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NBA, Boston vince a Chicago e si riporta sul 2-1 nella serie

NBA

I Celtics battono i Bulls 104-87 e accorciano sul 2-1 nella serie grazie alla ritrovata mira dall’arco, in una serata chiusa con 17 triple a bersaglio e ben cinque giocatori in doppia cifra

I Boston Celtics del 2008 hanno lasciato un segno indelebile sulla lega. Un’impronta che ancora oggi pesa sulle dinamiche delle serie playoff a ormai un decennio scarso di distanza. Rajon Rondo infatti, che di quella squadra faceva parte, risulta ancora decisivo sul parquet e la sua assenza forzata a causa di un pollice fratturato è una delle ragioni per cui i Celtics sono riusciti a vincere gara-3 allo United Center per 104-87. Non di certo l’unico però, e soprattutto non il solo legato alla squadra che vinse il titolo NBA nove anni fa, visto che a motivare i ragazzi di coach Stevens è arrivato un messaggio direttamente da Kevin Garnett, recapitato a Ed Lacerte, storico trainer dei Celtics, e ascoltato nello spogliatoio prima del match. “Per me è stato davvero importante – racconta Crowder -, Kevin ci ha detto che non siamo stati una squadra che si è divertita in campo nelle prime due sfide, un gruppo che non si è immerso in maniera completa nella mentalità dei playoff. Dovevamo semplicemente iniziare a giocare l’uno per l’altro e di alzare il livello di intensità per onorare la post-season. Insomma, ci ha consigliato di mettere un po’ più di Kevin Garnett nel nostro approccio e nel nostro modo di giocare”. Avery Bradley è della stessa opionione: “Ci ha dato una scossa incredibile, era come se fosse tornato di nuovo a far parte del nostro spogliatoio”.

La chiave in attacco: il tiro da tre punti

Le motivazioni quindi ha contribuito a metterle una leggenda come Garnett, ma non sarebbero bastate senza gli accorgimenti tattici apportati da coach Stevens, deciso sin dalla palla a due a cambiare il corso degli eventi rispetto alle sfide del TD Garden. Gerald Green in quintetto è la novità per dare da subito maggiori spaziature e atletismo all’attacco, mentre ad Amir Johnson tocca accontentarsi di sei minuti di utilizzo e due punti. Il sistema sembra funzionare nonostante la stazza ridotta, tanto che Boston chiude il primo quarto con 7/11 dall’arco e soprattutto con 18 punti di vantaggio. “Il nostro scopo era quello di allargare il campo e di avere maggior atletismo in marcatura sugli esterni. A rimbalzo invece, serviva un lavoro di gruppo fatto di collaborazione”. Quello della battaglia sotto i tabelloni è un aspetto che aveva dato problemi già nelle precedenti uscite e in gara-3 non fa eccezione (52 vs. 37 il conto dei rimbalzi totali in favore dei padroni di casa). Chicago però fatica a trovare continuità in attacco, e dopo il secondo quarto da 14 punti firmato da Dwyane Wade, non riesce a ritornare nuovamente in partita per tutto il secondo tempo. Alla sirena i Celtics chiudono con un 17/37 letale dall’arco e con 18 punti di un positivo Al Horford, 16 di Jae Crowder e di Isaiah Thomas, arrivato direttamente in Illinois dopo essere stato a Seattle assieme alla famiglia dopo la scomparsa della sorella.

No Rondo, no party

Allo stesso tempo in casa Bulls appare evidente come senza un Rajon Rondo nel motore, l’attacco abbia molte più difficoltà a carburare: al posto del numero 9, coach Hoiberg lancia Jerian Grant in quintetto, rinunciando alla presenza di un vero e proprio playmaker in campo (Michael Carter-Williams sarebbe stata l’unica alternativa percorribile) e lasciando compito di gestione della palla al duo Wade-Butler, molto meno efficace delle prime due uscite al TD Garden. Alla sirena sono 32 punti in combinata per i due All-Star, realizzati tirando un 13/39 complessivo in linea con i dati di squadra; Chicago infatti chiude il match con il 39% dal campo, il 28% da tre e ben 18 palle perse. “L’assenza di Rajon non può certo essere un alibi”, commenta a fine gare Wade. “Sembra che difficilmente tornerà in campo a breve, quindi c’è bisogno che tutti facciano un passo avanti per trovare il modo di risolvere le cose e tornare a essere competitivi”. Rondo nel frattempo, seduto a bordocampo al fianco dei compagni, si è reso protagonista di un singolare episodio con Jae Crowder, al quale ha provato a mettere lo sgambetto dopo che il numero 99 aveva mandato a bersaglio un jumper nel primo quarto. “Da quando mi sono rotto il crociato sono costretto a fare stretching di continuo”, spiega il diretto interessato. “Mi capita spesso durante il match, non avevo altre intenzioni”. Una scusa dopo essere stato beccato con le mani nella marmellata, ma poco importa. Anche perché Boston sembra essere intenzionata a proseguire lungo la sua strada: “Non siamo venuti qui a Chicago per vincere una partita – chiosa Bradley -, il nostro obiettivo è quello di tornare a Boston sul 2-2”. Uomo avvisato, mezzo salvato.