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NBA, Cavaliers e Warriors: primi ma non troppo

NBA

Stefano Salerno

Le due finaliste degli ultimi anni, per motivi diversi, stanno attraversando il periodo più difficile della loro regular season: il primo posto della Eastern e della Western Conference non sembra più così saldamente nelle loro mani

Cleveland Cavaliers e Golden State Warriors sono da inizio anno le squadre favorite nella corsa al titolo NBA 2017, già finaliste in back-to-back nell’ultimo biennio e protagoniste di una delle rivalità più accese dell’ultimo decennio. I primi mesi di regular season sono quindi trascorsi seguendo quel copione che in molti avevano già immaginato in estate, con entrambe le squadre rispettivamente leader di Eastern e Western Conference a fare gara di testa solitaria con tutte le altre in affanno ad arrancare a debita distanza. Da inizio 2017 le cose però sono cambiate drasticamente per i Cavaliers, che a gennaio hanno addirittura archiviato il mese con un record negativo di vittorie (7-8, a LeBron James non accadeva da quasi 10 anni). Un problema ancora non del tutto risolto, a guardare gli ultimi risultati e lo sforzo supplementare a cui LeBron James e la società sono stati sottoposti, alla continua ricerca di nuove pedine sul mercato. Kyle Korver, Adrew Bogut, Derrick e Deron Williams: tanti volti nuovi (ai quali si è aggiunto in queste ore Larry Sanders), ma ancora una cronica incapacità di conservare e portare a casa la vittoria quando il numero 23 siede in panchina o in tribuna.

Le difficoltà dei Cavs - A pesare sono stati prima di tutto gli infortuni. Kevin Love ormai è ai box da un mese e non rientrerà prima della fine di marzo, lasciando scoperto uno spot che via via è stato ricoperto dai vari Richard Jefferson e Derrick Williams con risultati altalenanti. J.R. Smith invece è tornato sul parquet da tre partite, ma in dote ha portato soltanto il successo contro Orlando, a fronte delle sconfitte contro Detroit prima e a Houston poi. Fisiologico dopo un’assenza di oltre due mesi avere difficoltà al tiro (4/19 dall’arco per J.R. negli ultimi quattro giorni), anche se realizzare canestri è stato davvero l’ultimo dei problemi per i campioni NBA. Il rating offensivo infatti dal 1 gennaio a oggi recita 110.8 punti, quinto posto a un’unghia di distanza dai sorprendenti Wizards degli ultimi mesi e meglio dei vari Spurs, Celtics e Clippers. Il problema però è a protezione del ferro, dove i Cavs fanno meglio soltanto di Nuggets (rapsodici, visto che loro sono il miglior attacco e la peggior difesa NBA del 2017), Lakers e Suns. Con la 27^ difesa NBA non si va da nessuna parte e neanche un LeBron James spremuto più del dovuto sembra riuscire a dare la giusta stabilità a Cleveland.

LeBron costretto a fare gli straordinari - Nelle ultime nove gare la squadra dell’Ohio ha raccolto soltanto tre vittorie e sei sconfitte. La prima è arrivata con LeBron James rimasto a riposo nella sfida contro i Bulls; un lusso che coach Lue evidentemente non può concedersi: tornato in campo, arrivano le vittorie contro Milwaukee e Atlanta, con in mezzo la sofferta sconfitta incassata al TD Garden di Boston. A quel punto, il Re tira di nuovo il fiato e i Cavs tornano a perdere, aggrappati alla propria star come mai era successo da quando ha fatto ritorno a casa. Emblematica la sfida persa a Detroit: James gioca 39 minuti, mettendo a referto 29 punti, 13 rimbalzi, 10 assist con +18 di plus/minus. Nei nove minuti in cui resta a riposo però, i compagni (Kyrie Irving incluso) subiscono un parziale di 23 punti, condannando Cleveland all’ennesima sconfitta di un 2017 maledetto per i campioni NBA. Non basta quindi la più efficace stagione della carriera del numero 23, al massimo sia alla voce rimbalzi (8.3) che a quella degli assist (8.9), oltre a una efficienza ben raccontata dal +7.8 di Net Rating. Uno sforzo enorme, che tuttavia non ha portato Cleveland fuori dalle secche di risultati che hanno rimesso in corsa sia Washington chee Boston, convinte adesso di potersi giocare la prima posizione a Est. 

Golden State con il fiato corto - Problemi invece (per loro fortuna) meno strutturati, ma allo stesso modo preoccupanti, quelli che sta attraversando Golden State, ritrovatasi a distanza di quasi due anni a perdere due partite consecutivamente in regular season e rimasta impigliata in una combinazione letale di infortuni/trasferte/stanchezza/calendario che hanno messo a dura prova la tenuta della squadra dei record allenata da Steve Kerr. Lo stop forzato di Kevin Durant è arrivato nel momento peggiore della stagione, all’inizio di una striscia di 8 partite in 13 giorni che hanno logorato forze fisiche e il margine in classifica sugli Spurs, obbligando il coach dell’anno 2016 a prendere delle drastiche contromisure nella sfida persa dai suoi Warriors a San Antonio. Un successo che ha riportato i texani a sola mezza partita di distanza dalla vetta della Western Conference: con la sfida del prossimo 29 marzo dell’AT&T Center ancora da giocare, gli Warriors sono costretti a conquistarsi nuovamente il fattore campo in queste ultime quattro settimane.

Se il tiro da tre fa cilecca… - Non potendo fare affidamento su KD, la palla è passata letteralmente in mano agli Splash Brothers, che hanno aumentato sia il volume di gioco che il numero di minuti trascorsi in campo. I punti messi a referto da Steph Curry però sono rimasti sostanzialmente invariati (25.4), mentre a precipitare drasticamente è stata la sua efficenza, soprattutto dall’arco. Nelle ultime sette gare il numero 30 sta tirando 18/76 da tre, un 23.7% che combinato con il 18/64 di Klay Thompson sta incidendo sulla produzione offensiva degli Warriors. Nelle ultime otto partite infatti Golden State è 27^ per rating offensivo, capace di produrre soltanto 101.8 punti su 100 possessi, dato ben diverso rispetto al 114.6 dei primi quattro mesi di regular season. Non avere Kevin Durant fa tutta la differenza del mondo, ma Golden State deve il prima possibile trovare il modo di rimettere in moto un attacco senza il quale sarà difficile tenere alle proprie spalle gli Spurs.