Il nuovo-vecchio re dall'Indycar è davanti a un bivio: Palou e il sogno F1

Il terzo posto del Gran Premio di Portland ha permesso ad Alex Palou di conquistare con matematica certezza il quarto titolo in IndyCar. Un traguardo talmente importante da consentire allo spagnolo di affiancare Sébastien Bourdais, Dario Franchitti e Mario Andretti a soli 28 anni, e alla sesta stagione nella categoria. Numeri che, uniti al recente trionfo nella 500 Miglia di Indianapolis, lo inseriscono in prospettiva tra i più grandi di sempre nel motorsport americano e non solo. Negli Stati Uniti Palou ha quindi trovato la propria dimensione, scommettendo sulle gare a stelle e strisce una volta capito che in Europa sarebbe stato difficile o quasi impossibile arrivare in F1 con il budget a sua disposizione. Il compianto Adrian Campos lo ha aiutato, poi Palou ha cambiato programmi, spostandosi prima in Giappone e poi in IndyCar, serie in cui ha debuttato con Coyne ed il team Goh nel 2020. Chip Ganassi ha subito individuato in Palou il pilota giusto per costruire il futuro della propria squadra, accogliendolo in un 2021 chiuso con il titolo. Quattro anni dopo possiamo serenamente dire che l’incontro tra le due strade sia stato un vero e proprio successo. Palou ha sempre detto di trovarsi bene in America, ha messo insieme una bella famiglia, vanta un ottimo contratto con Chip Ganassi Racing e la traiettoria della sua carriera sembrerebbe portarlo al pari di Scott Dixon e A. J. Foyt, i piloti più vincenti nella storia della Indy. Motivi per pensare ad altro non ce ne sono, soprattutto considerando lo status di vero e proprio re che vanta nella categoria. Ma aver collezionato già quattro campionati ad appena 28 anni potrebbe stimolare certe idee legate ad una particolare competizione: la F1. Palou ha già tentato il trasferimento dalla IndyCar al Mondiale: nel 2022, infatti, ha firmato un contratto con McLaren, con cui si era inizialmente accordato per correre in America e poi, eventualmente, spostarsi in F1. Ma Ganassi ha fatto valere l’accordo con lo spagnolo, che ha deciso di restare nella squadra che lo ha portato a vincere il primo titolo, non prima di scendere in pista con McLaren nel ruoto di riserva tra test e FP1. La scelta di continuare con Ganassi ha prodotto delle noie legali tra Palou e il team di Woking, con effetti ancora in corso per il pilota, che così ha messo da parte il progetto F1. Quell’anno è stato decisamente burrascoso, ma il numero 10 si è subito ripreso vincendo altri tre titoli consecutivi. Ora che le acque sono più calme l’idea di confrontarsi nel Campionato Mondiale potrebbe tornare in superfice, specialmente con l’ingresso di Cadillac. Tuttavia, la storia ci insegna che essere forti in una competizione non equivalga a far bene anche nell’altra. IndyCar e Formula 1 hanno in comune solo il fatto di essere auto a ruote scoperte, per il resto parliamo di due dimensioni agli antipodi. Negli ultimi trent’anni troviamo tre esempi specifici: in primis Alex Zanardi, due volte campione nella CART che, tornato in F1, fu catapultato in Williams in un ambiente più che ostico. Nella stessa squadra Juan Pablo Montoya trovò più alchimia, lottando anche per il titolo nel 2003 e restando nella serie fino a metà del 2006, quando il rapporto con McLaren terminò a metà stagione. Poco dopo è stato il turno di quel Sébastien Bourdais che, numeri alla mano, ha molto in comune con Alex Palou. Il francese originario di Le Mans ha vinto quattro titoli di fila in Champ Car e all’età di 28 anni, la stessa di Palou, ha firmato con la Toro Rosso, debuttando nel 2008 per poi essere rimpiazzato da Jaime Alguersuari dopo il GP di Germania della stagione successiva a causa di prestazioni non all’altezza. Ogni storia citata è contestualizzata alle fasi specifiche delle carriere di ciascun pilota, ma tutte ci insegnano quanto non sia assolutamente scontato passare da un universo all’altro e correre ad alti livelli. Peraltro, nel caso in cui tutto si dovesse allineare, Palou dovrebbe lasciare la IndyCar al picco della forma per valutare l’ingresso in F1 con una squadra che, teoricamente, non dovrebbe permettergli di ambire ai vertici, almeno a breve termine. Indubbiamente il talento dello spagnolo è cristallino e tra i piloti di formazione europea sbarcati in America sarebbe il più adatto a una sfida di tale calibro. Nel frattempo, Palou si gode il poker appena calato, la famiglia, la serenità nel team Ganassi e il ruolo di riferimento in una delle categorie più ostiche del motorsport.

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Matteo Pittaccio