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NBA, polemica a distanza Steph Curry-Donald Trump

NBA

Steph Curry risponde al CEO di Under Armour, brand di cui è testimonial: "Trump un asset? Sono d'accordo, se togliamo la s e la t" ["ass" in inglese significa "str***zo", ndr]. E il suo futuro con l'azienda del Maryland non è più così sicuro...

Tempi difficili, nell’America di Donald J. Trump. Sono bastate alcune parole di Kevin Plank, CEO di Under Armour, azienda di abbigliamento sportivo in netta ascesa sul mercato globale, per scatenare l’inferno: “Avere un presidente così favorevole al mercato è un grande asset per il nostro Paese”, la dichiarazione iniziale. Poi  corretta quando ormai era troppo tardi, e dal mondo dei social era già rimbalzata ai vari mezzi di comunicazione più classici, fino a portare alla creazione di un hashtag dedicato (#boycottUA) che ha riunito innumerevoli messaggi e riflesso il disagio di tanti verso alcuni aspetti della presidenza Trump. Tra i più sorpresi di un endorsement così sfacciato, il testimonial forse numero uno dell’azienda del Maryland, il due volte MVP NBA Steph Curry, che richiesto di un parere al riguardo ha risposto con una battuta sferzante: “Un asset? Sono d’accordo, se togliamo la e la t” [rimane ass, che in inglese sta per str***o, ndr]. Una risposta divertita e divertente — probabilmente data da Curry col sorriso sul volto — ma allo stesso tempo molto forte e dalle possibili implicazioni devastanti per Plank e soci. Sotto contratto fino al 2024, il fenomeno Curry infatti genera per Under Armour un giro di affari stimato attorno ai 200 milioni di dollari, anche se le proiezioni sul valore del n°30 degli Warriors per l’immagine dell’azienda sono ancora più alte. Nello specificare di non avere “niente in contrario che Plank possa intrattenere dei rapporti di affari con Donald Trump”, Curry non ha però nascosto una certa preoccupazione sul messaggio valoriale associato a una posizione del genere: “Si tratta di una questione delicata — ha dichiarato — perché all’azienda che rappresento io chiedo: stiamo facendo abbastanza per promuovere il cambiamento? Stiamo lavorando per il bene di tutti e non di pochi? Anche il business non deve mai ridursi soltanto al fare soldi o al vendere scarpe. La priorità non è quella. La priorità è avere un impatto positivo sulla vita delle persone”. 

 



 

 

Dollari & valori — Resosi conto del vespaio provocato, Kevin Plank ha voluto subito chiarire il proprio pensiero, specificando come l’osservazione fatta riguardasse soltanto “una prospettiva di business, senza riflettere in alcun modo l’idea di impegno sociale dell’azienda stessa”. “Dopo essere stato al telefono tutto il giorno con la gente di Under Armour — ha commentato Curry, che dal brand fondato da Plank riceve 4 milioni di dollari all’anno — questa loro precisazione mi riporta all’Under Armour che conosco, il brand che rappresento e con cui fino a oggi ho sempre voluto identificarmi”. Che lo voglia anche in futuro, però, non è così scontato, “perché se dovesse diventare difficile guardarmi ogni giorno allo specchio, preoccupato dell’attitudine aziendale nel rispettare e nel prendersi cura di tutte le persone, beh, allora non c’è somma di denaro che può competere con quelli che sono i miei valori”. 

Il Curry “politico” — Pur senza mai prendere una posizione plateale nell’arena politica (a differenza ad esempio di LeBron James, vocale nel suo supporto a Hillary Clinton nella recente corsa presidenziale), non sorprende l’atteggiamento freddo e distaccato di Steph Curry verso il nuovo presidente USA. Dopo aver collaborato con Barack Obama durante la sua presidenza — e girato anche qualche divertente video alla Casa Bianca — Curry non ha mancato via Twitter di manifestare il suo disappunto per la vittoria di Trump la sera delle elezioni, facendo propria la preoccupazione espressa dal corrispondente di CNN Van Jones, che si domandava pubblicamente “come spiegare l’elezione di Trump ai nostri figli?”. “La mia fede e le mie convinzioni sono sempre state alla base della mia vita”, aveva dichiarato in passato il tiratore degli Warriors. “Come cristiano, mi è stato insegnato che siamo tutti uguali davanti agli occhi del Signore, per cui cerco di trattare chiunque nel modo in cui io stesso vorrei essere trattato”. Un credo sicuramente lontano dal messaggio predicato da Trump nei primi giorni del suo mandato presidenziale.