosciuti alla vita. E si è arrivati alla morale. Un po’ Vangelo e un po’ fiaba. Una resurrezione laica. Ma anche, per noi, un vocabolario pieno di senso: forza di volontà, sportività, passione, buonumore. Ecco un elenco di parole abusate e svuotate, di frasi fatte che trovano consistenza in una persona fra noi, vera. Questo bolognese di Castel Maggiore, allegro e ottimista ci ha spiegato queste parole, ce le ha restituite con la “esse” strascicata e va ringraziato. L’auto è modificata per permettere alle protesi di usare i pedali, la bandiera sventola. Eppure, non è finita, non è mai finita. Flashback, 8 settembre 1996. Digitando sui motori di ricerca la parola più seducenti dell’automobilismo, “the pass”, il sorpasso, esce dapprima un video. È una corsa della Formula Cart, il campionato oltreoceano che una visione eurocentrica dei fatti relega a F1 in sedicesimo. Zanardi è stato campione, non lo è stato in Formula 1, ma ha messo le quattro ruote davanti a tutti proprio nelle corse americane, vincendo il mondiale per due anni consecutivi, 1997 e 1998. Finì a correre quel Campionato con lo stesso dinamismo con si sarebbe poi arrangiato dopo il Lausitzring: “Non hai due possibilità se una di queste è la disperazione”. Respinto dalla Formula Uno, chiese aiuto al mito delle corse americane, Bobby Rahal: “Ho bisogno di un lavoro”. Rahal lo sistemò sulla Reynard del team Ganassi. Sul finire della prima stagione, Zanardi torna sugli schermi europei quando tutto il mondo trasmette “the pass”, il sorpasso, in una delle curve più conosciute dei vari circus, il cosiddetto cavatappi a Laguna Seca, Monterey, California. In un’altra curva mitica, l’Eau Rouge del circuito di Spa in Belgio, qualche anno prima in seguito a un incidente terribile e senza conseguenze, per via della decompressione alla schiena Alex aveva guadagnato tre centimetri d’altezza, poi rientrati. Al cavatappi Zanardi trova una gloria che invece resta. Ingaggia il duello con Bryan Herta, porta tutte le ruote sull’erba, quel sorpasso non può esistere nella logica, vive solo nel coraggio, nell’incoscienza, nella speranza. E nella memoria di chiunque abbia visto. Un giorno di ottobre, 2001. Sul letto dell’ospedale di Berlino prende forma e forza un uomo nuovo. Grossomodo dimezzato nelle misure per lui è necessario vedere il mondo da un altro punto di vista. Deve ricostruire il corpo, dargli un significato e dare a se stesso un futuro. Naturalmente i primi tentativi saranno rivolti alle macchine. Poi saprà uscire da quel buco con la curiosità delle cose, con la passione per la meccanica conosciuta nel papà Dino, l’idraulico detto Grezzoman per la volontà di fare tutto con le mani, e tutto a modo suo, non era raffinato, badando al sodo e poco all’esteriorità. Insieme, Alex e Dino preparavano i kart delle prime corse adolescenziali, quando il rivale più tenace era tale Michael Schumacher. In uno spaccato già molto professionale, gli Zanardi spesso riparavano col fil di ferro. “Era bruttissimo e io guardavo anche l’aspetto estetico”. Una sera, al termine di una gara importante in cui il pilota finì fuori pista, Alex stava pensieroso a controllare la sua piccola vettura, per cecare la causa della sbandata. Si avvicinò Grezzoman, sentiva che il figlio stava cercando prove per incolparlo: “Che fai?”. “Vedi qui? Hai sbagliato la convergenza di 4 millimetri”. Il padre non ammise e non negò, ma si limitò a ricordare come a casa avesse montato la tavoletta del cesso fuori asse di mezzo centimetro, “e non mi sembra che hai mai pisciato sul pavimento”. Alex è pignolo, perfezionista, maneggione, competitivo e così si avvicina alle corse in handbike: in fondo c’è la strada, la velocità, la preparazione tecnica di se stessi e del mezzo. Sarà il modo di ridare completezza alla vita mutilata. Luca Pancalli, presidente del comitato Paralimpico nazionale ne intuisce la potenza del messaggio e lo spinge verso le Olimpiadi già nel 2008 a Pechino. Zanardi si prende qualche anno: studia, aggiusta, si allea con il progresso che per lui ormai è qualità della vita, cerca possibilità, raduna eccellenze . Londra, 5 settembre 2012. Quando è pronto per i Giochi, quattro anni dopo vince l’oro sia nella corsa a cronometro che nella gara in linea . Dopo il primo oro, 16 km in solitario in circa 25 minuti, si getta sull’asfalto, lo bacia, poi appoggiato in terra sulle mutilazioni solleva al cielo la strana bici con il braccio destro - una foto intensa, efficace, ecco il messaggio che Zanardi voleva diffondere. Sorride. Intorno a lui, ognuno gareggia con un mezzo dissimile in tutto: altezza, larghezza, lunghezza, materiale, geometrie. Quattro anni dopo - alle Olimpiadi di Rio - tutti avranno la handbike di Zanardi, che ha portato lo sport Paralimpico più avanti. Se deve ridurre tutto a una sola parola, arriva alla “passione”: quella ti muove, fare ciò che davvero si vuole, che ci fa alzare la mattina stanchi ma pieni energia. La passione è l’acqua di cottura di tutti gli ingredienti, dà sapore a tutto. Ti porta lontano, oltre le frontiere che sembrano stabilite. Dopo il “busso”, come lui chiama l'incidente del Lausitzring, Zanardi è solo, lo confessa in un’intervista dell’epoca: “Il mio pubblico sono solo io, la mia riabilitazione è come una gara. Giorni fa ho fatto 3 chilometri a piedi in 48 minuti: alla fine non c'era gente ad applaudirmi”. È passato tanto tempo dal busso. Zanardi ha ritrovato anche gli applausi. Molta gente conosceva un campione delle corse in auto e tutto il mondo ha poi conosciuto un uomo importante, un faro nelle tenebre, una parabola innalzata da fatti reali, come abbiamo già scritto. C’è un’altra data, in questa storia, e l’uomo del “sorpasso” oggi si difende stringendo le traiettorie agli agguati della vita. Ma è sempre in pista e lampeggia ancora come il più vivo dei pensieri.