Doveva essere una superstar NBA - scelto prima di Carmelo Anthony, Chris Bosh e Dwyane Wade al Draft 2003 - è diventato il simbolo di ogni carriera sprecata. Oggi Darko Milicic gestisce una fattoria nella campagna serba ma ha ancora tante cose da dire, sulla NBA di ieri e su quella di oggi
Il suo nome – oggi che sono passati quasi 15 anni da quando è sbarcato nella NBA – non si sente più nominare spesso ma Darko Milicic rimane nel bene e nel male una storia di assoluto culto tra tifosi e appassionati NBA. Come riconosce lui stesso – recentemente intervistato dal sito serbo B92 – il giocatore ex Pistons è “destinato a essere ricordato come la scelta n°2 al Draft che non ha mai reso al livello delle aspettative” [e il Draft è quello del 2003, in cui Milicic è stato chiamato dietro solo a LeBron James e davanti a Carmelo Anthony, Chris Bosh e Dwyane Wade, ndr], ma la sua interpretazione al riguardo è diversa, “perché io sono diverso”, spiega: “Gli altri bidoni avrebbero voluto essere forti ma non ci riuscivano, io quando ho voluto invece ci sono riuscito”. Tutta l’attitudine – al limite dell’arroganza – del talento serbo è riassunta proprio in questa affermazione, che getta una luce ancora più ambigua su una delle carriere più controverse che la NBA recente abbia mai ospitato. La fa seguire, a dire il vero, da una sorta di auto-accusa che lascia poco spazio alla commiserazione: “Potrei dire che non mi è stata data una vera chance nella NBA ma sarebbe solo una scusa. Sta ai giovani dimostrare quanto valgono, lavorare duro e attendere il loro momento, ma il mio approccio era completamente diverso. Ero convinto di essere stato mandato negli Stati Uniti da Dio e questo atteggiamento mi ha cacciato in mille situazioni complicate, dalle risse nei bar agli allenamenti da ubriaco. Il problema ero io – ammette oggi Milicic – e alla lunga ho iniziato a odiare il gioco, smettendo in fretta di divertirmi”.
Dopo Detroit – Il suo fallimento ai Pistons [che alla lunga ha condizionato anche la carriera da GM di Joe Dumars, che su di lui aveva puntato al Draft, ndr] è ben documentato, dopo due anni e mezzo trascorsi a Detroit con solo due partenze in quintetto e cifre assolutamente insignificanti (mai oltre i 2 punti a partita). Sulle successive avventure in giro per la lega, Milicic si è espresso apertamente, con opinioni e punti di vista a volte molto singolari. “A Orlando ero convinto di far bene: con Dwight Howard avremmo potuto funzionare benissimo assieme, lui a giocare dentro e io a colpire sul perimetro, ma l’allenatore non era di questa opinione”. Forse anche perché, in 468 partite NBA, la “minaccia sul perimetro” di nome Milicic ha tentato la bellezza di sei triple, peraltro sbagliandole tutte. “A Orlando ho avuto qualche buona partita [anche una da 21 punti, ndr] per cui ero convinto di poter attirare delle buone offerte, che invece non sono arrivate”. Altra dichiarazione che fa sorridere, se si pensa che i Grizzlies – la sua successiva destinazione NBA – per assicurarselo gli hanno allungato un triennale da 21 milioni di dollari, non proprio briciole. “Al mio manager l’avevo detto: ‘Non farmi andare a Memphis’. Ovunque ma non a Memphis. E invece eccomi lì. Ero in piena depressione, mi segnavo i giorni che mancavano alla fine della stagione sul calendario”. Dal Tennessee a New York, nei Knicks allenati da Mike D’Antoni (…) “e pure lì ho continuato a fare stupidate su stupidate”, ammette. A soli 24 anni erano in tanti nella NBA a voler ancora scommettere sul serbo, “ma io ero pronto a tornarmene in Europa”, racconta. Invece, nonostante le sue preghiere al GM di Minnesota David Kahn di non metterlo sotto contratto (“Ti rovino la squadra, ti mando all’aria la chimica in spogliatoio”) i Timberwolves sono nel suo oroscopo, e a Minneapolis colleziona le cifre migliori della sua carriera e un nuovo contratto, da 4 anni e 20 milioni di dollari. “Il primo anno lì è andato anche bene, ma era la mia intera esperienza nella NBA a essere catastrofica. Io sono un vincente nato, odio perdere anche quando gioco a carte, mentre negli Stati Uniti – a parte Detroit – ho fatto sempre parte di squadre che si trascinavano in giro per il Paese incassando sconfitte serata dopo serata”. La sua ultima incarnazione NBA lo vede indossare anche la maglia biancoverde dei Celtics, “ma io a Boston non ci volevo neppure andare. Mi vedevano come un giocatore di ruolo, contento di poter avere un’ultima chance. Ma quello non sono io”.
Milicic oggi – Chi sia davvero Darko Milicic è davvero difficile da dire. Terminata senza gloria la sua carriera NBA, ha fatto notizia per aver preso parte al campionato mondiale di pesca alla trota (quand’era ai Pistons aveva acquistato coi soldi del suo primo contratto una enorme barca per poter andare a pescare sul lago Michigan, ghiacciato però per gran parte dell’anno e quindi mai utilizzata…) piuttosto che per aver perso al secondo round (per via di un taglio riportato alla gamba sinistra) il suo unico incontro da kickboxer professionista, carriera nella quale aveva professato la sua “invincibilità”. L’ultima avventura dell’ex seconda scelta assoluta al Draft 2003 lo vede invece più tranquillamente impegnato a coltivare cibo nella sua fattoria: “Da quando ho smesso di giocare ho preso 40 chili [oggi sfiora i 160, per un uomo di 213 centimetri, ndr] e oggi mi piace seguire le mie coltivazioni, camminare per i campi, veder crescere il raccolto. Ho trovato un po’ di pace qui in campagna”. Dove un po’ di NBA evidentemente la segue ancora, visto che non manca di dispensare qualche sua opinione: “Paragonano Nikola Jokic a Vlade Divac, perché lui per noi serbi è stata la leggenda. Ma Vlade segnava 11 punti di media e giocava vicino a canestro, Nikola ne fa anche 25 e sembra un’ala piccola. Per me lui è più simile a Dirk Nowitzki”. Non mancano anche un pensiero su Boban Marjanovic (“Non capisco perché lo pagano 20 milioni senza farlo mai giocare, forse c’è una cospirazione contro i giocatori serbi”, dice, forse scherzando…) e uno su Miloš Teodosić, “il miglior giocatore internazionale non nella NBA” a cui però sconsiglia l’avventura americana: “Le point guard NBA, gente come Russell Westbrook, lo farebbero a pezzi fisicamente, sono degli autentici dragoni”. Dragons, dice proprio così Milicic, che prima di chiudere lascia un’ultima riflessione sulla sua condizione attuale: “Preferisco coltivare i campi in campagna piuttosto che costruire grattacieli in città, perché in un ambiente del genere finirei per spararmi un colpo in testa”. L’ennesima esagerazione, forse. Ma con Milicic non si sa mai.