I Philadelphia 76ers hanno annunciato una decisione nell'aria da un po': Joel Embiid ha già chiuso la sua stagione da rookie nella NBA. Si apre così il dibattito: merita comunque il premio di matricola dell'anno?
Dal 20 gennaio Joel Embiid aveva disputato una sola gara (peraltro chiusa con 32 punti, 7 rimbalzi e 4 assist contro gli Houston Rockets, microcosmo del suo potenziale in campo) per cui la notizia si può dire fosse già nell’aria: la matricola dei Philadelphia 76ers ha chiuso in anticipo la sua prima stagione NBA. La decisione presa dallo staff medico dei Sixers è il risultato della risonanza magnetica effettuata sul ginocchio sinistro del giocatore, che ha rivelato “un ampliamento dell’area interessata dalla lesione del menisco” che è poi la causa del dolore e del rigonfiamento percepito da Embiid. Dopo aver dichiarato il suo status medico “day-to-day” – ipotizzando cioè un potenziale rientro valutabile quotidianamente (“una scelta che non mi ha fatto molto piacere”, ha fatto sapere un piccato Embiid) – ora la decisione del club è definitiva, e apre così di fatto le valutazioni dei Sixers sulla loro prossima stagione, quella 2017-18. Con la prima scelta assoluta 2016 Ben Simmons già dichiarato fuori fino a fine anno e con lo stesso destino riservato ora a Embiid, Philadelphia è molto più interessata a guardare al Draft 2017 che alle ultime 20 partite dell’annata in corso. Un Draft a cui si presenteranno il prossimo giugno titolari della propria scelta (sono al momento titolari del quint’ultimo record NBA) e di quella in mano ai Lakers se non dovesse tramutarsi in una delle prime tre chiamate. L’idea di Jerry e Bryan Colangelo appare chiara: riuscire a pescare un pezzo pregiato tra le point guard disponibili al prossimo Draft (Markelle Fultz di Washington State, Lonzo Ball di UCLA, magari anche un esterno come Malik Monk di Kentucky), aggiungerci un’altra pick da Lottery e affiancarle a un nucleo che vede proprio in Embiid e Simmons i due capisaldi su cui costruire una squadra vincente.
Rookie dell’Anno o no? – Se c’è un futuro che si declina in chiave Draft, ce n’è un altro che per il n°21 dei Sixers porta alla domanda ora sulla bocca di tutti: con sole 31 gare disputate in stagione, mai utilizzato oltre i 30 minuti a sera (25.4 di media), Joel Embiid ha fatto abbastanza per meritarsi il premio di Rookie dell’Anno 2016-17? Il campo direbbe chiaramente di sì, come testimoniano le cifre più immediate – oltre i 20 punti, quasi 8 rimbalzi e 2.5 stoppate a sera, vicino al 47% dal campo e al 37% da tre punti – ma anche qualche dato statistico più avanzato. Con lui sul parquet, ad esempio, il defensive rating dei Sixers è il migliore di squadra, con solo 99.1 punti subiti ogni 100 possessi (contro i 108.4 incassati dalla squadra senza il proprio centro in campo) ma l’importanza di Embiid per Philly è enorme anche in attacco, dove il suo usage rate (ovvero la percentuale di possessi in cui viene coinvolto) è addirittura del 36.1%, dietro solo a quella di Russell Westbrook e DeMarcus Cousins (Sacramento edition) in tutta la lega. A portar voti alla sua causa anche una classe di matricole che – tolto il suo compagno di squadra Simmons, mai sceso in campo – non offre certo tantissima competizione. Sono infatti quelli di un altro Sixer come Dario Saric o della sorpresa Malcolm Brogdon a Milwaukee i nomi più papabili come alternative a Embiid al premio di matricola dell’anno, ma appare difficile che i giornalisti chiamati a esprimersi a fine anno possano preferire il croato (11.3 punti di media col 40% dal campo) o la riserva dei Bucks (solo 13 partenze in quintetto, meno di 10 punti a sera) al centro camerunense di Philadelphia.
Cosa dice la storia – Certo, affidare un premio stagionale a un giocatore sceso in campo in solo 31 delle 82 partite previste, per un totale di 786 minuti, può far storcere il naso a qualcuno. Embiid, infatti, può vantare sostanzialmente la metà dei minuti collezionati in campo da Kyrie Irving nel 2011-12 (1.558), dato che ha fatto della point guard dei Cavs il Rookie dell’Anno a oggi meno utilizzato nella storia della NBA. Solo tre giocatori hanno ottenuto queste riconoscimento restando sotto i duemila minuti giocati in stagione – oltre a Irving, anche Vince Carter nel 1999 e Patrick Ewing nel 1986 – ma ognuno di loro aveva comunque toccato le 50 presenze (contro le solo 31 di Embiid) e due di essi lo hanno fatto in stagioni accorciate dal lockout. L’impressione però è che – anche in assenza di competizione – al nome dell’ex prodotto di Kansas University non ci siano proprio alternative adeguate, per cui a fine stagione sarà il n° 21 dei Sixers ad alzare il trofeo di Rookie dell’Anno NBA.